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Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni

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Carrara, 7 luglio 2015

 

All’Autorità di bacino Toscana Nord
regionetoscana@postacert.toscana.it

 

Oggetto:   Partecipazione alla Proposta di Piano di gestione del rischio alluvioni:
contributo per il T. Carrione

 

Si esprime un particolare apprezzamento per la scelta, ai sensi delle indicazioni comunitarie, di coinvolgere attivamente le comunità locali nella costruzione del PGRA, rendendole partecipi dell’elaborazione delle scelte. Con la presente Legambiente Carrara intende fornire il proprio contributo al PGRA del Carrione, proponendo le seguenti misure specifiche e una osservazione alla VAS.

 

1.Ripristinare l’alveo occupato da strade montane e collinari

(ricostruendole a mezza costa)

Nota: la misura, non contemplata nel PGRA Toscana Nord, è inquadrabile tra le misure di protezione indicate nel progetto di PGRA del Distretto Appennino Settentrionale col codice M31 (Gestione delle piene nei sistemi naturali/Gestione dei deflussi e del bacino).

 

La conformazione ad anfiteatro dell’alto bacino del Carrione fa sì che, avendo i vari torrenti lunghezze e pendenze comparabili, le loro piene tendano a convergere pressoché simultaneamente nel centro abitato di Carrara. Ne deriva un’elevata suscettibilità del centro urbano alle piene del Carrione poiché la sommatoria delle portate dei vari corsi d’acqua dà luogo ad improvvisi e rilevanti incrementi della portata (Fig. 1).
 

Fig. 1. Per la disposizione a ventaglio dei corsi d’acqua montani, le loro piene tendono a convergere in sincronia presso Carrara dando luogo ad un picco di piena cumulativo particolarmente marcato ed improvviso. Da qui al mare il Carrione subisce incre-menti di portata solo marginali. Rappresentazione schematica mirante a mostrare come, nel caso di confluenza in fase, l’idrogramma di piena a Carrara sia la sommatoria di quelli degli affluenti (A-E).

 
Tenuto conto che il territorio più intensamente urbanizzato (quindi con la maggior quantità e valore di beni esposti e col maggiore danno potenziale in caso d’alluvione) è quello compreso tra Carrara e il mare, è evidente l’importanza prioritaria di misure miranti a ridurre i picchi di piena a Carrara, agendo sulla dinamica di formazione delle piene. A tal fine una prima misura strategica da considerare è l’allungamento dei tempi di corrivazione nei corsi d’acqua montani.

Va considerato che gli attuali tempi di corrivazione nel bacino montano-collinare sono (innaturalmente) molto brevi poiché, a causa della costruzione di strade che occupano parzialmente o interamente gli alvei, le acque di piena sono costrette a scorrere in alvei artificiali in cemento (a lato della strada) o addirittura direttamente sull’asfalto stradale; ciò, unito alle elevate pendenze, accentua in maniera esasperata i picchi di piena dei singoli corsi d’acqua, la loro velocità di traslazione e la loro sommatoria a Carrara.

Gli interventi illustrati nelle Fig. 2-8 rivelano impietosamente la limitatezza della mentalità progettuale che li ha concepiti, ispirata ad una gestione del territorio montano rispondente a singoli obiettivi (nel caso specifico la viabilità) anziché pianificata per ottimizzare il conseguimento contestuale di un più vasto insieme di obiettivi (viabilità, cave, sicurezza idraulica, paesaggio, stato ecologico dei corsi d’acqua, ecc.).
 

Fig. 2. Via Colonnata, loc. Canalie. Lo schizzo sovrapposto alla foto rappresenta l’alveo originario, oggi in gran parte occupato dalla sede stradale. Nell’alveo attuale, confinato in una sede ristretta e arginata, le piene scorrono dunque con maggior velocità (per la minor larghezza e la maggior profondità); per la bassa scabrezza dell’asfalto, anche le acque che esondano sulla strada scorrono rapidamente verso valle.

 

Fig. 3. Via Canaloni, a monte di Colonnata. La strada è stata costruita in pieno alveo riservando al deflusso delle acque la sola canalina stradale. È ovvio che con le forti precipitazioni l’alveo diventi l’intera strada, accelerando fortemente il deflusso e aggravando perciò il rischio alluvionale a Carrara.

 

Fig. 4. Via Battaglino-Ravaccione (bacino di Torano). Il fondo della valle è stato interamente occupato dalla strada. Le acque meteoriche, scorrendo su un “alveo” così liscio e con elevata pendenza, subiscono una forte accelerazione.

