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Verso un futuro sostenibile per le Alpi Apuane (F. Baroni)

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Incontro nazionale:
  Pietrasanta, 14 maggio 2016

Guardare il cielo e non il dito.

Il futuro sostenibile delle Alpi Apuane è una prospettiva concreta e in movimento

Fabio Baroni

Rappresentante del Coordinamento Apuano
 

Ricchezza e diversità territoriale

Quando si deve decidere dove andare a cena, avendo per scelta l’Hotel Principe di Piemonte oppure la pizzeria dietro casa, per prima cosa si verifica quanto abbiamo in tasca. E, dunque, quale sia il nostro patrimonio. Da qui, dunque, partiamo, dal capire quale sia il patrimonio delle Alpi Apuane.

Le Apuane sono una terra compresa, in buona parte nella Provincia di Massa Carrara e in parte nella Provincia di Lucca. È una terra che non solo ha, come poche province di Italia, il mare e la montagna ma addirittura due tipi di montagna (l’Appennino più dolce e lineare e le Apuane, che prendono i caratteri delle Alpi) e due tipi di mare (la costa scoscesa delle Cinque Terre, da Portovenere e il Corvo, e le spiagge sabbiose dalle Marine a Forte dei Marmi e Viareggio). Ho citato, come vedete, due aree, Cinque Terre e Versilia, che sono regioni conosciutissime al mondo.

Fra quei monti e il mare c’è una grande diversità morfologica e biodiversità. Dalle acque, una rete di laghi, seppure artificiali (quelli dell’ENEL) che sono diventati pezzi di paesaggio (da Vagli a Gramolazzo a Isola Santa a Pontecosi ai laghi della Turrite) fino a fiumi che sono, a volte, canyon selvaggi, orridi e, altre, fiumi dolci di fondovalle. E così per tante altre diversità ambientali che producono un’agricoltura biodiversa che permette di avere, nello spazio limitato del territorio, dal Prosciutto di Parma al Parmigiano reggiano agli slow food lardo di Colonnata, acciughe di Monterosso, biroldo di Garfagnana, ecc. fino ad avere il 50% dei pani slow food italiani, la Marocca di Casola, il pane di patate garfagnino, il testarolo.

 

Il patrimonio storico e naturalistico

E ricchezze storiche di grande importanza. Non solo vi sono nelle (e a corona delle) Apuane terre molto forti come la Lunigiana, la Garfagnana, la Versilia, le Cinque Terre; non solo vi è una rete di castelli in Lunigiana e Garfagnana che altrove (la Loira, il Trentino) ha dato motivo di sviluppo; non solo essa è in Toscana, parte della marca della Toscana, prima nel mondo, ma ha anche, qui, uno dei marchi più forti della Toscana storica, e cioè quel marmo di Carrara che è conosciuto al mondo non per la minuscola e un poco triste cittadina ma per il materiale che ha permesso le più grandi opere del genio umano nei secoli.

E tutto questo patrimonio è dimostrato e dimostra perché vi sia, qui, una cornice ed una rete unica di Parchi naturali: ben sette, due nazionali (il Parco Nazionale dell’Appennino tosco emiliano e delle Cinque Terre) e cinque regionali (Apuane, Montemarcello Magra, Cento Laghi, Frignano e San Rossore) e, soprattutto, perché la massima istituzione culturale al Mondo, l’Unesco, mostri qui un grande interesse: le Cinque Terre sono Patrimonio dell’Umanità Unesco, il Geoparco Apuane è un pezzo del network dei geoparchi Unesco ed è appena nata una Unesco Mab (Man & Biosphere).

 

Infrastrutture strategiche

Potremmo andare, dunque, con questo patrimonio, al Principe di Piemonte…
Ma non basta. Avere, infatti, un grande patrimonio ma non poterlo rendere fruibile ne annulla il valore economico: una cosa bellissima in Groenlandia non è vendibile facilmente.

Non così in questa terra: essa è una delle aree, assieme alle metropoli italiane, più servita dal punto di vista infrastrutturale, per cielo, terra e mare. Una terra servita da due aeroporti, di cui uno, Pisa, scalo internazionale frequentatissimo a mezz’ora dalle Apuane ed un altro a Genova a poco più. Una rete portuale che ci porta ad avere persino uno porto militare ma soprattutto due scali, La Spezia e Marina di Carrara, a cui sbarcano decine di migliaia di croceristi ogni anno. Una rete ferroviaria che ne fa uno dei corridoi intermodali europei, il Ti-Bre, Tirreno Brennero, e che collega ad ogni punto cardinale e, infine, un incrocio autostradale nelle quattro direzioni: nord, Milano e l’Europa, ovest, Genova, la Francia e la Spagna, sud, Roma e il Mediterraneo, est, Firenze e l’Adriatico.

