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Waterfront 3° lotto: riaprire il porto alla città

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Al sindaco di Carrara

 

Oggetto: Campagna di ascolto sul terzo lotto del waterfront

 

Premessa
 

Legambiente ha aderito alla campagna di ascolto avviata dal Comune di Carrara, in riferimento agli elaborati presentati dall’Autorità Portuale e relativi al cosiddetto III lotto del waterfront di Marina di Carrara.

A nostra volta, per formulare un contributo, abbiamo attivato i nostri canali di ascolto e di confronto, non solo con i nostri soci ma anche con altre realtà, sociali e produttive, del territorio.

Questo contributo, dunque, vuole cercare di rappresentare una prima sintesi di questo primo “dibattito”, relativamente al quale ci preme qui formulare alcune preliminari considerazioni.

 

Cos’è un waterfront?
 

Iniziamo dal significato letterale. Così lo definisce il Cambridge Dictionary: «A part of a town that is next to an area of water such as a river or the sea» [Una parte della città prossima ad uno specchio d’acqua, NdR].

Sembra un’ovvietà, ma non la è. I waterfront, infatti, attengono proprio all’identità delle città, e delle comunità che le vivono, molto più che alle attività portuali che vi si svolgono: non sono, cioè, parti o segmenti di un piano regolatore portuale ma, semmai, della pianificazione del più ampio territorio nel quale queste attività devono inserirsi armonicamente. L’interfaccia, dunque, andrebbe definita a partire, anzitutto, dai bisogni delle comunità. Individuando le necessità collettive, indicando le funzioni delle aree in esame, e definendo così gli strumenti progettuali più idonei a soddisfare questi requisiti.

In passato, Legambiente ha più volte avuto occasione di enunciare questi concetti, che crediamo sia necessario ribadire anche qui, su che cosa sia una concreta relazione città-porto-affaccio al mare.

Lo sviluppo industriale che ha interessato indistintamente tutte le aree portuali fino agli anni ’80 è stato caratterizzato dalla costante cancellazione della natura fondativa degli insediamenti sul mare; cancellazione avvenuta sostanzialmente con l’allontanamento della vita urbana dalle banchine del porto. Si pensi, invece, quale pullulare di vita, quale commistione di funzioni era storicamente presente nelle città marinare.

La ricucitura città-porto non può oggi essere risolta con la mera proposizione di nuove accattivanti edificazioni dei fronti mare delle città costiere; neppure seguendo la sola strada trasformatrice delle aree, dismesse o da dismettere, interne ai limiti di competenza delle autorità portuali. Tanto meno la ricucitura territoriale può essere realizzata con i soli interventi infrastrutturali, seppure atti a migliorare i sistemi di collegamento e di accesso alle aree portuali più propriamente intese.

L’urbanistica, e la pianificazione territoriale più in generale, già dalla prima metà degli anni ’90, hanno iniziato a riconsiderare le infrastrutture portuali come “brani” fondamentali, e fondanti, degli insediamenti urbani costieri. Gli studi e gli esempi fin qui realizzati, in tutto il mondo ed anche in Italia, anche se con vari gradi di successo e con soluzioni talora più talora meno condivisibili, sono stati tutti caratterizzati da un unico filo conduttore: quello di ricucire, o tentare di ricucire, il rapporto tra la città e il porto, di riappropriare alle funzioni urbane gli affacci a mare, di cancellare o mitigare il ruolo del porto come mera infrastruttura risultato del solo sviluppo industriale.

Sulla scorta anche degli esempi fino ad oggi realizzati, risulta chiaro che la ricucitura città-porto deve essere anzitutto volta a trasformare infrastrutture rigide e impermeabili, nella maggior parte dei casi divenute avulse dai contesti urbani, in strutture urbane permeabili, non bloccate da rigidi confini, da muraglie e da steccati edificatori, ma aperte alla compenetrazione con le funzioni urbane ed al costante interscambio con le attività più proprie della città.