 

Fig. 5. Via Ponti di Vara-Fantiscritti (bacino di Miseglia). L’alveo originario, al fondo della valle, è stato interamente occupato dalla strada asfaltata.

 

Fig. 6. Anche le vie d’arroccamento comprensoriali di Canalgrande e di Fantiscritti, costruite sui ravaneti che hanno colmato gli omonimi fossi, sono asfaltate e dotate di canaline in cemento per lo scolo delle acque. Una soluzione razionale per i transito dei camion, ma l’esatto contrario di quanto desiderabile per rallentare il transito delle acque meteoriche: il vantaggio locale si traduce in un aggravamento del rischio alluvionale a Carrara.

 

Fig. 7. Via Piastra (a monte di Torano). L’alveo del Can. di Piastra (Carrione di Torano), già fortemente ristretto per la costruzione della strada, è stato recentemente risistemato rinnovandone il rivestimento in cemento per aumentarne l’officiosità idraulica. In occasione di forti precipitazioni le acque sono costrette a scorrere su un substrato a scabrezza molto bassa (cemento o asfalto), accentuando l’impulsività del regime torrentizio.

 

Fig. 8. La strada carreggiabile a fondo cieco che costeggia il Carrione in loc. Bacchiotto è stata notevolmente rialzata e c’è l’idea di asfaltarla e prolungarla fino al piazzale del Tarnone per alleggerire il traffico sulla strada Bedizzano-Tarnone (in particolare per i camion del marmo e i bus turistici). Naturalmente per consentire il traffico pesante occorrerà consolidare la scarpata con un muro in calcestruzzo; l’alveo del Carrione, ristretto e cementificato, accelererà ulteriormente il transito delle piene. Così ancora oggi, animati dalle migliori intenzioni (ma con un’ottica mono-obiettivo), si sta programmando (inconsapevolmente?) l’incremento del rischio alluvionale a Carrara. Nella migliore delle ipotesi si conferma l’acume dell’antico detto: “La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.

 

In poche parole, la gestione del bacino collinare-montano del Carrione è un caso “da manuale” di modalità gestionali da evitare: si accelerano i deflussi e si riduce la frequenza d’esondazione laddove arrecherebbe ben pochi danni (vista la pochezza dei beni esposti nel territorio montano), senza tener conto che in questo modo si accentuano i picchi di piena che transitano dal centro abitato di Carrara al mare, cioè si accresce il rischio proprio nel territorio in cui l’inondazione arrecherebbe danni molto ingenti. Un vero caso di autolesionismo: più spenderemo in questo tipo di interventi, più aumenterà il danno complessivo.

Questa considerazione, peraltro, è pienamente coerente con la relazione del Progetto di PGRA del Distretto (pag. 1), laddove si afferma: «La gestione implica di fatto scelte che possono essere anche gravose: si può/deve scegliere di rilocalizzare elementi a rischio (case, fabbriche, etc.) invece di difenderli; si può/deve scegliere di non difendere qualcosa di minor valore perché così si limitano i danni per altri elementi di maggior valore: si tratta in definitiva di essere consapevoli che essendo la coperta troppo corta per mettere in sicurezza tutto il territorio, la “prioritarizzazione” diventa fondamentale».

La misura da noi proposta intende rimediare radicalmente agli errori del passato (ma tuttora praticati) e consiste nel ripristino degli alvei collinari e montani, demolendo le strade che li occupano parzialmente o totalmente (e ricostruendole a mezza costa).

Grazie alla maggior larghezza e scabrezza degli alvei così ripristinati aumenterebbe la loro capacità d’invaso e si ridurrebbe la velocità della corrente; si ridurrebbero i picchi di piena nei singoli corsi d’acqua (da così   a così , in quanto distribuiti su un tempo più lungo) e, ancor di più, il picco cumulativo generato dalla loro confluenza a Carrara. Si tratta di una misura strategica poiché ne gioverebbe grandemente tutto il territorio più urbanizzato (da Carrara alla foce).

Va inoltre considerato che il ripristino di alvei oggi occupati da strade permetterebbe di conseguire, come vantaggio collaterale, un ulteriore rallentamento della corrente. Nella costruzione di strade, infatti, si tende a ridurre al minimo le curve (per motivi di sicurezza e di economia), mentre il ripristino dell’alveo consente al corso d’acqua di divagare sull’intera larghezza della valle; ne deriva un allungamento del percorso e, di conseguenza, una riduzione della pendenza: un fattore di importanza chiave per il rallentamento della corrente (Fig. 9).

