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Il piano paesaggistico della Toscana, riferimento imprescindibile per l’azione di tutela e valorizzazione integrata delle Apuane (A. Marson)

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Incontro nazionale:
  Pietrasanta, 14 maggio 2016
Il piano paesaggistico della Toscana, riferimento imprescindibile per l’azione di tutela e valorizzazione integrata delle Apuane

Anna Marson, urbanista

 
 

1. La regolazione delle esternalità ambientali e paesaggistiche dell’attività di escavazione sulle Apuane: una situazione quasi paradossale

 

1.1 perché la regolazione è necessaria?

Siamo in una fase storica nella quale si tende, a volte legittimamente, a criticare l’eccesso di regolazione a mezzo di leggi e altre norme, chiedendo invece semplificazione per i cittadini e le imprese.

In questo caso specifico, quello dell’attività di escavazione nelle Alpi Apuane, le esternalità ambientali e paesaggistiche prodotte da tale attività sono tali, per ampiezza e intensità, e tante da richiedere necessariamente una migliore e più efficace regolazione.

Pur essendo l’attività di escavazione un’attività svolta in questi luoghi da secoli, le modalità di escavazione impiegate, le quantità di marmo estratte e le ricadute (occupazionali, ambientali e paesaggistiche) prodotte si sono negli ultimi decenni profondamente modificate. In particolare, l’occupazione per unità di prodotto estratto è drammaticamente diminuita (senza peraltro eliminare gli infortuni, anche mortali, sul luogo di lavoro), mentre la quantità di materiale asportata è cresciuta in modo esponenziale.

Anche ponendo al centro il punto di vista dell’occupazione, è sempre più evidente la necessità e l’urgenza di regolare i conflitti tra diverse attività (anche economiche) potenziali: l’escavazione, per i propri impatti, impedisce altre attività su un territorio relativamente ampio, con ricadute anche economiche e occupazionali negative per le comunità insediate. E questo “impedimento” non è soltanto temporaneo, in quanto l’attività di escavazione non “usa” il patrimonio territoriale e paesaggistico delle Apuane apportandovi soltanto alcune trasformazioni, ma lo “distrugge irreversibilmente”.

Va inoltre acquisendo sempre maggiore evidenza il fatto che il rispetto della sicurezza del lavoro in cava e il rispetto dell’ambiente/paesaggio rappresentino due questioni strettamente legate.
 

1.2 quali strumenti di regolazione sono intervenuti finora?

Il territorio delle Alpi Apuane è, formalmente, un territorio sul quale insistono diversi strumenti che dovrebbero contemperare le ragioni dell’economia del marmo con quelle della tutela dell’ambiente e del paesaggio.

Dagli anni Cinquanta ai primi anni Settanta del secolo scorso le Apuane sono state oggetto di numerosi decreti per la tutela di specifici Beni paesaggistici; generalmente limitati ad aree molto specifiche; alcuni di questi decreti sono tuttavia territorialmente assai ampi.

Con l’entrata in vigore della legge 431/1985 (cosiddetta legge Galasso) le montagne sopra i 1200 metri, le fasce di 150 metri lungo i corsi d’acqua, gli usi civici e altre categorie sono state classificate complessivamente come “beni paesaggistici”, e assoggettati alla relativa tutela.

Nel medesimo anno, il 1985, è stato istituito il Parco regionale delle Alpi Apuane, individuando un’area di maggior tutela, e una serie di aree contigue (alcune intercluse nell’area di maggior tutela) nelle quali è ammessa l’attività di escavazione.

Il Parco regionale, che a sua volta in quanto tale rientra nella sua interezza fra i “beni paesaggistici” della legge Galasso, avrebbe comunque dovuto regolare le diverse attività presenti per assicurarne la compatibilità con la tutela del patrimonio ambientale e paesaggistico del parco.

