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Piani attuativi bacini estrattivi: quali indicatori di sostenibilità?

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Osservazioni al rapporto preliminare IRTA-Leonardo (16 ottobre 2018)
 

Legambiente Carrara, oltre a un’abbondante produzione di analisi e proposte sul comparto marmo, ha presentato tre corposi contributi alla redazione dei piani estrattivi dei bacini estrattivi–PABE (Piani attuativi dei bacini estrattivi: una proposta di buonsenso, quindi rivoluzionaria 10/8/2016; Gestire in sinergia cave, ambiente e rischio alluvionale: 2° contributo alla VAS dei piani attuativi estrattivi 24/9/2016; Il bacino estrattivo di Torano: spunti per una pianificazione integrata 3/5/2018) e ha partecipato all’incontro con i consulenti incaricati della redazione dei piani.

In relazione al processo di consultazione dei portatori d’interesse attivato da IRTA Leonardo, Legambiente ha partecipato agli incontri del 10 luglio e del 16 ottobre, ha compilato il relativo questionario e si propone di presentare un altro contributo nel prossimo incontro. In questa sede, come richiesto, si limita a riportare osservazioni al rapporto preliminare presentato il 16 ottobre nella sala di rappresentanza comunale.

Esprime apprezzamenti per l’analisi socio-economica svolta, che pure ha dovuto fare i conti con una disponibilità di dati disomogenea e frammentaria (o assente, per le quantità destinate alla filiera corta) e per la scelta di utilizzare il concetto di sostenibilità del PIT, che comprende gli aspetti ambientali («… salvaguardando le Alpi Apuane…») e il sostegno economico alla popolazione locale, attraverso la filiera corta.

 

1.     Gli indicatori devono rispecchiare la realtà (i rischi dell’accorpamento dei dati)

 

A nostro avviso, il punto più delicato e critico dello studio sta nella scelta degli indicatori, non tanto in se stessi, quanto perché considerano l’escavazione come un comparto sostanzialmente omogeneo, mentre in realtà è caratterizzato da enormi differenze interne, come mostrano i dati (disponibili presso il Comune di Carrara) dei quantitativi di ciascuna tipologia di materiale (blocchi e vari tipi di detriti) estratti da ciascuna cava dal 2005 (anno di inizio delle registrazioni alla pesa comunale) a oggi.

Per comprendere come i soli dati medi globali forniscano una visione della realtà completamente distorta, partiamo dai dati riportati nella Tab. 4.2 del rapporto preliminare (media 2013-2017): blocchi estratti 912.967 t, sottoprodotti 2.494.198 t, da cui materiale totale estratto 3.407.165 t. La percentuale dei blocchi sul totale estratto risulta 26,8%: fornisce dunque una visione rassicurante, rispettosa della percentuale minima in blocchi richiesta dal PRAER (25%).

Un’analisi di dettaglio sulle percentuali di blocchi e di detriti estratte da ogni cava (nel periodo 2005-2016), invece, fornisce un quadro completamente diverso (Fig. 1).
 

Fig. 1. Cave di Carrara. A sinistra: tonnellate e percentuali dei materiali estratti nel periodo 2005-2016. A destra: numero di cave, raggruppate in classi di percentuali di detriti prodotte. Fonte: elaborazione Legambiente sui dati registrati alla pesa comunale (forniti dal Comune).

 

Il grafico a sinistra, considerando i dati globali (l’insieme di tutte le cave), fornisce una percentuale di blocchi del 22,1% che, pur non rispettando il PRAER, non si discosta clamorosamente dal requisito del 25%.

Il grafico a destra, tuttavia, esaminando la percentuale di detriti prodotta da ciascuna cava, spazza via ogni visione rassicurante e mostra la vera faccia della realtà. Le cave che violano il PRAER, producendo oltre il 75% di detriti, sono infatti 61 (pari al 61%) e ben 29 di esse (nei 12 anni considerati) hanno prodotto addirittura oltre il 90% di detriti (meno del 10% di blocchi).