Merita infine rilevare come, in piena coerenza con le indicazioni della Guidance for Reporting under the Floods Directive del 2013, la misura proposta consente di conseguire sinergicamente gli obiettivi della Direttiva Alluvioni e quelli della Direttiva Acque (ridurre il rischio alluvionale migliorando contestualmente lo stato ecologico dei corpi idrici).
 

Fig. 9. Esempio schematico volto ad illustrare come, eliminando la strada e ripristinando l’alveo, si ottenga anche una riduzione della pendenza, grazie alla maggiore lunghezza dell’alveo sinuoso (mentre le quote iniziali e finali restano invariate).

 
 

2.Ridurre gli apporti solidi agli alvei:

rimozione dei ravaneti (e pulizia delle cave)

Nota: poiché la diffusione dei ravaneti è una peculiarità locale (raramente riscontrabile altrove) la misura, non contemplata nel PGRA Toscana Nord, è difficilmente inquadrabile tra le misure di protezione indicate nel progetto di PGRA del Distretto Appennino Settentrionale. Potrebbe rientrare tra le misure di Prevenzione col codice M24 (Altre misure: Programmi e politiche per la manutenzione del territorio).

 
Tutti i corsi d’acqua ricevono apporti solidi (generati dalla disgregazione naturale dei rilievi montani) e li trasportano al mare raggiungendo il proprio profilo d’equilibrio. Nel bacino montano del Carrione, tuttavia, è presente un agente disgregante addizionale –l’intensa attività estrattiva del marmo– la cui importanza sovrasta di gran lunga quella degli agenti naturali. Gli scarti dell’esca­vazione, scaricati nei ravaneti, mettono a disposizione del trasporto operato dalle precipitazioni una quantità pressoché illimitata di detriti inducendo un abnorme incremento degli apporti solidi agli alvei.

Questi apporti producono un progressivo innalzamento del letto dei torrenti riducendone la capacità idraulica, creando criticità (soprattutto in corrispondenza dei ponti) e inducendo la necessità di continui interventi di asportazione di sedimenti e di risagomatura degli alvei. Diverse delle stesse misure previste dal PGRA per il Carrione riguardano infatti questo tipo di interventi.

La misura da noi proposta è finalizzata a ripristinare l’equilibrio sedimentologico naturale dei corsi d’acqua mediante la rimozione della fonte artificiale di detriti (ravaneti), anziché intervenendo continuamente a valle asportandoli dagli alvei.

Merita osservare, peraltro, che la rimozione di sedimenti dagli alvei presenta costi molto elevati (soprattutto per il loro conferimento in discarica) e rappresenta un intervento particolarmente iniquo e inviso alla cittadinanza poiché scarica su di essa i costi che gli imprenditori del marmo risparmiano abbandonando i detriti sui versanti (profitti privati, costi pubblici).

Scendendo nel dettaglio della misura proposta occorre innanzitutto distinguere tra vecchi e nuovi ravaneti. I vecchi ravaneti, anteriori agli anni ’60-’70 e originati dalle varate con esplosivi, sono costituiti in netta prevalenza da scaglie di marmo (spesso sistemate con grande perizia con la tecnica dei muretti a secco: Fig. 10). Sono facilmente riconoscibili dal colore grigio, conferito dall’esposizione di lunga durata agli agenti atmosferici; il colore stesso, peraltro, ne testimonia la stabilità da lunga data.

Pertanto essi non solo non rappresentano una sorgente di apporti solidi agli alvei (vista la loro stabilità) ma, per la loro grande porosità, si comportano come grandi spugne che assorbono le acque meteoriche, per rilasciarle poi lentamente. I vecchi ravaneti vanno perciò mantenuti poiché, riducendo i picchi di piena, sono importanti fattori di sicurezza.
 

Fig. 10. I vecchi ravaneti, stabili e costituiti quasi interamente da scaglie, non apportano sedimenti agli alvei, mentre (immagazzinando acqua e rallentandone i deflussi superficiali) riducono il rischio idraulico: vanno perciò mantenuti. Le ultime due foto, relative ad un ravaneto sostanzialmente stabile, mostrano quanto sia facile –grazie alle scheggiature bianche (frecce)– individuare perfino i singoli clasti che hanno subito un rotolamento negli ultimi anni.

