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Come tutelare le Apuane? La ricetta del Parco: non bastano le cave, aggiungiamo i frantoi!

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Firenze, lì 14 luglio 2015

Al Parco Regionale delle Alpi Apuane
PEC: parcoalpiapuane@pec.it

 

Oggetto: Cave Castelbaito-Fratteta, Fivizzano (Marmi Walton Carrara Srl): osservazioni al progetto di utilizzo del frantoio mobile

 

Il progetto prevede l’utilizzo di un frantoio mobile, vietato dalla delibera del Consiglio Direttivo del Parco n. 22 del 13/7/2009, ma reso possibile dalla deroga approvata dal Consiglio stesso con Delibera n. 5 del 19/2/2015.

 

1. Una deroga da ritirare: è basata su presupposti infondati!

 

In primo luogo si intende esprimere la più ferma riprovazione per tale deroga, in quanto sostenuta da motivazioni palesemente infondate e pretestuose, riassumibili nell’argomentazione che i frantoi in cava permetterebbero di allontanare una maggiore quantità di scaglie a parità di viaggi, favorendo così la rimozione dei ravaneti esistenti e riducendone l’impatto paesaggistico e idrogeologico.

In realtà il presupposto di fondo della delibera è infondato per almeno tre buone ragioni:

  • un determinato volume di scaglie grossolane, se sottoposto a frantumazione, non si riduce di volume ma, al contrario, AUMENTA il proprio volume (in misura tanto maggiore quanto più finalmente viene macinato); perciò per essere trasportato richiede un numero MAGGIORE di viaggi(1); il frantoio dunque non solo non favorisce il raggiungimento dell’obiettivo dichiarato, ma è addirittura contrastante con esso;
  • anche se il volume si riducesse con la frantumazione (ma così non è), il numero di viaggi resterebbe comunque inalterato, visti i limiti di massa imposti dal codice della strada (sulle 30 t, per i camion abitualmente usati);
  • nel caso specifico, poi, dovendo i camion viaggiare semivuoti (con un carico medio di 15 t) per transitare sulla strada Spolverina-Tendola-Ceserano (Tab. 5.4 della Relazione tecnica), il numero di viaggi resta assolutamente invariato (15 t a viaggio), indipendentemente dalla natura del carico (scaglie, granulati o polveri).

Non va poi dimenticato che per il raggiungimento dell’obiettivo –più che condivisibile– della rimozione dei ravaneti esistenti il Parco disporrebbe di uno strumento semplicissimo: basterebbe condizionare la pronuncia favorevole di compatibilità ambientale alla rimozione dei ravaneti. Non si comprende perché il Parco non abbia disposto questa prescrizione.

In ogni caso, considerato che i presupposti motivanti la delibera di deroga sono radicalmente infondati, riteniamo che il Consiglio direttivo del Parco debba prenderne doverosamente atto, deliberando il ritiro della delibera n. 5/2015 per infondatezza dei suoi presupposti.

 

2. Motivazione reale del frantoio: solo il profitto

 

Nella Relazione tecnica (pag. 5) si motiva il progetto con l’affermazione «il frantoio mobile si pone all’interno del ciclo nell’ultima fase (la movimentazione del detrito: ndr) in quanto viene inserito per la riqualificazione ed il più facile allontanamento del detrito prodotto in risulta dalla coltivazione della cava che ha scopo unico produrre materiali per usi ornamentali». Ritenendo che il Parco debba esprimersi secondo una logica rigorosa, facciamo osservare che entrambe le motivazioni addotte sono insostenibili.

La motivazione del “più facile allontanamento del detrito” è platealmente smentita dal fatto che, in realtà, l’introduzione del frantoio complica l’allontanamento del detrito: questo, infatti, anziché essere semplicemente prelevato con ruspe e caricato su camion, richiede operazioni supplementari (prelievo con ruspe, scarico nella tramoggia, frantumazione, accumulo del detrito franto, prelievo con ruspe, carico su camion).

Anche il richiamo alla “riqualificazione” è insostenibile: se riferito alla cava, anche ammet-tendo che l’inserimento del frantoio eserciti un impatto contenuto, non può certamente riqualificarla (anzi, magari di poco, ma sicuramente ne aggrava la situazione paesaggistica e idrogeologica). Più probabilmente, però (come desumibile dalla lettura letterale), il richiamo è riferito al detrito e “riqualificazione” è da intendersi come “valorizzazione”, come desumibile dal par. 5.5 della Relazione tecnica dove si afferma che il frantoio mobile «abbatterebbe i costi aumentando la produttività e la qualità del sottoprodotto».