Vi sono poi 15 cave apparentemente miracolose: 9 di esse (fetta gialla della torta) “producono” tra il 10% e il 50% di detriti (resa in blocchi del 50-90%) e 6 (fetta bianca) hanno una resa in blocchi addirittura superiore al 90%. Trattandosi di rese inverosimili, è del tutto evidente che la resa è semplicemente il frutto dell’abbandono dei detriti al monte (quindi non transitano dalla pesa), in violazione dell’autorizzazione e della legge.

In sintesi, la visione rassicurante che scaturisce considerando i dati medi globali è solo il frutto di una duplice violazione di legge: il 61% di esse produce troppi detriti e il 15% li abbandona al monte.

Restano solo 24 cave che, avendo il 50-75% di detriti (resa in blocchi 25-50%), rispettano il PRAER, anche se non si può escludere che tali rese siano il frutto di una produzione eccessiva di detriti combinata al loro abbandono parziale al monte (soprattutto delle terre).

L’individuazione delle singole cave irrispettose delle regole è facilissima, in quanto desumibile ogni anno dai quantitativi di materiali transitati dalla pesa comunale (Fig. 2). Legambiente denuncia in maniera documentata questi dati fin dal 2006; tuttavia, finora, il Comune ha sempre tollerato queste violazioni.
 

Fig. 2. Le singole cave di Carrara, ordinate secondo percentuali di detriti decrescenti (colonne). Fonte: elaborazione Legam­biente sui dati registrati alla pesa comunale (forniti dal Comune).

 
La visione rassicurante che scaturisce considerando i dati medi globali si trasforma dunque in un incubo se si considerano i dati prodotti da ciascuna cava.

Poiché compito precipuo dei PABE è pianificare le attività estrattive, essi non potranno prescindere dall’analisi di dettaglio e dall’adozione di rimedi efficaci a queste distorsioni e illegalità. A tal fine, nel paragrafo 3 del nostro primo contributo ai PABE (Piani attuativi dei bacini estrattivi: una proposta di buonsenso, quindi rivoluzionaria 10/8/2016) suggerivamo di utilizzare le percentuali di blocchi e detriti (previa verifica di attendibilità) come indicatori per distinguere le cave da chiudere e quelle da mantenere.

Nel paragrafo 2, invece, suggerivamo la realizzazione di una cartografia tematica in cui le aree marmifere siano mappate secondo classi di valore del marmo estraibile; quest’ultimo, infatti, può essere uno dei criteri rilevanti per individuare sia le aree estrattive prioritarie sia quelle che è conveniente escludere dall’escavazione (in quanto, a parità di impatto ambientale, se ne traggono benefici economici limitati).

È evidente che già le due “scremature” suggerite nei citati paragrafi 2 e 3 produrrebbero una prima selezione delle cave “potenzialmente sostenibili”, escludendo le cave con danno ambientale sproporzionato ai benefici (occupazionali e economici) per la comunità. Questa operazione è fattibile, essendo noti, per ciascuna cava, i quantitativi e il pregio dei materiali estratti (almeno per il Comune di Carrara ma, crediamo, anche per quello di Massa).

 

2.     Gli indicatori proposti nel rapporto preliminare IRTA

 

            2.1            L’indicatore di “sostenibilità” generale

 

 
La soglia di sostenibilità proposta è di almeno 0,55 addetti per 1000 t di materiale totale estratto.

In linea teorica, analogamente a quanto detto nel par. 1 delle presenti osservazioni, l’indicatore dovrebbe essere calcolato cava per cava, poiché potrebbero esserci cave ad elevato impiego di manodopera per 1000 t ed altre a basso impiego.

Tuttavia, se si hanno elementi per ritenere che l’intensità di manodopera non differisca notevolmente da cava a cava, si tratterebbe di un buon indicatore poiché, essendo basato su dati facilmente reperibili e aggiornati, sarebbe monitorabile nel tempo.