 

I ravaneti recenti, invece, sono ricchi di terre, sia perché le nuove tecniche di coltivazione producono meno detriti sia, soprattutto, perché buona parte delle scaglie viene asportata per l’industria del carbonato, mentre le terre, non avendo un mercato, sono in gran parte abbandonate (abusivamente, ma largamente tollerate) nei ravaneti e sulle scarpate delle vie d’arroccamento (Fig. 11). Sono facilmente riconoscibili anche da notevole distanza per il loro colore biancastro o marrone (quando lo scarico di terre è molto recente).

Le terre, occludendone gli interstizi, rendono questi ravaneti non solo impermeabili (più esattamente, saturati rapidamente in superficie nel corso di precipitazioni intense: di fatto non funzionano più da spugne), ma anche suscettibili a frane poiché le terre, imbibite, fluidificano e agiscono da lubrificante. Queste frane formano colate detritiche (debris flow) che, depositandosi nell’alveo dei corsi d’acqua, ne riducono la capacità idraulica, favorendo le esondazioni fin dai tratti montani (è quanto è avvenuto, ad es., nell’alluvione del 2003: Fig. 12).
 

Fig. 11. I ravaneti recenti, contenenti grandi quantità di terre, sono impermeabili e suscettibili a frane: vanno perciò rimossi.

 

Fig. 12. Via Colonnata presso Mortarola dopo l’alluvione del 23/9/2003. 1) strada invasa da detriti di ravaneto, di notevole pezzatura; 2) alveo del Carrione, fortemente ristretto; 3) alveo del Carrione stracolmo di detriti di ravaneto, ad una quota addirittura superiore al piano stradale (fino alla sommità del guard-rail); 4) strada già sgomberata dai detriti.

 

Per inciso, riteniamo largamente sottostimata la valutazione sul trasporto solido proveniente dai ravaneti contenuta nel Progetto di PGRA Toscana Nord (pag. 5):

«I corsi d’acqua sono caratterizzati da un trasporto solido naturale relativamente modesto in funzione delle caratteristiche geologiche dei bacini contribuenti, dove non sono percentualmente elevate le coperture detritiche. Potenzialmente elevato (e lo è stato di fatto in passato) il trasporto solido artificiale connesso alla lavorazione delle pietre ornamentali sia per gli apporti del materiale di scarto riversato nei ravaneti sia di quello di segagione (frazioni fini). Allo stato attuale, essendo in pratica scomparso l’apporto fine artificiale per l’attivazione dei sistemi di raccolta e smaltimento, il materiale che raggiunge il mare è rappresentato sostanzialmente dagli apporti naturali. L’unico corso d’acqua che ancora trasporta sensibili volumi di materiale è il fiume Frigido».

Come motiveremo di seguito, infatti, riteniamo elevato (non solo “potenzialmente”) il trasporto solido artificiale derivante dai ravaneti e, nonostante sia terminato lo scarico dei fanghi di segagione, ancora significativo (e verosimilmente superiore a quello del Frigido) il trasporto solido in sospensione dei materiali fini (marmettola ma, ancor di più, terre di cava).

Per quanto riguarda gli apporti di detriti grossolani, oltre a quelli improvvisi ed imponenti derivanti dalle frane dei ravaneti innescate da intense precipitazioni (Fig. 12-14), non vanno dimenticati quelli graduali derivanti dai ravaneti per frequenti fenomeni di rotolamento, solchi d’erosione, smottamenti che producono un progressivo innalzamento del letto, impercettibile alla vista ma, nel tempo, molto consistente. Pur non disponendo di misurazioni, basta considerare che i ravaneti superano di gran lunga il centinaio (le Fig. 11 e 15 ne mostrano un piccolo campionario, a solo titolo d’esempio), sono molto estesi e presenti in maniera pervasiva nell’intero alto bacino, per comprendere che gli apporti grossolani agli alvei sono tuttora sicuramente rilevanti; questi ultimi risultano immediatamente percepibili alla vista solo quando si depositano sulle strade (Fig. 16: B, C, D).
 

Fig. 13. Il ravaneto di Piastra riempie il fondo della valle (i cui versanti sono indicati dalla linea gialla tratteggiata). A sinistra: nel 2003 il ravaneto è interamente franato, spazzando via la strada d’arroccamento su di esso impostata e seppellendo macchinari (visibili nel cerchio). A destra: nel 2010, con la via d’arroccamento ricostruita, e nel 2014, nuovamente franato.

 

Fig. 14. Il ravaneto di Pescina-Crestola colma il fondo della valle (linea gialla tratteggiata). Nel 2003 il ravaneto è rovinosamente franato, spazzando via la strada d’arroccamento e quella comunale (non visibile perché sepolta). Nel 2009: la strada comunale e l’imbocco della via d’arroccamento ricostruita, entrambe asfaltate. Nel 2014, una nuova ingente frana ha spazzato via la strada comunale e quella d’arroccamento, creando al piede una paurosa voragine. I detriti sono finiti nel sottostante canale di Porcinacchia, affluente del Carrione di Torano.