Ci sono voluti quasi vent’anni perché si arrivasse alla sola proposta di Piano (2002); nel 2007 è stato adottato un Piano del Parco (riadottato ne1 2012, e ulteriormente modificato nel 2014) monco tuttavia di qualsiasi regola relativa alle attività estrattive, stralciate dal Piano, ancorché costituiscano la principale minaccia in corso.

A più di 30 anni dalla sua istituzione, il Parco non ha dunque ancora nemmeno proposto formalmente l’adozione di un piano per le attività di escavazione presenti nelle aree contigue, nemmeno per quelle intercluse all’interno dell’area di maggiore tutela!

Il Piano di Indirizzo Territoriale regionale, approvato nel 2007, non ha trattato la questione del governo dei conflitti tra patrimonio territoriale e attività di escavazione, anche per il carattere di relativa astrazione nella rappresentazione dei territori e delle relative poste in gioco; e nemmeno l’ha trattata il tentativo di integrazione paesaggistica al PIT adottato nel 2009, che peraltro non comprendeva i beni paesaggistici.

Il Piano paesaggistico (integrazione paesaggistica al PIT) adottato nel 2014 e approvato nel 2015 è quindi, paradossalmente, il primo piano a trattare con una specifica attenzione il tema della regolazione dei conflitti fra attività estrattive e tutela del paesaggio nelle Alpi Apuane.
 

1.3 il Piano paesaggistico

Il Piano paesaggistico, per quanto attiene alle Alpi Apuane e alla regolamentazione delle attività di escavazione che vi insistono, ha avuto come noto varie versioni che si sono succedute nel tempo.

Una prima proposta di giunta, deliberata a gennaio 2014, prevedeva la chiusura progressiva di tutte le cave presenti nelle aree intercluse all’interno dell’area di massima tutela del Parco; tale proposta ha dovuto essere riconsiderata per l’ostilità non solo delle imprese interessate (che avevano presentato immediatamente una serie di ricorsi al Tribunale amministrativo regionale contro di essa, pur non essendo il piano nemmeno adottato), ma di tutti i Comuni dell’area.

La seconda proposta deliberata dalla Giunta qualche mese dopo è stata l’esito di un intenso confronto praticato innanzitutto con i Comuni, alla fine condivisa con la maggioranza di essi e successivamente adottata, pur con alcune ulteriori modifiche finalizzate ad alleggerirne le regole, dal Consiglio Regionale a fine luglio 2014. Nel Piano adottato era prevista la chiusura soltanto per alcune cave intercluse, ma venivano introdotte regole più stringenti per tutte le attività di escavazione, e in particolare per quelle sopra i 1200 m.

Delle circa seicento osservazioni pervenute sul piano adottato, diverse decine erano riferite alle norme previste per le attività di escavazione nelle Apuane. Le controdeduzioni alle osservazioni elaborate dagli uffici regionali e fatte proprie dalla giunta sono state oggetto, in commissione consiliare, di moltissimi emendamenti, finalizzati in gran parte non solo a una sostanziale riduzione delle regole di tutela, ma persino di stravolgimento di senso dei riferimenti conoscitivi e degli obiettivi dettati dal piano per l’azione nei diversi ambiti paesaggistici riferiti alle Apuane.

Nel Piano infine approvato congiuntamente dall’assemblea del Consiglio regionale e dal Ministero dei beni culturali e del paesaggio vi è stato un recupero dei contenuti di tutela indispensabili a qualificare un piano paesaggistico, pur prevedendo alcune eccezioni, in particolare per le cave di proprietà comunale o collettiva.

Non l’ottimo dunque (categoria decisamente non pertinente quando è in gioco un voto politico), ma il meglio che è stato possibile ottenere nella situazione politica data, considerando che il Piano era per sua natura legittimato a trattare le esternalità paesaggistiche, non ambientali (a meno che queste non comportassero anche effetti indotti e verificabili sul paesaggio).