Ne è scaturito l’assunto che: il punto di mira delle operazioni di ristrutturazione o riqualificazione deve essere spostato dall’infrastruttura porto alla città portuale. La prima sfida, per ricucire il senso urbano della città portuale, è proprio quella di abbattere il “recinto” che ha lasciato isolato il porto, per fare ritornare emblematicamente e concretamente la vita urbana dei cittadini dentro il porto.

Le realtà portuali del terzo millennio tornano, così, ad aprirsi a una storica multifunzionalità, in più casi ragione della stessa nascita di un porto. Un porto contemporaneo deve avere, almeno in alcune sue parti, un contatto diretto con il tessuto urbano. Non ostacola lo sviluppo sul mare della città, non la cinge con nuove divisioni funzionali, non crea nuove barriere, ma anzi rende permeabile l’infrastruttura portuale alle funzioni urbane e, nel caso di Marina, può realizzare il preminente volano di valorizzazione e di rilancio dell’assetto insediativo e turistico dell’abitato, rispondendo alla necessità, ormai improcrastinabile, di definire un ruolo turistico, strategico e qualificato, per Marina di Carrara e per l’intera Riviera Apuana.

 

I limiti dei “lotti”
 

La campagna di ascolto voluta dall’Amministrazione Comunale specifica che i contributi debbano riguardare unicamente il III lotto. Legambiente non intende eludere questa richiesta, ma non può tacere sul limite di questa impostazione. Così come, nel prosieguo, indicheremo anche alcuni significativi deficit nella documentazione messa a pubblica disposizione per la stessa campagna.

La domanda di fondo è dunque se abbia senso o meno procedere alla progettazione definitiva ed esecutiva di un progetto preliminare (livello progettuale peraltro non più previsto dal Codice dei Contratti, come analizzeremo di seguito) che non risponde alle aspettative della città.

Un “preliminare” è infatti un’idea di fondo che prima di tutto deve rispondere alle aspettative di una comunità che si interroga sulle sue esigenze e sulle sue aspirazioni nel vivere il proprio territorio. Tanto più nel caso delle aree oggetto del III lotto, che sono luoghi strategici per recuperare il rapporto con il mare e con le infrastrutture marine come il porto.

Ciò che è stato messo al centro della campagna di ascolto, dunque risponde a queste aspettative?  C’è “l’idea” di fondo e, soprattutto, è condivisa dalle diverse parti interessate? D’acchito la risposta che ci sembra più pertinente è negativa ad entrambe le domande: l’idea di fondo non è definita e la condivisione –oltre che “impossibile– è difficile da garantire.

Volendo scendere anche in dettagli tecnico-giuridici non possiamo fare a meno di osservare:

  1. la documentazione messa a disposizione delle parti interessate (associazioni, privati etc.) reca in cartiglio l’indicazione “Progetto Preliminare”. A tale proposito si evidenzia che:
    • a seguito delle modifiche al Codice, intervenute con l’emanazione del D.Lgs. 18/4/2016, n. 50, vengono individuati (all’art. 23) i diversi livelli di progettazione: «La progettazione in materia di lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo». È del tutto evidente, quindi, che le tavole sottoposte alla consultazione pubblica e alla campagna di ascolto fanno riferimento e livelli di progettazioni non più previsti dalla normativa.
    • anche volendo sorvolare sui meri aspetti formali e di nomenclatura giuridica, va comunque sottolineato come nella campagna di ascolto siano state messe a disposizione unicamente le tavole grafiche (alcune anche di estremo dettaglio, si pensi alle tavole relative ai corpi illuminanti o alle opere d’arte minori (caditoie e chiusini), mancando però del tutto ben altri fondamentali elementi progettuali, previsti dalla stessa normativa, in riferimento al livello progettuale in esame (oggi meglio definito quale “progetto di fattibilità tecnica ed economica quali:
      1. le indagini geologiche, idrogeologiche, idrologiche, idrauliche, geotecniche, sismiche, storiche, paesaggistiche ed urbanistiche
      2. gli studi preliminari sull’impatto
      3. le valutazioni ovvero le eventuali diagnosi energetiche dell’opera in progetto, con riferimento al contenimento dei consumi energetici e alle eventuali misure per la produzione e il recupero di energia anche con riferimento all’impatto sul piano economico-finanziario dell’opera;
      4. le caratteristiche prestazionali, le specifiche funzionali, le esigenze di compensazioni e di mitigazione dell’impatto ambientale, nonché i limiti di spesa

Soprattutto manca del tutto una qualsiasi valutazione comparativa fra più soluzioni, per indicare quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire. Esigenze e prestazioni peraltro del tutto oscure.