 

Fig. 15. Altri esempi di fonti di detriti grossolani e fini. A: Colonnata: B: Calacata; C: Betogli: D: Miseglia; E: Campanili; F: Torano; G: Vara, scarico terre; H: Vara Alta; I: Belgia, scarico terre; L: Betogli, escavatore sepolto da frana; M: Finestra; N: Fossacava.

 

Fig. 16. Fanghi e detriti di ravaneti trascinati sulle strade dalle precipitazioni. A) via Piastra (Torano); B) via Canaloni (Colonnata); C) via Battaglino (Torano); D) via Carriona per Ravaccione (Miseglia): i detriti impediscono il transito dei camion.

 

Per quanto riguarda gli apporti di materiali fini in sospensione, va considerato che, oltre alle ingenti quantità di terre scaricate nei ravaneti e sulle vie d’arroccamento, in tutte le cave sono presenti cumuli di terre esposti agli agenti atmosferici. Pertanto ogni pioggia, anche di normale intensità, dilava terre da vastissime superfici e le trasporta negli alvei (Fig. 17).
 

Fig. 17â. Fonti di sedimenti fini (marmettola e terre). Il degrado generalizzato è talmente evidente da aver ispirato ad un ignoto visitatore la scritta provocatoria dell’ultima foto: «Nel paese dei ciechi beato chi ha un occhio». A: Novella; B: Bacchiotto, piazzale; C: Bacchiotto, scarpata; D: Vara bassa; E: Strinato; F: Novella; G: Olmo; H: Tagliata; I: Scalocchiella; L: Gioia; M: La Piana C; N: Ciresuola (marmettola); O e P: La Madonna, can. Piastra torbido; Q: Carrione Torano torbido; R: Pulcinacchia, acque torbide; S: Campanili; T: Canalgrande; U: Fantiscritti.
Fig. 17á. Fonti di sedimenti fini (marmettola e terre). Il degrado generalizzato è talmente evidente da aver ispirato ad un ignoto visitatore la scritta provocatoria dell’ultima foto: «Nel paese dei ciechi beato chi ha un occhio». A: Novella; B: Bacchiotto, piazzale; C: Bacchiotto, scarpata; D: Vara bassa; E: Strinato; F: Novella; G: Olmo; H: Tagliata; I: Scalocchiella; L: Gioia; M: La Piana C; N: Ciresuola (marmettola); O e P: La Madonna, can. Piastra torbido; Q: Carrione Torano torbido; R: Pulcinacchia, acque torbide; S: Campanili; T: Canalgrande; U: Fantiscritti.

 

Per completare il quadro conoscitivo, merita rammentare che, data l’elevata permeabilità del marmo per fratturazione e carsismo, i materiali fini (presenti in maniera pervasiva nelle cave e nei ravaneti), dilavati dalle piogge, si infiltrano nell’acquifero carbonatico delle Apuane compromettendone la qualità. Per un’esposizione rigorosa di questa problematica si rimanda al nostro documento online La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (2014).

Riassumendo, per il loro contenuto in terre, i ravaneti recenti si comportano nel modo più indesiderabile, da ogni punto di vista:

  • inquinamento dell’acquifero sotterraneo: sono una minaccia in quanto ricchi di terre sufficientemente permeabili da permetterne il trascinamento da parte delle acque d’infiltrazione;
  • accentuazione dei deflussi superficiali: in occasione di precipitazioni intense gli strati superficiali si saturano rapidamente; si comportano perciò come sostanzialmente impermeabili, favorendo il rapido deflusso delle acque (una volta colmate le cavità superficiali);
  • apporti solidi agli alvei: sono imbibili e fluidificabili, quindi erodibili e suscettibili alle frane; favoriscono il colmamento (graduale o improvviso) degli alvei.

La misura da noi proposta consiste nel mantenimento dei vecchi ravaneti (porosi, stabili, poveri di terre) e nella radicale rimozione dei ravaneti recenti (ricchi di terre e instabili), compresi quelli utilizzati come supporto per le vie d’arroccamento alle cave (che vanno ricostruite incidendo il substrato roccioso). Comprende anche (ma ai soli fini della tutela delle acque superficiali e sotterranee dall’inquinamento) il costante mantenimento della scrupolosa pulizia di tutte le superfici di cava, con lo stoccaggio di materiali fini (terre e marmettola) esclusivamente in contenitori a tenuta stagna. Riteniamo che la misura debba consistere nell’emanazione di prescrizioni o che, qualora attuata da enti pubblici, i costi debbano comunque essere a carico delle cave.

