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Cava Fossa Combratta: il progetto ridimensionato? È solo un’aggravante!

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Parco Regionale delle Alpi Apuane

ARPAT, Dip. di Massa Carrara

AUSL Toscana Nord Ovest:
–     Igiene Pubblica
–     Ingegneria mineraria

Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio LU-MS

Comune di Carrara:
–     Sindaco, Francesco De Pasquale
–     Assessore all’Ambiente, Sarah Scaletti
–     Assessore al Marmo, Alessandro Trivelli
–     Dirigente Marmo e Ambiente, Franco Fini

Provincia di Massa Carrara, Settore Ambiente 

Regione Toscana:
–     Presidente
–     Ass. Settore Infrastrutture di trasporto strategiche e cave
–     Genio Civile Toscana Nord

–     Procura della Repubblica di Massa-Carrara

 

Oggetto:   Cava 181-Fossa Combratta. Osservazioni al progetto rimodulato di messa in sicurezza

 

Premessa

 

Per comprendere l’assurdità del progetto in esame, ne ripercorriamo sinteticamente la genesi e il contesto:

  • nelle more dell’approvazione del piano attuativo di bacino estrattivo (PABE), il PIT-Piano paesaggistico regionale (Del. Cons. Reg. n. 37/2015) consente di rilasciare autorizzazioni estrattive solo per quantità limitate (fino al 30% della precedente autorizzazione);
  • nel rispetto di tale disposizione, nel gennaio 2016 la cava ha richiesto l’autorizzazione per la quantità massima estraibile (1.370 m3, di cui 1.000 di detriti);
  • nel luglio 2016, nella cava è crollato un ammasso roccioso;
  • senza tener conto del crollo, il 4 agosto 2016 è stata rilasciata l’autorizzazione, con scadenza 31/7/19;
  • il 28/8/17 il Comune, preso atto della cessione dell’azienda “Tonarelli Piero Alfredo Escavazione Marmi” alla “Tonarelli Piero Alfredo srl”, trasferisce a quest’ultima l’autorizzazione;
  • l’1/9/17 l’AUSL emana un provvedimento di messa in sicurezza della cava, aggiornato con il provvedimento del 13/10/17;
  • nell’ottobre 2017 l’azienda comunica che nella cava è stato riscontrato un ammasso roccioso instabile, “gemello” di quello crollato nel luglio 2016 e presenta un progetto di messa in sicurezza che, anziché essere rivolto a rimuovere preliminarmente tale ammasso, prevede di riprendere l’escavazione dall’alto e poi scendere per gradoni successivi fino ad arrivare in 5 anni alla rimozione dell’ammasso instabile;
  • il progetto, prevedendo l’estrazione di 58.000 m3 (a fronte dei 1.370 autorizzati), suscita molte critiche, apparendo come un tentativo di eludere i vincoli posti dal PIT-Piano paesaggistico, approfittando del fatto che quest’ultimo –nel caso di ordinanze di messa in sicurezza– prevede la possibilità di superare i quantitativi escavabili previsti dall’autorizzazione;
  • nell’agosto-settembre 2018 si svolgono tre conferenze dei servizi (3/8/18, 5/9/18 e 12/9/18). Fin dalla prima di queste, il Parco delle Apuane individua diverse criticità e dichiara che il progetto è, di fatto, quello di una cava mascherata (più esattamente «non sembra risultare conforme a un piano di messa in sicurezza ma risulterebbe assimilabile a un piano di coltivazione»). L’AUSL, invece, fa presente che il progetto, rispondendo a un provvedimento di messa in sicurezza dell’UO Ingegneria mineraria, rientra nelle deroghe di cui all’art. 17 comma 16 delle NTA del PIT. La conferenza decide quindi di proseguire nell’esa­me del progetto;
  • nell’ultima conferenza, il Parco delle Apuane, nel suo contributo istruttorio, ritiene il progetto ambientalmente inammissibile. L’AUSL Settore PISL, invece, avanza la proposta di contenere l’impatto ambientale del progetto realizzandone solo le prime fasi (estraendo “solo” 26.600 m3) fino ad avvicinarsi all’ammasso instabile (lasciandolo però in posto) e rinviando la quarta fase (con rimozione dell’ammasso) ad un futuro nuovo parere, qualora il PABE dovesse mantenere la cava all’interno delle aree estrattive. Il Settore marmo del Comune, condividendo la proposta dell’AUSL, adduce una motivazione palesemente incongruente: afferma infatti che è «opportuno, anche nell’ottica di una messa in sicurezza generale dell’area, valutare la rimodulazione del progetto nelle sole fasi minime a garantire la sicurezza (fasi 1-3)», sebbene le tre fasi citate non interessino l’ammasso instabile.

