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Il Comune si riappropri delle cave: il marmo deve tornare a dare benefici ai cittadini

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Far West marmo: le cave operano in assenza di concessione!

Il regolamento sugli agri marmiferi (1995) prevedeva che il rilascio o rinnovo delle concessioni dovesse essere effettuato entro un anno. È noto, però, che molte cave operano senza concessione.

Per vederci chiaro, il 31 agosto abbiamo avanzato richiesta formale al Comune di conoscere quante concessioni per sfruttamento di agri marmiferi siano state rilasciate dal 1995 ad oggi.

Nella sua risposta del 30 settembre il Comune ci informa non solo che i procedimenti relativi alle domande di concessione non sono ancora stati adottati dai competenti organi comunali, ma anche che il Comune non ha ancora adottato lo schema di atto di concessione e del relativo disciplinare (comprendente anche la determinazione del canone), schema che è tuttora in fase di concertazione con le parti sociali.

In poche parole, il Comune ammette candidamente che:

  • le concessioni non sono state rilasciate;
  • in 15 anni il Comune non ha nemmeno predisposto il modulo della concessione e del disciplinare, cioè il modulo di “contratto” che Comune e concessionario devono firmare;
  • il modulo non è stato redatto perché non si è trovato un accordo con gli imprenditori delle cave (in particolare sull’importo del canone da pagare).

In poche parole, le cave operano senza concessione, dunque senza alcun diritto allo sfruttamento, dunque in condizioni di illegalità.

 

Illegittima la perpetuità di fatto delle concessioni

Ma l’illegittimità nel settore estrattivo è ben più vasta.

Già la Commissione consultiva nominata dal Comune nel 2002 dichiarava illegittima la modifica apportata al Regolamento sugli agri marmiferi che portava la durata della concessione da 20 a 29 anni e ne prevedeva il rinnovo automatico alla scadenza.

Tale modifica «ripristinava di fatto la perpetuità del diritto estense, in piena contraddizione con la sentenza della Corte Costituzionale n. 488/95 che afferma la regola della temporaneità delle concessioni».

La concessione in perpetuo di un bene appartenente al patrimonio indisponibile del Comune, infatti, attribuirebbe al privato concessionario una “quasi proprietà”, in contraddizione col regime dei beni pubblici.

 

Il principio del canone in base al valore di mercato: ripristinato formalmente, violato di fatto

La Corte costituzionale, inoltre, affermava che il canone deve basarsi sul valore di mercato previsto dalla legge n. 724/1994 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) che stabilisce che i canoni annui per i beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni sono determinati dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei beni, ad un valore non inferiore a quello di mercato (art. 32, comma 8).

Correggendo l’illegittimità di una precedente modifica al Regolamento sugli agri marmiferi, nel 2005 il Consiglio comunale ripristinava il principio che «il concessionario è tenuto a corrispondere al Comune un canone in relazione al valore di mercato» e precisava che questo doveva corrispondere a non oltre l’8% del valore di ciascuna qualità e tipologia di marmo, basato sui prezzi di mercato (da rivedere ogni due anni).

Tuttavia tale principio, formalmente ripristinato, è stato disatteso di fatto.

Il Comune, infatti, ha proseguito a non determinare il canone, stabilendo tariffe per le varie tipologie di marmo mediante accordi con gli imprenditori, senza alcuna indicazione del valore di mercato della produzione e, quindi, in aperta violazione del diritto e del Regolamento.

L’illegittimità di questo sistema tariffario è stata ulteriormente peggiorata dagli accordi successivi che hanno accorpato in sole tre fasce le precedenti otto fasce di qualità dei blocchi (soggette ad altrettante tariffe), con evidente compromissione della possibilità di calcolare il canone in base all’effettivo valore di mercato dei blocchi estratti.

 

Il Comune rinuncia alla sua potestà regolamentare

La stessa determinazione delle tariffe attraverso un accordo con gli imprenditori è un’ulteriore grave illegittimità.

Già nel 2002, infatti, la Commissione dichiarava «inammissibile la richiesta di un impegno del Comune a non deliberare in materia del settore Marmo, se non nel quadro di una concertazione tra le parti. Infatti la potestà regolamentare del comune deve essere liberamente esercitata senza condizionamenti esterni».

Ciononostante, anche nell’ultimo accordo del 2008, oltre a concordate le tariffe, il Comune si impegnava a sottoscrivere un protocollo di intesa su tempi e modalità di soluzione delle problematiche evidenziate dagli imprenditori, in particolare sul rilascio delle concessioni.

E anche il mese scorso, nella sua risposta, il Comune ci informa che sulla determinazione del canone «influisce, proprio per espressa previsione regolamentare, l’eventualità di accordi tra il Comune e le associazioni di categoria degli operatori economici del settore».