Al riguardo si fa osservare che:

  • la valorizzazione del detrito può essere conseguita frantumandolo in un impianto situato al di fuori dal Parco;
  • la motivazione del profitto economico privato non può condizionare le scelte del Parco a tal punto da indurlo a consentire l’introduzione di un impianto industriale nel Parco.

 

3. Rimozione del ravaneto esistente? Una vera beffa

 

Il progetto, evidentemente per giustificare la sua ammissibilità ai sensi della delibera del Parco n. 5/2015 (che, si ricorda, è formalmente motivata dall’obiettivo di ridurre i ravaneti esistenti), è intitolato «Intervento pilota per l’utilizzo di frantoio mobile finalizzato alla gestione dei detriti prodotti dalla attività di escavazione o alla rimozione di ravaneto esistente non naturalizzato, destinato a definitivo ripristino ambientale».

A rafforzare tale finalità dichiarata, nella nota alla Tab. 5.4 si specifica che «l’eccedenza del trasporto (rispetto ai detriti prodotti: ndr) giustifica la capacità del ciclo di poter farsi carico anche di parte del materiale giacente nel ravaneto, giusto il parere BAPSAE di LU e MS in cui si richiede, appunto, a procedere subito anche alla riduzione del ravaneto esistente».

Il concetto è ribadito nel par. 5.5 della Relazione generale in cui si afferma che il frantoio permetterebbe «di rimodulare i quantitativi da asportare di detrito, ovvero di diminuire nei primi 3 anni quello proveniente dalla produzione dei blocchi, aumentando lo smaltimento di quello giacente nel ravaneto. In questo modo si potrà immediatamente abbattere l’impatto visivo di tutta l’area estrattiva, in particolare del ravaneto a valle della stessa».

Basta però un elementare “conto della serva” sui dati della Tab. 2 per cogliere tutta l’inconsistenza e la strumentalità di queste affermazioni. Infatti, delle 330.450 t di detrito allontanato nei 5 anni, ben 326.200 t (pari al 98,7 %) proverrebbe dalle lavorazioni, mentre quello proveniente dal ravaneto esistente sarebbe solo l’1,3 %. In altre parole, il progetto stesso riconosce che l’introduzione del frantoio è finalizzato per il 99% a soddisfare le esigenze produttive e solo per l’1% a soddisfare quelle del Parco e della Sovrintendenza per le Belle Arti e il Paesaggio.

 

4. Maggior rischio di inquinamento dell’acquifero

 

La problematica della tutela dell’acquifero dall’inquinamento è affrontata in maniera estremamente sbrigativa. Nel Cap. 3 della Relazione tecnica (pag. 5) si afferma che «i materiali di risulta dall’escavazione rispettano le concentrazioni soglia di contaminazione compatibili con il sito di destinazione e non vi sono pericoli di contaminazione per le acque di falda».

Tuttavia il progetto prevede 4 aree di deposito temporaneo in cui i detriti sono sistemati in cumuli esposti agli agenti atmosferici. Pertanto, durante le piogge, i cumuli saranno dilavati e i materiali fini, infiltrandosi nelle fessure, raggiungeranno l’acquifero, inquinandolo. A sostegno di questa affermazione, onde evitare di ripetere quanto già diffusamente argomentato, rimandiamo alla lettura delle nostre osservazioni formali al piano di coltivazione Castelbaito-Fratteta del 18/11/14 (alle pag. 2-5) che per comodità si allegano alla presente (sebbene, evidentemente, non siano state prese in seria considerazione nell’espressione della pronuncia di compatibilità). È comunque evidente che, poiché la frantumazione genera materiali fini, ne risulta accresciuto il rischio di intorbidamento dell’acquifero.

Altri riferimenti ai materiali fini sono contenuti a pag. 8, tra gli interventi di mitigazione che prevedono il «mantenimento costante della pulizia dei piazzali e dei piani segati, raccogliendo e stoccando il residuo fine» e la difesa dal dilavamento degli accumuli temporanei mediante argini e canalette. Anche queste previsioni sono palesemente impegni dichiarati solo pro forma; non intendiamo intentare un “processo alle intenzioni”, bensì ai fatti: le stesse foto allegate al progetto del frantoio e al piano di coltivazione mostrano piazzali, piani segati e tutte le superfici di cava completamente invase da fanghi di terre e marmettola: è l’esatto contrario del dichiarato «mantenimento costante della pulizia dei piazzali…».