Legambiente osserva che:

  • come argomentato nel proprio documento Fossa Combratta: una cava da dismettere (27/6/18), l’autorizzazione alla cava debba essere negata e la cava debba essere rimossa dalle aree estrattive per motivi paesaggistici: si tratta, infatti, di una cava isolata in un versante interamente boscato, di fatto estraneo al bacino estrattivo di Colonnata;
  • poiché dal 2005 a oggi la cava ha estratto una media annua di 426 t di blocchi, il progetto di messa in sicurezza da 58.000 m3 (pari a 156.600 t) comporterebbe l’estrazione di una quantità di blocchi che, al ritmo precedente, avrebbe richiesto un intero secolo (più esattamente, da 91 a 110 anni, nell’ipotesi di una resa in blocchi rispettivamente del 25% e del 30%, pari a 39.150 t e a 46.980 t);
  • un progetto di messa in sicurezza che, a fronte dei vincoli attuali (1.370 m3), estraesse quanto avrebbe richiesto un secolo sarebbe pertanto una clamorosa e scandalosa elusione dello spirito della normativa regionale (PIT);
  • l’autorizzazione sarebbe un pericoloso precedente che aprirebbe la strada all’uso strumentale di motivazioni di sicurezza, come grimaldello per farsi autorizzare qualunque piano, in deroga alle norme;
  • il progetto rimodulato sia un’aggravante del precedente poiché, con motivazioni di sicurezza, prevede di fatto l’apertura di una grande cava senza peraltro rimuovere il pericolo.

Per tali motivazioni, le presenti osservazioni sono inviate, come esposto preventivo, anche alla Procura della Repubblica affinché, nel caso di rilascio dell’autorizzazione, venga verificata l’eventuale sussistenza di reati.

 

Documentazione strategica (intenzionalmente?) mancante

 

Considerato che il provvedimento di sicurezza dell’AUSL nasce dalla presenza di un ammasso instabile, è veramente singolare l’assenza, nella documentazione progettuale depositata, di una relazione geologico-geotecnica espressamente dedicata alle condizioni dell’ammasso e alle modalità tecniche per rimuoverlo.

Stupisce ancor di più che nessuno degli enti partecipanti alle conferenze dei servizi abbia notato tale mancanza o, comunque, abbia richiesto la relazione, sebbene essa sia citata nella documentazione depositata.

Infatti, a pag. 3 della Relazione tecnica “Analisi geologica, geostrutturale e geomeccanica con analisi di stabilità” del dott. geol. Maurizio Profeti, datata ottobre 2017 (relativa alla parte NUOVA della cava progettata), si dice: «Alcune masse/strutture presenti sui fronti residui Est e Sud, sono già state oggetto di studio per la definizione degli interventi di messa in sicurezza a livello locale; in merito a ciò, si rimanda alla “Relazione di stabilità dei fronti anno 2017”, a firma del sottoscritto».

A pag. 4 della stessa relazione, inoltre, si dice: «Durante l’anno 2016, un settore della parete residua in questione è stato interessato dal crollo di un significativo volume roccioso, che era stato soggetto, nel passato, a lavorazioni con tagli penetranti a filo elicoidale. Una massa similare a quella interessata dal crollo, è stata oggetto di accurati rilievi su fune riepilogati all’interno dello “studio di stabilità dei fronti” prodotto, nel luglio 2017, dallo scrivente e dall’ing. Orlando Pandolfi».

Se ne deduce dunque l’esistenza di due relazioni sull’argomento (o almeno di una, nell’ipotesi che le due citazioni si riferiscano alla stessa relazione), non inserite nella documentazione progettuale. Sia il Parco sia il Comune di Carrara, infatti, hanno dichiarato di non detenere le relazioni citate.

Il mancato deposito di relazioni tecniche fondamentali, sulle quali dovrebbe basarsi l’intero progetto di messa in sicurezza, autorizza a pensare che l’azienda abbia qualcosa da nascondere. È possibile, infatti, che tali studi avessero individuato modalità dirette di rimozione dell’ammasso roccioso («a livello locale») e che l’azienda abbia preferito “occultarli” nell’intento di sfruttare la necessità di messa in sicurezza per aprire una grande cava, aggirando i limiti fissati dal PIT ai quantitativi estraibili.