Un ulteriore ed auspicabile sviluppo della proposta può essere, dopo la rimozione dei ravaneti recenti, la loro ricostruzione con le sole scaglie di marmo (eliminando dunque completamente le terre) e adottando tecniche costruttive che ne assicurino l’assoluta stabilità anche nei confronti di eventi idrologici estremi. I ravaneti ricostruiti in questo modo avrebbero una porosità superiore anche a quella dei vecchi ravaneti e darebbero un ulteriore importante contributo alla riduzione dei picchi di piena (senza gli inconvenienti dell’apporto di detrito agli alvei e dell’intorbi­damento delle acque superficiali e sotterranee). Per evitare l’intasamento nel tempo degli interstizi di questi ravaneti è importante associare questa misura al mantenimento della scrupolosa pulizia di tutte le superfici di cava. Anche in questo caso i costi dovrebbero essere posti a carico delle cave, alle quali, in compenso, potrebbe essere consentito di ricostruire le vie d’arroccamento sui ravaneti (escludendo comunque ogni utilizzo di materiali fini).

Da quanto esposto è evidente che la misura è strategica poiché apporterebbe un grande beneficio alla riduzione del rischio alluvionale; soddisferebbe inoltre pienamente i criteri della Valutazione Ambientale Strategica poiché persegue sinergicamente anche gli obiettivi della Direttiva Acque: ridurre il rischio alluvionale migliorando contestualmente lo stato ecologico dei corpi idrici (superficiali e sotterranei).
 
 

3.Restituire spazio e naturalità al Carrione, delocalizzando le segherie

(da Carrara al mare)

Nota: la misura è inquadrabile tra le misure di Protezione col codice M33 (Interventi in alveo: rimozione di strutture, alterazione di canali, argini).

 

Da Carrara alla foce il Carrione è confinato tra stretti ed alti argini in cemento, realizzati nel tempo con innumerevoli interventi, giustapponendo materiali diversi e con modalità costruttive inadeguate (soprattutto nelle fondazioni), come i recenti crolli arginali (2012 e 2014) e i successivi controlli hanno ampiamente mostrato. I recenti lavori d’emergenza hanno messo in sicurezza le criticità immediate riscontrate, ma vi sono elementi che suggeriscono l’opportunità di un ripensamento radicale dell’assetto attuale:

  • vincoli economici, urbanistici e culturali hanno finora indotto a perseguire l’adeguamento nel tempo della sezione di deflusso essenzialmente tramite sovralzi arginali e risagomature con asportazione di sedimenti (mantenendo fissa la posizione degli argini);
  • il dimensionamento delle opere alla portata duecentennale si è basato su serie storiche di precipitazioni (mancando stazioni idrometrografiche) che i cambiamenti climatici in corso hanno dimostrato non più rappresentative delle tendenze in corso;
  • seguendo la tradizionale consuetudine, le opere sono state dimensionate per il transito della sola portata idrica, senza considerare quella solida (di fondo e flottante) che, pure, riveste spesso un ruolo determinante nelle esondazioni, soprattutto in corrispondenza delle strozzature idrauliche.

Pertanto, anche ricostruendo interamente gli argini attuali (per assicurarne realmente la stabilità), ne risulterebbe un alveo dimensionato in maniera risicata ed esposto a potenziali criticità (ad es. nei confronti del trasporto solido e/o di precipitazioni superiori a quelle previste).

La misura proposta consiste in un allargamento veramente generoso dell’alveo (da raddoppiare-triplicare rispetto all’attuale) da Carrara alla foce, delocalizzando segherie o altri insediamenti artigianali (di tratto in tratto in destra o in sinistra, secondo la convenienza).

La misura, restituendo all’alveo ampi spazi non strettamente necessari, si pone in aperta discontinuità con l’approccio idraulico tradizionale (ispirato al principio di restringere il più possibile i corsi d’acqua per “guadagnare spazio” ad altri usi del territorio), ma in piena sintonia con la Direttiva Alluvioni e con esperienze europee di restituzione di spazio agli alvei. Per questo motivo e per il costo, indubbiamente molto elevato, a nostro parere la misura è da concepire come un intervento pilota di adattamento ai cambiamenti climatici in quanto –anziché limitarsi a dimensionare le opere alla piena duecentennale– si propone di garantire margini di sicurezza decisamente sovrabbondanti, alvei similnaturali e una riqualificazione paesaggistica generale.