 

6. Conclusioni

 

Si chiede pertanto di:

  • esprimere una pronuncia di compatibilità sfavorevole al progetto in quanto, come sopra documentato, solo l’1% dell’attività del frantoio mobile è dedicata a ridurre il ravaneto esistente sebbene questo sia il requisito fondamentale di ammissibilità alla deroga introdotta dal Consiglio direttivo del Parco con la delibera n. 5/2015. Per il restante 99% la finalità dichiarata del frantoio è l’abbattimento dei costi e l’aumento della produttività. Se il Parco dovesse derogare alle sue norme di tutela per conseguire un vantaggio ambientale talmente risibile da configurarsi come una vera beffa, tanto varrebbe che emanasse una deroga generale per consentire ad ogni attività industriale di insediarsi nel Parco;
  • revocare la delibera n. 5/2015 per la manifesta infondatezza dei presupposti dichiarati.

Si richiamano i funzionari al principio di responsabilità e al dovere di motivare adeguatamente un’eventuale diversa decisione (dando puntuale e convincente risposta alle singole osservazioni da noi esposte).

Distinti saluti.

Legambiente Toscana

 
Allegato: Cave Fratteta/Castelbaito: osservazioni al piano di coltivazione (18/11/2014)

 


Note:
(1)     A tale conclusione si può arrivare anche in maniera intuitiva considerando che un blocco di 1 m3 (privo di vuoti), se frantumato in scaglie, occupa un volume maggiore (a causa dei vuoti che si vengono a creare tra una scaglia e l’altra); pertanto procedendo con la frantumazione a granulometrie inferiori, aumenta progressivamente il volume occupato. D’altronde, nel campo dell’idrogeologia e dei materiali da costruzione, è ben noto che riducendo la granulometria aumenta la porosità (cioè la % di vuoti); ecco ad es. la porosità di alcuni materiali: ghiaia grossa 28%, ghiaia media 32%; ghiaia fine 34%; sabbia grossa 39%; sabbia media 39%; sabbia fine 43%; silt 46%. Pertanto 2,7 t di marmo occuperanno 1 m3 se sono in un unico blocco, ma se il blocco viene frantumato, il suo volume aumenterà a 1,28 m3 (se ridotto a ghiaia grossa), a 1,39 m3 (sabbia grossa), a 1,46 m3 (silt).
ERRATA CORRIGE: un blocco di 1 m3 (peso 2,7 t), se macinato in ghiaia grossa cresce di volume ancora di più, occupando ben 1,39 m3 (anziché 1,28 come erroneamente scritto nella nota). Infatti, considerato che nel cumulo di ghiaia grossa il 28% è costituito da vuoti e il 72% da pieni, il peso specifico del cumulo di marmo diventa 2,7 x 0,72 = 1,94 t/m3; il volume finale del cumulo (restando il peso invariato: 2,7 t) diventa perciò 2,7 / 1,94 = 1,39 m3. Analogamente, il volume finale diventa 1,64 m3 se il blocco è ridotto a sabbia grossa e 1,85 m3 se ridotto a silt (cioè limo). Ci scusiamo per l’errore, ma facciamo osservare che ciò rafforza ulteriormente le considerazioni svolte nel testo.



 
Per saperne di più:

Sulle problematiche tra cave e inquinamento delle sorgenti:

Come si progetta l’inquinamento delle sorgenti? Osservazioni alle cave Tagliata e Strinato  (14/6/2015)

Esplosivo dossier sulle cave apuane: le osservazioni di Legambiente  (18/11/2014)

La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (27/3/2014)

Cosa (non) si fa per la protezione delle sorgenti? (16/1/2010)

Nubifragio: sorgenti torbide per lo smaltimento abusivo delle terre (11/7/2009)

Gestire le cave rispettando l’ambiente e i cittadini: le proposte di Legambiente (11/1/2007)

A difesa delle sorgenti: occorre trasparenza e porre ordine alle cave (21/3/2006)

Come le cave inquinano le sorgenti (conferenza, illustrata) (17/3/2006)

  Come le cave inquinano le sorgenti. Ecco le prove. Come evitarlo (Conferenza, relazione di Giuseppe Sansoni, 17/3/2006: PDF, 3,2 MB)

Conferenza Cave e inquinamento sorgenti       (17/3/2006) (pps: 11,2 MB)

Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)

 Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (340 KB)

 

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