In ogni caso, ci chiediamo come gli enti coinvolti nella valutazione del progetto abbiano potuto esprimersi con piena cognizione di causa in assenza della relazione più importante. Si coglie pertanto l’occasione per invitare tutti gli enti coinvolti a un esame più attento della completezza e congruenza della documentazione progettuale.

 

Rispettare le indicazioni pianificatorie del Comune

 

Come indicato nel nostro documento Fossa Combratta: una cava da dismettere (27/6/18), da cui è tratta la Fig. 1, la cava è l’unica presente nell’alto versante occidentale del M. Brugiana ed è inserita in un versante interamente boscato.
 

Fig. 1. La cava Fossa Combratta, pur essendo formalmente inserita nel bacino estrattivo di Colonnata, è l’unica cava che insiste nell’alto versante occidentale del M. Brugiana, in piena area boscata: ciò la rende, di fatto, estranea al complesso delle circa 80 cave situate nei bacini estrattivi carraresi.

 
È pertanto ragionevole prevedere che, nella redazione dei Piani Attuativi del Bacini Estrattivi (PABE), l’alto e medio versante occidentale della Brugiana saranno esclusi dalle aree estrattive, anche perché in tal senso si sono espressi pubblicamente il sindaco e il consiglio comunale di Carrara.

Inoltre, tenuto conto che l’approvazione del PABE è prevista nel giugno 2019, un’eventuale autorizzazione dovrebbe quantomeno limitarsi agli interventi ragionevolmente realizzabili entro tale data (peraltro pressoché coincidente con l’attuale scadenza dell’autorizzazione della cava).

Il progetto di messa in sicurezza mediante la realizzazione di una grande cava –con una durata di 5 anni nella versione originale e di 3 anni nella versione ridimensionata (senza messa in sicurezza)– si estenderebbe dunque ben oltre l’attuale autorizzazione. L’eventuale autorizzazione implicherebbe perciò la determinazione a contrastare la volontà politica e pianificatoria dell’amministra­zione comunale. Si tratta di aspetti delicati che meritano attenta considerazione.

 

Impatto paesaggistico: basta con affermazioni offensive dell’altrui intelligenza!

 

È evidente che l’impatto paesaggistico della cava è legato principalmente al suo inserimento in un versante interamente boscato, al di fuori del complesso industriale delle cave del bacino di Colonnata (Fig. 1).

Il modo più elementare per apprezzare l’impatto paesaggistico è ricorrere a fotosimulazioni di confronto tra la situazione attuale e quella di progetto; le fotosimulazioni realizzate da Legambiente (Fig. 2), riprendendo la cava da distanza, mostrano la cava inserita nel suo contesto boscato (nonostante lo stretto ritaglio dell’inquadratura).
 

Fig. 2. Cava Fossa Combratta vista da Sorgnano. A: situazione attuale. Si noti che, poiché le vecchie pareti di cava sono ormai grigie, il loro impatto visivo è sovrastato da quello del recente bastione paramassi (in blocchi di marmo) realizzato dopo il crollo. B: fotosimulazione approssimativa del progetto di messa in sicurezza (dicembre 2017: 58.000 m3). C: fotosimulazione del progetto rimodulato (ottobre 2018: 26.600 m3). (Fonte: Legambiente Carrara).

 
Le fotosimulazioni riprese dalla relazione paesaggistica (Fig. 3), invece, restringendo l’inquadratura alla sola area di cava, non consentono di percepire l’impatto visivo derivante dal contrasto tra la cava e il versante boscato in cui è inserita. Si noti inoltre l’espediente di colorare in grigio le nuove pareti di cava per mascherane l’impatto.
 

Fig. 3. A: Situazione attuale dei fronti est e sud, visti dalla cava stessa. Nel cerchio, l’ammasso instabile e, immediatamente alla sua destra, il vuoto lasciato dall’ammasso crollato (pareti bianche). B: Fotosimulazione della situazione dopo la messa in sicurezza (fase 4); si noti l’espediente della colorazione grigia data alla nuova parete sud e all’area di distacco dell’ammasso caduto: la colorazione, infatti, mostra le pareti in ombra, ma è chiaramente finalizzata a ridurre l’impatto visivo che deriverebbe dalle pareti bianche. (Fotosimulazioni: relazione paesaggistica).