 

Potenzialità condizionate

Da qui, sotto le Apuane, passano ogni anno decine di milioni di persone e la centralità del luogo è chiarissima e ciò dà un’opportunità molto concreta. Dunque, noi possiamo ragionare di alternativa economica.

Tuttavia, la possibilità di realizzare un obbiettivo come questo non dipende dalla volontà o dall’impegno di chi lo propone, per quanto grande possa essere. L’alternativa economica è possibile se le condizioni complessive, oltre quelle già delineate, lo permettono, soprattutto dal punto di vista politico e culturale. Diamo dunque un’occhiata all’evoluzione della monocoltura del marmo e soprattutto alla percezione di essa che esiste nella pubblica opinione.

 

La monocoltura del marmo

Solo 20, 30, 40 anni fa il marmo e la sua lavorazione erano la risorsa propulsiva dell’economia di un intero territorio, gli occupati superavano le diecimila unità, il lavoro di cava era veduto, nei paesi apuani, come un’attività persino eroica e mitizzata (l’uomo che sfida la montagna), il carattere usurante di quel lavoro non era molto diverso da quello di altre attività. Dunque, nel sentimento e nell’opinione pubblica, il marmo era la vita, un’attività positiva in senso lato.

Ma ciò è tanto più comprensibile se si riflette sul fatto che quella che oggi, per noi, è l’alternativa (il turismo, l’agricoltura, la pastorizia, ecc.) o non esistevano ancora (fatta salva la “villeggiatura”) o erano rifiutati –il lavoro contadino– in quel generale processo del dopoguerra che ha portato all’abbandono dell’agricoltura anche e soprattutto culturalmente.

Dunque, era il trionfo del marmo e non avrebbe avuto alcun effetto opporvisi, anche perché la capacità di estrazione delle tecniche era molto più limitata rispetto all’oggi e il problema ambientale era, di conseguenza, assai minore (e certamente molto meno percepito dalle persone).

Oggi, il mondo si è rovesciato. La monocoltura del marmo si è indebolita fortemente proprio nel settore che più la giustificava e cioè l’occupazione (cartina al tornasole di ogni nostro ragionamento) in quanto il numero degli occupati si è ridotto drasticamente (come si legge nel Manifesto delle Alpi Apuane sulla base dei dati sindacali) facendone un’attività parziale e non più trainante dell’economia del territorio.

Il problema ambientale non solo è cresciuto ma soprattutto è percepito –grazie anche al nostro intervento– con ben maggiore forza dalla pubblica opinione ed a livello molto più vasto, essendo diventato un problema nazionale. La pressione delle norme e delle leggi, in molti campi, è cresciuta notevolmente. Il mito del cavatore/eroe si è spento e quel lavoro appare per quello che è: usurante e con una forte dose di rischio.

 

La rivincita del legame con la terra

Se questo è il quadro di difficoltà della monocoltura del marmo, va notato che, nel frattempo, le attività dell’alternativa –turismo, agricoltura, ecc.- sono esponenzialmente cresciute: il turismo è diventato l’attività più forte nel Parco delle Apuane, l’agricoltura e pastorizia stanno ripartendo grazie a quello che si chiama ritorno alla montagna, soprattutto fra i giovani (e il processo ha avuto un’accelerazione ultima con i tanti premi di insediamento di aziende giovanili).

Ma è nel campo della cultura e della percezione che si è avuta una radicale mutazione: oggi fare il contadino è appetito, e ognuno di noi, invitando a cena gli amici, ama dire: “questa è l’insalata del mio orto”, con malcelato orgoglio. Vivere in campagna, la dieta mediterranea (si legga “contadina”), la casa, l’arredo contadino sono diventati status symbol in Italia e lavorare nell’agricoltura è oggi una prospettiva di lavoro percepita come positiva, sicura e duratura.

E, più concretamente, il varo di una legge statale che -stanziando un finanziamento di 100 milioni di euro per lo sviluppo rurale montano di Comuni sotto i 5000 abitanti– individua nel lavoro agricolo in montagna l’ambito di maggior potenzialità espansiva dell’occupazione giovanile ci dice della concretezza del processo neoagricolo (a questo proposito, il punteggio dato dal coltivare terre nel Parco nei bandi regionali è una spinta notevole a riprendere a dissodare proprio quei terreni).