Affinché l’indicatore non venga utilizzato a giustificazione della realtà insostenibile illustrata nel par. 1, crediamo che il prerequisito del suo utilizzo debba risiedere in due esplicite raccomandazioni:

  • l’esclusione dalle aree estrattive delle cave con danno ambientale sproporzionato ai benefici (occupazionali e economici) per la comunità (ad es. con troppi detriti, come esposto nel par. 1);
  • la rigorosa sorveglianza sull’allontanamento dei detriti dalle cave e sanzioni realmente dissuasive (sospensione dell’autorizzazione e suo ritiro in caso di recidiva) per le cave che abbandonino detriti al monte. È ovvio, infatti, che tale violazione, pur accrescendo il danno, produrrebbe un miglioramento artificioso del valore dell’in­di­catore di sostenibilità.

 

            2.2            Gli indicatori di “filiera corta”
 

 

 
L’indicatore 2a proposto rappresenta la percentuale di blocchi rimasti a Carrara (tolti quelli esportati all’este­ro) rispetto al materiale totale estratto; il 2b rappresenta la stessa percentuale rispetto ai blocchi estratti.

I valori attuali dell’indicatore (riportati nella Tab. 4.2 del Rapporto preliminare) sono rispettivamente 14,2% e 52,8% e rappresentano l’efficienza della filiera locale nell’ipotesi del mantenimento dell’attuale export di blocchi grezzi verso l’estero (47,2%) e della lavorazione in loco di tutti i blocchi restanti (cioè nessun export di blocchi verso altre provincie italiane).

Le soglie di sostenibilità proposte implicano dunque un leggero miglioramento del valore di entrambi gli indicatori (da 14,2% a maggiore di 15% il primo e da 47,2% a maggiore di 55% il secondo), indicando così come requisito di sostenibilità una modesta riduzione dell’export di blocchi grezzi verso l’estero.

Va inoltre considerato che, data l’indisponibilità di dati statistici sulle singole tipologie di lavorazioni, tali indicatori accorpano indistintamente tutte le lavorazioni e non le sole lavorazioni di qualità.

Il Rapporto preliminare (par. 1.3) richiama le misure della Regione Toscana finalizzate a migliorare la filiera corta, che potrebbero condurre a raggiungere e superare tali soglie di sostenibilità senza eccessive difficoltà: la previsione del PIT (al 2020 la lavorazione di qualità in filiera corta di almeno il 50% dei blocchi estratti) e la LR 35/2015 che, per incentivare la filiera locale, prevede una estensione della durata delle concessione qualora almeno il 50% del “materiale estratto”[1] sia lavorato in loco.

Considerati gli elevati impatti dell’escavazione, riteniamo che il raggiungimento di una effettiva sostenibilità non possa accontentarsi di un modesto incremento dell’efficienza della filiera locale, ma richieda un suo rilevante incremento (riducendo l’export di blocchi all’estero). Riteniamo inoltre che questo obiettivo sia conseguibile adottando politiche che riconsegnino al Comune un ruolo regolatore centrale.

Crediamo che, al di là delle dichiarazioni di intenti, la strada intrapresa dalla Regione, mirando a superare gli anacronismi più palesi, ma consegnando di fatto l’obiettivo di raggiungere la sostenibilità (attraverso inviti e incentivi) nelle mani degli imprenditori dell’escavazione, sia destinata al fallimento.

Per capirlo, basti osservare quante disposizioni della LR 35/15 siano chiaramente finalizzate a tutelare la rendita di posizione degli attuali titolari di cava, a scapito di una razionale e radicale ristrutturazione delle attività estrattive.

Ci limitiamo a richiamarne solo una: l’avvio delle gare pubbliche per il rilascio delle concessioni (un adeguamento obbligatorio alla normativa europea) è stato rinviato di anni e, quel che è peggio, si prevede la proroga delle autorizzazioni esistenti fino a 25 anni in cambio dell’impegno a lavorare in loco il 50% del materiale estratto.

Dunque un quarto di secolo buttato via per privilegiare un’imprenditoria che ha badato solo al proprio interesse senza tener minimamente conto degli interessi (ambientali, economici, sociali) della comunità, sebbene l’obiettivo della sostenibilità potesse essere raggiunto più facilmente e in tempi molto brevi.

Basterebbe infatti (come chiediamo al Comune di introdurre nel regolamento degli agri marmiferi) far partire subito le gare per il rilascio delle concessioni prevedendo, come requisito di partecipazione ad esse, l’impegno a lavorare in loco almeno il 50% dei blocchi estratti e premiando con il punteggio di gara coloro che si impegnino a lavorare in loco percentuali più elevate.