In un territorio così urbanizzato la proposta può apparire irrealizzabile; tuttavia, a ben vedere, l’intero corso del Carrione dalla foce a Carrara è fiancheggiato da segherie o insediamenti artigianali in maniera praticamente continua (Fig. 18). In questa sede non si scende nel dettaglio delle proposte operative per i singoli tratti; si fa solo presente che in diverse situazioni l’area da restituire al Carrione non interessa edifici attivi (ma solo, ad es. piazzali di segherie, edifici dismessi, strade, parcheggi) e che una scelta oculata per ogni tratto della sponda su cui ampliare l’alveo consente di ridurre i costi dell’intervento. Si tratta dunque di una sfida che può essere raccolta.
 

Fig. 18â. Suddivisione schematica del Carrione in tratti, con l’indicazione dell’uso urbanistico (artigianale, residenziale, non o poco costruito) delle fasce latistanti.
Fig. 18á. Suddivisione schematica del Carrione in tratti, con l’indicazione dell’uso urbanistico (artigianale, residenziale, non o poco costruito) delle fasce latistanti.

 
Per quanto riguarda le modalità d’intervento è fondamentale ricordare che la progettazione idraulica deve essere sempre accompagnata da quella ecologica: a questo fine, pur nell’ambito dei vincoli fisici esistenti, vanno realizzati alvei similnaturali evitando fondo piatto, sponde verticali, andamenti rettilinei ed altre forme geometriche. Questo principio, avendo validità generale (non è legato solo alla presente misura), viene esposto al punto 6, sotto forma di osservazione alla VAS.
 
 

4.Mantenere inedificabili le aree a pericolosità idraulica elevata

(anche dopo la loro “messa in sicurezza”)

Nota: la misura specifica, non prevista nel PGRA Toscana Nord, è inquadrabile tra le misure di protezione (di vincolo) indicate nel progetto di PGRA del Distretto Appennino Settentrionale col codice M21 (Misure per evitare l’insediamento di nuovi elementi a rischio nelle aree allagabili).

 
Nelle aree a pericolosità idraulica elevata o molto elevata l’interdizione alla nuova edificazione viene a cadere qualora le aree vengano messe in sicurezza. Questo meccanismo fa sì che molti amministratori locali concepiscano la messa in sicurezza come un cavallo di Troia, cioè strumentale all’urbanizzazione delle aree (che resta il loro obiettivo prioritario). Non si tiene sufficientemente conto del fatto che spesso la “messa in sicurezza”, se seguita dall’edificazione, conduce al risultato paradossale di aumentare i danni alluvionali.

Un esempio che mostra come la messa in sicurezza possa aggravare il rischio alluvionale è illustrato schematicamente nella Fig. 19 (che utilizza i dati previsti per l’area Ceci), mentre la Fig. 20 riporta le previsioni del piano strutturale di Carrara per le due aree a pericolosità elevata-molto elevata di Villa Ceci e di Viale Galilei. L’attuale piano strutturale, dunque, pianifica non solo l’urba­nizzazione, ma anche l’aumento del rischio idraulico.

La misura proposta consiste nel mettere in sicurezza le due aree di Villa Ceci e di Viale Galilei, ma mantenendone l’inedificabilità, in quanto tali aree sarebbero comunque inondate nel caso di rottura arginale del T. Carrione e del T. Parmignola, entrambi pensili di alcuni metri sul piano campagna.

Per l’area Ceci il Comune ha già dichiarato che intende rinunciare alle previsioni edificatorie del piano strutturale, ma la variante al piano non è stata avviata e non vi è alcuna garanzia che l’intento sia mantenuto dagli attuali o dai futuri amministratori. Un’esplicita misura del PGRA fugherebbe pertanto ogni timore.
 

Fig. 19. Lo schema mostra come la messa in sicurezza possa condurre ad un aumento del rischio idraulico. Se un’area inondabile con 100 abitanti (qui rappresentati da due case) viene messa in sicurezza con un argine che dimezzi la pericolosità (portando la probabilità di inondazione da una volta su 200 anni ad una su 400 anni), ma poi viene edificata portando gli abitanti a 1.471, il danno potenziale (in caso di inondazione) aumenta di 14,7 volte. Il risultato finale sarà quindi un aumento del rischio idraulico di 7,4 volte (in quanto inondati 2 volte di meno ma, quella volta, con un danno 14,7 volte maggiore). La figura è stata riadattata inserendo i dati reali dell’area Ceci (previsti dal piano strutturale di Carrara) nella figura originale di A. Nardini, in: CIRF, 2006. La riqualificazione fluviale in Italia. Linee guida, strumenti ed esperienze per gestire i corsi d’acqua e il territorio. A. Nardini, G. Sansoni (curatori) e coll., Mazzanti editore, Mestre.