Se dunque lo studio di fattibilità (o il “vecchio” preliminare) avrebbe dovuto definire le caratteristiche qualitative e funzionali da soddisfare, il progetto del lotto 3 che ci è stato sottoposto, privo di ogni analisi e studio propedeutico allo stesso, è per alcuni versi ad un livello di progettazione di dettaglio non congruo a questa fase di progettazione, per poi eclissarsi su aspetti molto importanti: destinazione d’uso dei manufatti, reperimento aree di parcheggio, impatto delle nuove volumetrie che hanno una valenza completamente diversa dalle stesse volumetrie a capannone.

Colpiscono –negativamente– poi anche alcune soluzione architettoniche contenute nelle tavole. Come detto, scopo di un progetto water front è quello di amplificare il rapporto città-porto. Ad una disamina pur sommaria della proposta progettuale, infatti, emerge subito una generale avulsione dell’intervento rispetto al contesto urbano di Marina, senza per contro che siano forniti elementi oggettivi di un reale esteso processo di riqualificazione e di rigenerazione urbana innescabile da un intervento di tal genere.

Il progetto, per come concepito, non risulta assolvere neanche alla concretizzazione di quei presupposti di interfaccia porto-città che un tempo la stessa autorità portuale si era prefissata nelle azioni di riorganizzazione dell’area portuale.

Anzitutto, non sapendo quali siano i futuri utilizzi o le destinazioni dell’area portuale che sta a margine dell’intervento, riesce impossibile comprendere con che cosa si debba interfacciare questo progetto.

Ciononostante l’intervento edificatorio proposto, costituito prevalentemente da una stecca di oltre 120 metri di lunghezza con altezze fino a tre piani fuori terra per oltre 14.000 metri cubi di costruito, posta di fatto perpendicolarmente alla maglia urbana di Marina di Carrara, si configura più come una cesura, una cortina, una separazione tra la città ed il porto.

La stessa destinazione d’uso prevista (di foresteria) lascia molto perplessi, sia sotto l’aspetto della fattibilità economica, sia sotto l’aspetto della definizione urbanistica, in quanto non risulta chiarito se trattasi di destinazione ricettiva, commerciale o residenziale (o un mix tra queste), ed in ragione di ciò risultano mancanti i relativi standard urbanistici di legge (soprattutto per quanto attiene i parcheggi).

Il progetto proposto, ancorché preveda una riorganizzazione delle aree di fruizione pubblica e del verde con un certo incremento, non risolve il nodo della qualificazione e della rigenerazione del fronte mare dell’abitato di Marina, proprio perché non va ad incidere sul reale rapporto tra la città e il mare e dunque con il complesso dell’infrastruttura portuale.

Insomma: questa proposta, ben lungi dall’essere un’interfaccia, non fa altro che aumentare la divisione con una cortina di edificato che accentua la separazione.

Mancando del tutto gli elementi sopra indicati, manca anche una qualsiasi valutazione in ordine ai volumi progettati. Vero che si è molto insistito, nelle iniziative di show down al pubblico, sull’equi­valenza fra i volumi esistenti (da demolirsi) e quelli progettuali. Ma è anche vero che ove questo criterio, tenuto conto della particolarità dell’intervento –in area portuale– fosse correttamente messo a confronto con quello della “superficie utile lorda” ne verrebbe restituito probabilmente un quadro di notevole incremento delle nuove costruzioni.