Il piano approvato è stato oggetto di ricorsi contrapposti (numerosi presentati dalle imprese di cava; uno da alcune associazioni). Mi chiedo se davvero sia meglio, per entrambe le parti in causa, da un lato coloro che rappresentano le imprese di cava, dall’altro chi sostiene di rappresentare gli interessi dell’ambiente e del paesaggio, non avere alcuna regola codificata, e continuare ad avere invece pareri (in merito alla compatibilità paesaggistica) con un elevato livello di discrezionalità.

Davvero è meglio non conoscere nemmeno qual è esattamente il perimetro dell’area autorizzata all’attività di escavazione, e avere piani di coltivazione che costituiscono un riferimento spesso soltanto formale per l’attività pratica di escavazione? (non lo dico io: lo afferma, sia pur con altre parole, il Procuratore della Repubblica di Massa).

L’esperienza del coordinamento apuano mi sembra felicemente dimostrare il contrario. In questi mesi, mettendo in comune le disponibilità a svolgere una faticosa attività di volontariato, le molte associazioni che vi aderiscono stanno dimostrando l’importanza di disporre di regole di riferimento, in questo caso i contenuti del Piano paesaggistico, per poter seguire pubblicamente le istruttorie in corso e migliorare la qualità delle decisioni formalmente assunte in nome dell’interesse collettivo.
 

1.4 La regolazione nella pratica quotidiana

Il Piano paesaggistico non si applica da solo in modo automatico: la sua attuazione è affidata ai molteplici soggetti che esercitano le competenze di riferimento, ciascuno con il proprio ruolo: Mibact, Parco, Comuni, Regione.

I soggetti istituzionali chiamati ad applicare le regole contenute nel Piano paesaggistico nella loro attività sono inoltre a loro volta rappresentati dalle persone nominate o elette in rappresentanza delle istituzioni, che si trovano a essere “attori” della regolazione nella pratica quotidiana.

La domanda “chi rappresenta chi” è dunque in questa situazione non soltanto lecita, ma irrinunciabile. A titolo puramente esemplificativo: i Comuni rappresentano gli interessi delle comunità o delle imprese di escavazione? E il Parco? Non dovrebbe in teoria tutelare l’ambiente e promuovere la sua messa in valore sostenibile? E le persone formalmente designate dagli enti territoriali in rappresentanza delle associazioni ambientaliste, le rappresentano davvero sempre in modo qualificato? Ricordo il mio stupore nell’apprendere di alcune designazioni del Consiglio regionale in proposito.

Per quanto codificati siano i contenuti del piano, la qualità complessiva di questi attori, e gli interessi effettivamente rappresentati, sono decisivi nel determinare come il piano viene e verrà gestito nella sua applicazione. Come collettività è importante pretendere che chi rappresenta i diversi soggetti sia il più possibile qualificato a farlo, offrendo quindi sufficienti garanzie per l’assunzione di decisioni a nome dell’interesse “pubblico”.

La nuova legge in materia di Governo del territorio (LR 65/2014) introduce comunque alcuni strumenti utilizzabili anche da qualsiasi cittadino toscano: la possibilità di accesso agli atti senza obbligo di motivazione; la partecipazione come attività obbligatoria per la formazione dei piani, (inclusi i piani di bacino estrattivo previsti dal Piano paesaggistico).

È fondamentale concepire gli strumenti di regolazione vigenti come strumenti di tutti, non solo delle istituzioni che dovrebbero rappresentarci. L’osservazione partecipata è una pratica che può essere utilmente sviluppata, e che dovrebbe potersi basare su Osservatori locali, oltre che sull’Osservatorio regionale del paesaggio, come interpretazione virtuosa della sussidiarietà.

Rispetto alle diverse competenze di regolazione, anche se crescono in parte quelle della Regione, la principale innovazione apportata dal Piano paesaggistico è comunque la presenza di una serie di regole di riferimento per l’esercizio delle diverse competenze, che unite a una maggiore partecipazione possono effettivamente diminuire considerevolmente la discrezionalità delle decisioni.