 

Già dalle fotosimulazioni presentate nella relazione paesaggistica è dunque evidente la sottovalutazione dell’impatto (intenzionale o no): sottovalutazione che emerge in maniera lampante dalle valutazioni sbrigative riportate nella relazione (Tab. 1).

 

Tab. 1. Valutazioni dell’impatto riportate nella Relazione paesaggistica.

Fase Impatto paesaggistico
1A. Realizzazione strada di accesso alla sommità della cava Minimo impatto per il tracciato con pendenza sostanzialmente analoga a quella del versante e precedentemente interrato.
1B. Realizzazione piazzuola superiore Minimo impatto per esecuzione intervento all’interno della sagoma attuale del fronte est di cava, con piccolo ampliamento sul fronte nord non visibile dalla valle.
2. Abbassamento e ampliamento piazzale superiore Minimo impatto per esecuzione intervento all’interno della sagoma attuale del fronte est di cava, con piccolo ampliamento sui fronti nord e sud non visibili dalla valle.
3. Abbassamento parziale piazzale inferiore e lavorazioni di messa in sicurezza dello sperone roccioso Minimo impatto per esecuzione intervento all’interno della sagoma attuale del fronte di cava.
4. Abbassamento piazzale inferiore e completa rimozione dello sperone di roccia instabile Minimo impatto per esecuzione intervento all’interno della sagoma attuale del fronte est di cava.

 
Il limite di fondo della relazione sta nel fatto che non riporta alcuna considerazione sull’impatto derivante dal contrasto tra la cava (le cui pareti, oggi annerite dal tempo, diverrebbero bianche) e il contesto boscato in cui è inserita. In sintesi, la relazione si limita a sostenere che, intervenendo all’interno della sagoma attuale della cava, vi sarà solo un minimo impatto paesaggistico. Anche per gli effetti cumulativi sul paesaggio, si limita a dire che le opere «non modificano in modo evidente l’aspetto generale del sito».

In poche parole, la restrizione del campo visivo alla sola area di cava fa sì che, a dispetto del titolo, non sia una relazione paesaggistica! È pertanto sconcertante che questa sia stata approvata dalla Commissione comunale: se le relazioni vengono valutate in modo così superficiale, tanto varrebbe richiedere il solo frontespizio.

D’altronde anche la Relazione paesaggistica del gennaio 2016 elude il problema rappresentato dalla collocazione della cava in un versante boscato, adottando una strategia opposta: allargare eccessivamente l’area d’indagine. In tal modo, riferendosi alla ben più vasta area del bacino di Colonnata, può affermare che «Il progetto proposto insiste su un territorio già da tempo interessato da attività estrattiva.» … «La cava n°181 è situata nel bacino marmifero n°4 di Colonnata, dove la presenza delle cave costituisce, ed ha costituito in passato, un inconfondibile prerogativa del paesaggio. Il complesso estrattivo è ubicato in una zona oggetto di attività estrattiva fin da tempi remoti». Simili espedienti offendono l’intelligenza dei cittadini e dei funzionari addetti all’esame della pratica.

Ad analoghi espedienti ricorre anche lo Studio di impatto ambientale (ottobre 2018): ne sono esempi le seguenti considerazioni paesaggistiche, in esso riportate.

«Anche la modifica dell’assetto paesaggistico locale non comporterà un aumento dei coni di visibilità percepiti dal potenziale osservatore, sia per chi osserva la cava dalla fascia costiera sia per chi la osserva dalle zone circostanti. Per cui la realizzazione del nuovo progetto di messa in sicurezza, pur comportando l’ampliamento dei fronti estrattivi a cielo aperto, non comporterà l’ulteriore peggioramento della qualità ambientale e paesaggistica generale».

«Per quanto riguarda l’attività estrattiva Fossa Combratta si inserisce nel contesto paesaggistico carrarese in cui il paesaggio di cava è divenuto parte integrante del paesaggio storicamente antropizzato della montagna che sovrasta il centro di Carrara. Le attività di escavazione che si sono sviluppate nel dopoguerra fino ai giorni nostri hanno modificato il paesaggio tipico locale lasciando un impronta significativa sulla percezione visiva ed estetica dei luoghi, creando forme nuove in cui le linee geometriche delle bancate di marmo, si fondono con il margine naturale della montagna».

Da quanto riportato si evincono non solo la tendenziosità e l’elusività dell’insieme delle argomentazioni addotte (evidentemente inconsistenti rispetto all’impatto visivo ricavabile dalla Fig. 2) ma anche, fatto ancor più grave, la superficialità degli enti preposti alla loro valutazione.
 