 

3.     Sostenibilità e indicatori: il rischio di strumentalizzazione

 

Nel contributo che intendiamo presentare al prossimo incontro ci proponiamo di illustrare i vari aspetti che rendono insostenibile il modello attuale di escavazione:

  • l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee (comprese le sorgenti che approvvigionano l’acquedotto cittadino);
  • la produzione incontrollata di detriti, che talora sfiora il 100% del materiale estratto;
  • l’incremento del rischio alluvionale derivante dall’abbandono di terre al monte e dalla proliferazione di discariche (tra le quali quelle a riempimento di cave dismesse);
  • i livelli di degrado paesaggistico raggiunti che, oltre agli aspetti ambientali, rappresentano un detrattore della fruizione turistica e delle conseguenti ricadute economiche e occupazionali;
  • la subalternità agli interessi imprenditoriali che nei decenni si è consolidata nel modo di pensare e di agire della pubblica amministrazione e che si manifesta nel rilasciare autorizzazioni che non rispondono agli interessi della comunità (né, talora, alla legge).

Ci proponiamo inoltre di presentare proposte che, migliorando sia l’impatto ambientale sia l’occupa­zione, permetterebbero di conseguire livelli di sostenibilità più elevati.

A conclusione di queste osservazioni richiamiamo l’attenzione sul rischio principale insito nello stabilire un quantitativo sostenibile di materiali estratti dal comparto marmifero carrarese considerato nel suo complesso (e i relativi indicatori di sostenibilità).

Il rischio è quello di fornire una “patente” di sostenibilità ad un sistema estrattivo che è quanto di più lontano possibile da essa, accontentandosi di fatto di un modesto miglioramento della situazione attuale.

Suggeriamo, come spunto di ricerca, di valutare l’opportunità di intraprendere, anche a titolo di confronto, un percorso diverso:

  • indicare i requisiti che ciascuna cava dovrebbe soddisfare per essere considerata sostenibile;
  • ricavare da essi il livello di sostenibilità del comparto (attualmente uguale a zero);
  • indicare le misure praticabili per migliorare la sostenibilità di ciascuna cava;
  • valutare l’incremento di sostenibilità ottenibile con l’adozione di ciascuna misura presa singolarmente e con l’adozione congiunta di più misure.

Carrara, 25 ottobre 2018
Legambiente Carrara

 


Note:
[1]     Sicuramente, con la dizione “materiale estratto”, la LR 35/15 intende riferirsi ai “blocchi estratti”; il materiale estratto, infatti, comprende anche i detriti, che sono in grande percentuale frantumati in loco. Se il materiale estratto dovesse essere inteso nel suo significato letterale, si tratterebbe dunque di una grande beffa che non aiuterebbe certamente la filiera locale di qualità. A evitare equivoci e contenziosi, comunque, è bene che la Regione espliciti chiaramente che si tratta di “blocchi estratti”.
 



Per saperne di più:

Sul Rapporto preliminare:

 Scarica il Rapporto preliminare PABE (Ott. 2018, 9 MB)

VIDEO Presentazione del Rapporto preliminare PABE: 1ª parte

VIDEO Presentazione del Rapporto preliminare PABE: 2ª parte

Sui piani attuativi di bacino estrattivo (PABE):

Il bacino estrattivo di Torano: spunti per una pianificazione integrata  (3/5/2018)

Audizione alla commissione marmo: le proposte di Legambiente  (20/11/2017)

Nuovo regolamento degli agri marmiferi: le proposte di Legambiente  (28/11/2016)

Le nostre proposte per il Piano Regionale Cave  (10/10/2016)

Gestire in sinergia cave, ambiente e rischio alluvionale (2° contributo alla VAS dei piani attuativi estrattivi)  (24/9/2016)

Piani attuativi dei bacini estrattivi: una proposta di buonsenso (quindi rivoluzionaria)  (10/8/2016)

Legge regionale sulle cave: la gara pubblica? Tra un quarto di secolo (e sarà finta!)  (23/5/2015)

 

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