 

Conclusioni
 

Ben si potrebbero sollevare –ma sarebbe azzardato fondarsi sui pochi elementi di conoscenza messi a disposizione– ulteriori rilievi, anche sul piano tecnico. Ma non è questo oggi il punto.

Il punto è invece che, come già sopra largamente argomentato, l’ipotesi di “lotto III del waterfront” sul quale oggi si chiedono contributi non può che essere complessivamente valutata in modo estremamente negativo, soprattutto poiché manca qualsiasi inserimento di tale progetto in un contesto reale –che è anche sociale ed economico– di opere che presentandosi come riqualificazione dell’interfaccia fra porto e territorio in realtà rischiano di separare ancora di più lo scalo dalla città.

Del resto va sottolineato come, pur essendo “competenza” dell’Autorità Portuale, questa progettazione può contare su ingenti finanziamenti, parte dei quali messi a disposizione dalla Regione Toscana: è quindi auspicabile che queste risorse pubbliche siano indirizzate alla progettazione di questo ambito, in sintonia con la pianificazione dell’area di costa che presto vedrà luce con il nuovo POC, magari attraverso un concorso di idee che allo stato dei fatti appare come lo strumento migliore attraverso il quale Comune ed Autorità portuale possano ottenere la migliore impostazione possibile per le problematiche cui il progetto deve dare risposta.

Se è apprezzabile che gli enti abbiano voluto dar luogo a questa fase di ascolto (perché consente di capire le aspettative, individuare bisogni, prospettare soluzioni) il concorso di idee ci sembra il modo con il quale possano davvero emergere, fra le diverse ipotesi, quella che saprà rispondere davvero alle esigenze della comunità e superare quelli che a noi sembrano gli attuali, forti, “limiti”.

Il “Lotto 3”, così come oggi rappresentato, evidenzia stretta connessione con quel progetto selezionato dall’Autorità portuale a seguito di un concorso di progettazione per il cosiddetto “water-front / interfaccia porto-città”, già praticamente accantonato dalle precedenti amministrazioni per la sua palese infattibilità.

Qui il problema non è come abbellire, migliorare o aggiustare un certo progetto, un singolo intervento. Il problema di fondo è semmai la mancanza di una complessiva ed organica pianificazione strategica e territoriale dell’intera infrastruttura portuale, ovvero: quali siano le prospettive di un porto come questo, quali siano e se ci siano scenari di sviluppo, quali possano essere le forme di ristrutturazione, riorganizzazione, riqualificazione, quali i suoi utilizzi futuri all’interno delle evoluzioni attuali e previste dell’economia del mare, e soprattutto quali siano i reali rapporti con la città, come Marina possa tornare ad essere una città portuale e non un abitato che subisce un’infra­struttura, come la città possa tornare ad essere protagonista del suo porto.

Benché, dunque, espressamente “ultroneo” rispetto alla richiesta di contributo avanzata dagli enti, ci sentiamo in dovere di ribadire il vulnus rappresentato dalla mancanza del piano regolatore portuale adeguato e aggiornato. Vi è dunque la necessità, non più procrastinabile, di riaprire il processo per il nuovo piano regolatore portuale il quale è, sì, “piano di settore” ma riveste una valenza territoriale prioritaria nella quale la stessa amministrazione comunale e la comunità locale vogliono e devono essere parte attiva.

Legambiente Carrara
 



Per saperne di più:

Sul porto commerciale e turistico e sul water front:

Accordo Comune-Autorità portuale: serve trasparenza  (19/12/2017)

Un vero water-front: il “primo lotto” utile per la città!  (9/11/2017)

Piano Regolatore Portuale: sogni di grandezza e principio di realtà  (17/8/2015)

Basta al consumo del litorale: ospitare il porto turistico all’interno di quello commerciale (13/12/2010)

Dal processo partecipativo sul water front: una lezione di democrazia (19/7/2010)

Il percorso partecipativo sul water front promosso da AmareMarina: quale futuro per il fronte mare? (30/6/2010)

Porto turistico: un protocollo d’intesa nell’interesse di chi o a favore di che cosa? (3/1/2010)

 

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