Allontanamento dei detriti: rassicurazioni preoccupanti

 

La Relazione tecnica del progetto di messa in sicurezza (ottobre 2017: 58.000 m3) e quella del progetto rimodulato (ottobre 2018: 26.600 m3) non fanno cenno alcuno al destino dei detriti che è, tuttavia sommariamente trattato nel SIA 2018, al quale dunque ci riferiamo.

In esso si afferma che «Il materiale detritico prodotto sarà trattato allo stesso modo di quello prodotto in passato, seguendo le stesse disposizioni già concordate con gli enti preposti, in particolare il detrito sarà temporaneamente stoccato in aree all’interno dei piazzali in disuso, per poi essere trasportato a valle».

Tale affermazione, in apparenza rassicurante, è in realtà preoccupante. Dall’esame dei transiti alla pesa comunale, infatti, risulta che dal 2005 a oggi dalla cava Fossa Combratta non è stato allontanato nemmeno un grammo di detrito (Tab. 2). Ciò significa che la ditta non ha adempiuto ai suoi obblighi e che il Comune, pur constatando anno dopo anno il permanere dell’inadempienza, è venuto meno al suo dovere di controllo e di emanazione di sanzioni.
 

Tab. 2. Quantitativi di blocchi e di detriti provenienti dalla cava Fossa Combratta registrati alla pesa comunale; in 13 anni la cava ha trasportato a valle solo blocchi: nemmeno un grammo di detriti! (Fonte: Comune di Carrara).
Anno 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
Ton blocchi 378 278 436 1274 353 384 511 420 719 318 143 0 67
Ton detriti 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0

 
Una conferma di questo comportamento davvero poco edificante viene da un’altra dichiarazione del SIA: «Il ravaneto esistente, per il quale nei progetti precedenti era prevista la rimozione del detrito, risulta ad oggi parzialmente rinaturalizzato, soprattutto nelle zone non direttamente a contatto con l’area in coltivazione: si è pertanto ritenuto opportuno, anche in seguito all’accertata stabilità dell’area, di mantenere il processo ricostruttivo in atto lasciando che avvenga spontaneamente la ricostruzione del climax originario, limitando la rimozione del detrito alla sola parte alta del ravaneto, alla fine dell’attività e secondo i tempi di attuazione possibili».

In altre parole, pur con l’accortezza di usare argomentazioni di tipo naturalistico, la ditta ammette di non aver adempiuto all’obbligo di rimuovere il ravaneto e, ciononostante, con la massima disinvoltura, si propone di proseguire nell’inadempienza.

È appena il caso di far notare che l’abbandono di detriti in loco, oltre a rivelare l’assenza o l’inef­ficacia dei doverosi controlli, comporta danni non solo ambientali, ma anche erariali, poiché il contributo di estrazione e il canone concessorio che la ditta deve versare al Comune è commisurato ai quantitativi portati a valle e registrati alla pesa comunale.

Riteniamo pertanto che, anche in autotutela, il respingimento del progetto debba essere accompagnato dall’ingiunzione a rimuovere il ravaneto esistente.

 

La sicurezza: lasciapassare per ogni nefandezza ambientale?

 

Lo scopo della partecipazione di vari enti alle conferenze dei servizi è assicurare che il progetto rispetti tutti i requisiti (pianificatori, ambientali, paesaggistici, archeologici, di sicurezza) e presti la dovuta attenzione a minimizzare ogni tipo di impatto.

Nel caso di Fossa Combratta sono risultate chiare, fin dalla prima conferenza dei servizi, numerose criticità ambientali evidenziate nell’istruttoria del Parco, da sole già più che sufficienti per respingere il progetto di messa in sicurezza in 4 fasi (58.000 m3).

Il progetto, infatti, era palesemente quello di una vera cava, camuffata dietro motivazioni di sicurezza, con l’aggravante di configurarsi come un clamoroso tentativo di elusione del PIT (proponendo l’estrazione di 58.000 m3 per una cava avente come limite massimo 1.370 m3).

A seguito dell’osservazione dell’AUSL, che ha ricordato la deroga al limite dei quantitativi estraibili prevista nel caso di provvedimenti di sicurezza (art. 17 comma 16 delle NTA del PIT), la conferenza è stata rinviata per un approfondimento d’esame, sebbene fosse palese che ciò non avrebbe fatto venir meno le criticità ambientali.