Insomma, da 15 anni il Comune, in nome della scelta politica della concertazione, non applica il canone di concessione, ma tariffe concordate con gli imprenditori.

In tal modo, viola platealmente la legge 724/94 (come sancito dalla Corte costituzionale) e viene meno al suo potere e dovere di decidere autonomamente secondo legge.

 

Ingente danno alle entrate comunali

I risultati di questa politica sono l’illegittimità in cui è mantenuto l’intero comparto estrattivo, con una situazione sfuggita al controllo pubblico e il rischio di speculazioni e di illegittime sub-concessioni di fatto.

Ma ancor più grave è il “combinato disposto” delle scelte del Comune di prevedere la perpetuità di fatto delle concessioni, di rinunciare al suo potere/dovere di determinare il canone in base al valore di mercato e di impegnarsi a fissare tariffe concordate con gli imprenditori del marmo.

È infatti evidente che in questo modo il Comune consegna agli imprenditori sia la proprietà di fatto delle cave, sia il potere di fissare tariffe a loro convenienti.

Le conseguenze concrete delle scelte politiche delle Amministrazioni comunali succedutesi nel tempo sono un ingente danno erariale alle case comunali.

A fare le spese di questa situazione è la popolazione, che viene privata di un adeguato indennizzo e subisce un’altissima pressione in termini di vivibilità (intenso traffico dei camion del marmo, elevati livelli di polveri sottili, rumore, vibrazioni, dissesto del manto stradale, ecc.) con danni alla salute e alle attività economiche, compromissione delle sorgenti, impatto ambientale e paesaggistico.

Grazie alle scelte compiute, il Comune, sebbene attraverso una legittima determinazione del canone di concessione avrebbe potuto reperire ingenti risorse, si trova oggi a non avere risorse nemmeno per piccoli interventi di mitigazione dell’impatto ambientale delle cave, quali la sistemazione delle canaline di scolo sulle strade montane e l’impianto di lavaggio per i camion del marmo (fonte primaria di polveri sottili).

 

Ripristinare la legalità, rimpinguare le casse comunali

È dunque necessario che il Comune modifichi il Regolamento sugli agri marmiferi, ripristinando la temporaneità delle concessioni (con durata 10 anni) ed eliminando il rinnovo automatico.

Analogamente, è necessario che il Comune provveda a determinare autonomamente il canone di concessione sulla base del vero valore di mercato della produzione, escludendo questo campo da ogni concertazione, in quanto assolutamente illegittima.

A tal fine, alla sua scadenza ogni concessione deve essere messa all’asta.

Non per nulla la legge sulla razionalizzazione della finanza pubblica (724/1994) precisa che il canone annuo è determinato dai comuni in rapporto alle caratteristiche dei beni, ad un valore non inferiore a quello di mercato.

Dunque non solo occorre determinare il valore del tipo di marmo presente in ciascuna cava, ma questo è solo la base di partenza per stabilire il canone: sono le offerte presentate all’asta, infatti, a determinare il vero valore di mercato.

È del tutto evidente che questa procedura consentirebbe di ricavare canoni ben più elevati delle attuali tariffe.

Concordando le tariffe con gli imprenditori dunque, i nostri amministratori non solo compiono una inammissibile violazione della legge, ma arrecano un ingente danno erariale alle casse comunali (e ai cittadini), del quale potrebbero essere chiamati a rispondere personalmente.

Chiediamo dunque al Comune di porre fine alle trattative con gli industriali elemosinando qualche briciola, di ripristinare la legalità sia adeguando alla legge il Regolamento degli agri marmiferi, sia nella pratica, smettendo di tollerare l’escavazione in assenza di concessione e mettendo all’asta queste ultime per un periodo limitato (10 anni), affidandole al miglior offerente.

Carrara, 27 ottobre 2010
Legambiente Carrara

 



Per saperne di più:

Sui canoni di concessione delle cave, entrate comunali, illegittimità, proposte:

Gli Atti dell’incontro di presentazione della proposta Legambiente di nuovo Regolamento degli agri marmiferi (15/2/2013)

Ecco il nuovo Regolamento degli agri marmiferi proposto da Legambiente (9/2/2013)

Cave: illegittimità e danno erariale. Esposto contro amministratori a Procura e Corte dei Conti (12/7/2012)

Carrara aumenta le tasse per non far pagare le cave che smaltiscono abusivamente le terre (7/7/2011)

Tariffe marmo: ecco la proposta di Legambiente (6/5/2011)

Canoni di concessione cave: le scelte del Comune impoveriscono la città. Esposto a Procura e Corte dei Conti (14/10/2010)

 Le cave operano senza concessione: la risposta del comune a Legambiente (30/9/2010) (222 KB))

 Commissione consultiva su cave, concessioni, canoni: Relazione conclusiva 2002 (1,83 MB)

 Sentenza Corte Costituzionale 488/1995 su concessioni cave (1,49 MB)

 


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