Dunque, oggi, ben pochi padri invitano i figli a fare il cavatore mentre sempre di più sono contenti che essi lavorino nel turismo, nell’agricoltura e nei servizi (commerciali, ad esempio) connessi.

È un fatto che il mondo sia cambiato e l’alternativa economica sostenibile alla monocoltura del marmo, in tutte le Apuane, è oggi una prospettiva credibile e concreta e sempre più percepita come tale.
Vediamo, dunque, i caratteri di tale alternativa.

 

L’alternativa al marmo: a Carrara e Massa

Lo facciamo dividendo due ambiti di analisi e di proposta. Il primo –che non può essere che in ipotesi e di studio– si riferisce all’area dei grandi bacini marmiferi di Carrara e Massa mentre il secondo, che è invece concreto e già attivo, è riferito all’area del Parco delle Alpi Apuane ed ai Comuni apuani che non hanno cave.

Sul primo settore lanciamo una sfida progettuale. Abbiamo letto nel Manifesto delle Alpi Apuane che i lavoratori del marmo, secondo i dati sindacali, sono circa 2000. Bene. Il Coordinamento Apuano lancia la sfida a tutti (dalla politica, al sindacato, all’imprenditoria) con una proposta di turismo, anche di massa, che, giocando, da una parte, sulla straordinaria attrattiva del mondo della cave, grandioso ed orrido, e, da un’altra, sull’altissimo numero di persone che transitano dal territorio, porti a progettare un sistema turistico di visita/fruizione delle cave –una volta dismessa l’escavazione, fatte salve le pochissime cave di marmo migliore da usare solo per l’arte ed il design– che organizzi le tecchie, le bancate, l’immenso reticolo di gallerie, le piscine naturali, le stanze di marmo, gli spazi (ad esempio per fare il più grande museo umano della scultura mondiale) e così via, nonché, ovviamente, le straordinarie ricchezze naturali, le attrattive storiche (le cave romane, ad esempio), l’archeologia industriale enormemente rappresentata qui.

Noi lanciamo una previsione che è un impegno: portare almeno un milione di persone alle cave ogni anno (che, visti i numeri milionari delle Cinque Terre appare del tutto possibile); se queste persone spenderanno una media di 30 euro a testa avremo la somma di 30 milioni di euro l’anno che divisi per posti di lavoro da € 30.000 l’uno (uno stipendio ragionevole) produrrà 1000 posti di lavoro, la metà degli attuali.

Non è provocatorio ragionare in questo modo: mi è capitato di sentire la previsione di un economista che, basandosi sulla media bassa della popolazione brasiliana e sulla bassissima densità di popolazione in quello stato, attende una fase di grande occupazione legata alla costruzione di scuole, strade, ospedali, ecc. Le previsioni si fanno così.

Su questo campo, considerata la crisi strutturale del marmo per l’impossibilità di immaginare un’escavazione duratura, chiamiamo tutti a confrontarsi e valutare, dagli imprenditori ai sindacati alla politica, nella stessa logica del profitto del tutto legittima, l’effettiva ragionevolezza di programmare una progressiva diminuzione dell’escavazione e una parallela riconversione turistica, che appare una prospettiva “ricca”.

 

L’alternativa: nel Parco e nei comuni senza marmo

Ma se la prima è una sfida, una previsione di studio e un impegno, il secondo aspetto di alternativa economica nel Parco e nelle aree senza marmo, è già una realtà concreta (qui il turismo è già la prima attività economica). Qui, per iniziativa di quattro Comuni che hanno scelto la via dello sviluppo locale sostenibile, legata anche al Piano paesaggistico, assieme a associazioni, gruppi, comitati e comunità e con il sostegno scientifico e progettuale della Società dei Territorialisti, è nato, nel 2015, l’Ecomuseo delle Alpi Apuane e l’Osservatorio locale del paesaggio il cui obbiettivo è proprio quello di creare un grande Piano Integrato Territoriale che metta a sistema tutto il vasto patrimonio delle opportunità sostenibili.

E il quadro in cui si opera è questo. Non solo è ampia la rete dei rifugi, dei B&B, degli agriturismi e degli hotel nonché della ristorazione, ma c’è un grande vitalità nell’attività di guida turistica ed escursionistica, dei soggiorni, nella rete delle grotte –fra cui ricordiamo la Grotta del Vento, attività privata che occupa lavoratori quanto diverse cave anziché la meno positiva esperienza pubblica dell’Antro del Corchia, da rivedere profondamente– nei numerosi parchi avventura, e così via.