La seconda conferenza ha comportato solo una discussione e il rinvio alla terza conferenza. In quest’ultima, mentre il Parco ha dichiarato l’inammissibilità ambientale del progetto, l’AUSL (Ingegneria mineraria) e il Comune (Settore marmo) hanno avanzato la proposta di rimodulare il progetto, limitandolo alle prime tre fasi. Vista l’impossibilità di trovare una soluzione condivisa, l’esame del procedimento è stato sospeso e il Parco ha preannunciato una consultazione pubblica.

Riteniamo la proposta iniziale della ditta (58.000 m3) spudorata e provocatoria e il sostegno ad essa dato dall’AUSL e dal Comune una forzatura inopportuna e maldestra, poiché:

  • anche qualora il progetto di messa in sicurezza fosse il migliore possibile, AUSL e Comune non possono pretendere che vengano ignorati gli impatti ambientali e paesaggistici;
  • infatti, così come è doveroso respingere un progetto di cava che avesse basso impatto ambientale ma fosse insicuro per i lavoratori, altrettanto deve valere per un progetto che garantisse la sicurezza ma avesse un elevato impatto ambientale;
  • la pretesa di imporre la sicurezza sul lavoro come unico requisito per l’approvazione si presterebbe ad usi strumentali (scardinare tutta la normativa ambientale e paesaggistica, assicurando innanzitutto gli interessi economici delle aziende estrattive) rivelando la sua pretestuosità (visto che, comunque, se davvero la sicurezza fosse l’unico obiettivo, la chiusura della cava garantirebbe una sicurezza ancora maggiore);
  • se invece le motivazioni riguardassero la sicurezza generale (per chi dovesse percorrere la strada nel bosco), la pratica non sarebbe più attinente alle attività estrattive e dovrebbe pertanto essere trasmessa all’ufficio comunale Lavori pubblici, per l’individuazione delle soluzioni più indicate.

Per tali motivi, il progetto avrebbe dovuto essere unanimemente respinto fin dalla prima conferenza dei servizi.

 

Il progetto rimodulato? È solo un’aggravante!

 

A maggior ragione, riteniamo la proposta di rimodulazione avanzata dall’AUSL e dal Comune un’aggravante, in quanto esercita un’indebita pressione sugli altri componenti delle conferenze dei servizi e offende la loro intelligenza e dignità professionale. Infatti:

  • il progetto, essendo limitato alle prime tre fasi, non prevede la rimozione del pericolo: la sua approvazione non può pertanto essere sostenuta con motivi di sicurezza. Resterebbe infatti, come unico esito concreto, la realizzazione della cava in dispregio dei limiti del PIT: si tratterebbe dunque di una elusione della legge e di una beffa irricevibile;
  • il progetto, restando identico a quello originario (sebbene suddiviso in due lotti: fasi 1-3 e fase 4), non può essere sostenuto adducendo motivi di riduzione dell’impatto ambientale; se così fosse, basterebbe suddividere in cento fasi un progetto devastante per garantirsene l’approvazione, visto che ciascuna fase avrebbe certamente un impatto minimo.

Carrara, 7 dicembre 2018
Legambiente Carrara

 

Allegato (come parte integrante delle presenti osservazioni):

 

Aggiornamenti
Come è andata a finire

Il Parco delle Apuane, con la determinazione del 15 marzo 2019, ha ufficializzato la posizione già espressa nelle conferenze dei servizi con tre no su: pronuncia di compatibilità ambientale, nulla osta e autorizzazione idrogeologica.

Tra le motivazioni: il progetto non è supportato da una relazione di stabilità; prevede tre anni di escavazione, con l’avvicinamento alle masse instabili, ma senza intervenire sulle stesse; non è sufficiente richiamarsi a una generica messa in sicurezza per giustificare un vero e proprio progetto di escavazione; la strada non è idonea al passaggio di mezzi pesanti.

 



Per saperne di più:

Sulla cava Fossa Combratta:

La vera favola di cava Combratta  (23/11/2018)

Cava Fossa Combratta: la vera posta in gioco dietro il pretestuoso alibi della sicurezza  (15/9/2018)

Cava Fossa Combratta: appello alle Istituzioni interessate  (31/8/2018)

Cava Fossa Combratta: non diventi la pietra dello scandalo  (7/8/2018)

Fossa Combratta: una cava da dismettere  (27/6/2018)

 

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