 

2. Oltre la regolazione, la costruzione di alternative di sviluppo endogeno multifunzionale (community led development)

La discussione intorno al Piano paesaggistico che si è avuta finora ne ha messo in luce prevalentemente, se non esclusivamente, gli aspetti regolativi, le “norme”. In realtà, il Piano ha anche dei contenuti finalizzati a sostenere la costruzione di un diverso sviluppo per le Apuane.

In generale, le riflessioni alla base del piano paesaggistico nel trattare questo territorio sono quelle di riuscire a mettere in valore, innanzitutto per le comunità locali, lo straordinario patrimonio territoriale e paesaggistico costituito dalle Apuane, garantendone la riproduzione per le future generazioni.

Nella articolazione complessiva il PIT, e la sua integrazione paesaggistica, non contengono infatti soltanto norme di tutela, ma anche “indirizzi strategici per lo sviluppo socio-economico del territorio, orientandolo alla diversificazione della base produttiva regionale e alla piena occupazione”.

Concorrono a ciò gli indirizzi per le politiche, gli obiettivi di qualità e le direttive presenti nel Piano per i diversi ambiti di paesaggio. Gli “indirizzi per le politiche” del Piano paesaggistico “costituiscono riferimento per l’elaborazione delle politiche di settore, compresi i relativi atti di programmazione, affinché essi concorrano al raggiungimento degli obiettivi del Piano”.

Le direttive, a loro volta, “costituiscono disposizioni che impegnano gli enti territoriali all’attuazione di quanto in esse previsto al fine del raggiungimento degli obiettivi generali e di qualità indicati dal Piano…” (art. 4 Disciplina del piano).

Giuseppe Sansoni, nell’ottimo powerpoint del suo intervento, ne riporta alcune esemplificazioni riferite alla gestione delle cave.

Qui a seguire riporto invece alcune esemplificazioni dei contenuti del Piano paesaggistico che fanno riferimento ad altre e diverse alternative di sviluppo per le Apuane.

Indirizzi per le politiche:

    “Contrastare, anche attraverso norme di sostegno economico, i fenomeni di spopolamento delle valli interne e di abbandono del relativo territorio, favorendo il recupero dei centri abitati in chiave multi-funzionale”

Obiettivi di qualità:

    “Salvaguardare il paesaggio della montagna, contrastare i processi di abbandono delle valli interne e recuperare il patrimonio insediativo e agrosilvopastorale della montagna e della collina”

… e direttive correlate:

    “garantire l’offerta di servizi alle persone e alle aziende agricole:
    valorizzare i caratteri identitari […] favorendo lo sviluppo di un’agricoltura innovativa che coniughi competitività economica con ambiente e paesaggio, promuovendone i prodotti e un’offerta turistica e agrituristica coerente con il paesaggio”
    “mantenere attività agrosilvopastorali che coniughino competitività economica con ambiente e paesaggio”

A chi si rivolgono i diversi “indirizzi”, “obiettivi” e “direttive” del Piano? Innanzitutto alle diverse politiche, anche settoriali, della Regione, e poi via via agli altri enti pubblici che esercitano le diverse competenze.

Anche in questo caso, le comunità locali non possono tuttavia attendersi che siano le istituzioni con sede magari a Firenze ad attivarsi in tal senso, senza una spinta propulsiva che giunga dai territori interessati.

Il Piano paesaggistico contiene in sé la legittimità normativa e i contenuti di merito per costituire un riferimento imprescindibile per l’azione di tutela e valorizzazione integrata delle Apuane. Sarà tuttavia effettivamente tale soltanto se interpretato in modo attivo dalle comunità che condividono questo obiettivo: ambizioso e faticoso, ma possibile.
 



Per saperne di più:

ATTI dell’incontro Stati Generali delle Alpi Apuane  (14/5/2016)

 

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