Ma soprattutto ciò che sta avvenendo è un processo diverso: sta crescendo l’attività agricola che è prodotta da un ritorno alla montagna che è un fatto reale e non un progetto. Siamo dentro questo nuovo scenario.

 

La filiera corta: due conti

Qui la parola magica è “filiera corta” e questo processo garantisce ciò che appare un limite strutturale a tale sviluppo e cioè i finanziamenti. Ragioniamo ancora sul nostro patrimonio facendo due conti.

La popolazione che vive nelle Apuane, comprese alcune propaggini urbane, può essere quantificata in 30.000 persone; se ognuna di queste spende, al giorno, una media di € 4 a testa, fanno 120.000 euro al giorno e, dunque, si quantifica in 43 milioni e 800 mila euro il budget di denaro che, ogni anno, emigra dalle Apuane per andare ad arricchire le multinazionali del food nei supermercati (soldi che, tolti alcuni lavoratori locali nella grande distribuzione, escono dal territorio).

Noi stiamo, non solo proponendo ma anche praticando, con la costruzione di una rete di distribuzione delle produzioni agricole apuane, che gli Apuani intacchino progressivamente quel budget milionario locale, che è qui, nelle tasche loro, acquistando l’alimentare dalle aziende locali: si può quantificare che, tolte tasse ed altre spese, siano a disposizione almeno 30 milioni di euro l’anno che, divisi per stipendi da € 30.000 l‘anno, fanno altri 1000 posti di lavoro. E, dunque, 1000 più 1000 abbiamo raggiunto l’occupazione di 2000 lavoratori, l’obbiettivo posto.

E, qui, ognuno di noi ha un ruolo concreto, come lo hanno le grandi associazioni ambientaliste nazionali che possono diventare “mercato militante” delle produzioni apuane con lo slogan: “Mangio apuano e sano e salvo le Apuane”.

 

L’alternativa è già in cammino

Naturalmente, è impegno dell’Ecomuseo come del Coordinamento Apuano operare per utilizzare positivamente i finanziamenti europei 2014-2020, dei PSR, ecc.

Dunque, non stiamo parlando di nuvole, sogni ed utopie: Eros Tetti sta costruendo una rete sempre più capillare di gruppi di acquisto solidale (GAS); nelle città toscane e attorno alle Apuane, i nostri contadini hanno rigettato la cultura del “prodotto tipico” che condanna la nostra agricoltura a produrre cibi di nicchia con scarsissimo consumo (farina di castagne, funghi, farro, marmellate, miele, ecc.) e producono invece per la dieta quotidiana (patate, ortofrutta, farine, formaggi, ecc.).

Ma, soprattutto, quei giovani contadini hanno le idee chiare. Hanno incontrato e incontreranno presto sindaci, assessori e consiglieri regionali, esponenti della politica e così via e, per loro, hanno un programma di richieste ben concreto: non chiederanno di stampare un depliant del prodotto tipico ma chiederanno:

  1. di potenziare la Banca della Terra (R 80/2012) per snellirla ed avare più facile accesso alla terra, in gran parte incolta, del territorio;
  2. di finanziare un sistema di irrigazione che risponda, anche usando il patrimonio idrico delle Apuane, alle crescenti necessità legate ai cambiamenti climatici;
  3. di finanziare un sistema di mobilità alternativa delle merci, al fine di rendere possibile trasportare frutti, legna, materiali anche nelle valli incassate e scoscese nella nostra terra con teleferiche, cremagliere, ecc.; sull’esempio delle Cinque Terre dove una sistema di carrelli a cremagliera, consentendo di continuare la viticoltura in quei luoghi –diversamente inaccessibili– ha permesso la nascita di un Parco nazionale, un sito Unesco e di una delle esperienze di sviluppo più interessanti d’Italia.

Sviluppo, una parola che intendiamo nel suo reale significato: scioglimento di viluppi, di nodi. Su questo si deve lavorare.
Con fantasia e concretezza, che non ci mancano.

Per questo, per richiamare la fantasia degli Apuani, voglio ricordare un esempio stupendo, da ripensare: il pallone frenato che dalle spiagge della Versilia portava al Matanna sulle Apuane. Un cavo, un solo cavo teso era l’impatto ambientale ma la proposta turistica era –ed è– potentissima, come la cremagliera delle Cinque Terre: ecco con questa fantasia costruiremo l’alternativa ed i futuro sostenibile delle Alpi Apuane.
 



Per saperne di più:

ATTI dell’incontro Stati Generali delle Alpi Apuane  (14/5/2016)

 

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