 

Fig. 20. Le previsioni del piano strutturale di Carrara per le due UTOE (Unità Territoriali Organiche Elementari) di Villa Ceci e di Viale Galilei, entrambe ripetutamente inondate dal 2000 ad oggi a seguito di esondazioni e di rotture arginali del T. Parmignola e del T. Carrione (entrambi pensili). Nell’alluvione da crollo arginale del 5 nov. 2014, peraltro, è stata inondata anche tutta l’area di Marina delimitata dal tratteggio lilla che risultava a bassa pericolosità (P1). Ciò smentisce il luogo comune che ritiene “sicura” un’area “messa in sicurezza”: affermazione valida solo se l’argine non crolla mai e se non si verificano piene superiori a quelle di progetto. Peccato che i crolli arginali non siano affatto rari (a Carrara ne abbiamo avuti 4 in 3 anni: nel 2012 il muraglione sul Parmignola e il muro sinistro del Carrione a Nazzano e nel 2014 l’argine destro del Parmignola e del Carrione) e che, a causa dei cambiamenti climatici, le piene eccezionali siano oggi ben più frequenti di quelle previste sulla base della serie storica del secolo scorso.

 
 

5.Porto turistico e commerciale: non strozzare la foce del Carrione

(revocare previsioni di porto turistico e di ampliamento porto commerciale)

Nota: la misura, non prevista nel PGRA Toscana Nord, è inquadrabile tra le misure di protezione (di vincolo) indicate nel progetto di PGRA del Distretto Appennino Settentrionale col codice M21 (Misure per evitare l’insediamento di nuovi elementi a rischio nelle aree allagabili).

 
Il Master Plan dei porti toscani prevede un intervento di grande rilevanza urbanistica alla foce del Carrione: un porto turistico da 1.400 posti barca a sinistra della foce e, in destra, l’ampliamento dell’attuale porto commerciale, mediante un ulteriore ampliamento del piazzale Città di Massa e un nuovo molo. A tal fine la foce del Carrione verrebbe deviata verso est e prolungata in mare di600 m, formando un porto canale tra i due nuovi moli (commerciale e turistico); il primo tratto di circa150 m, peraltro, sarebbe coperto dal nuovo piazzale di raccordo tra i due porti (Fig. 21).

Vi è il fondato timore che questa previsione, graniticamente voluta dall’amministrazione comunale, possa contribuire a rendere particolarmente critico lo sbocco a mare del Carrione, soprattutto in condizioni meteomarine avverse (e anche per la presenza della barra di foce, ripetutamente asportata, ma continuamente riformatasi: Fig. 22), producendo così un rigurgito idraulico che innalza il livello della piena favorendo l’esondazione nel tratto di pianura.

Va inoltre considerato che la realizzazione del porto turistico indurrebbe una colata di cemento sulla costa (per i servizi nautici e turistici): oltre alla pericolosità idraulica aumenterebbe pertanto (notevolmente!) il valore dei beni esposti al rischio alluvionale.

Considerate anche le priorità della Direttiva Alluvioni che mettono al primo posto le misure di prevenzione, la misura da noi proposta prevede la revoca delle previsioni del nuovo porto turistico e dell’ulteriore ampliamento del porto commerciale esistente.
 

Fig. 21. Le previsioni del Masterplan dei porti toscani: le infrastrutture di nuova previsione sono delimitate dalla linea punteggiata gialla.

 

Fig. 22. La barra di foce del Carrione, costituita da ciottoli e terre tendenti a consolidarsi, è un deposito naturale all’interfaccia acque correnti (torrente) e stagnanti (mare); si riforma perciò dopo ogni intervento di rimozione.

 
 

6.Osservazione alla VAS: obiettivo specifico 2 – Tutela dell’ambiente.

Integrare sempre la progettazione idraulica con quella ecologica

 
Rispetto agli obiettivi specifici indicati nel PGRA Appennino Settentrionale, il Rapporto ambientale Toscana Nord (pag. 20) aggiunge opportunamente la promozione della conservazione della naturalità dei beni ambientali e degli habitat fluviali e costieri. Tuttavia non è esplicitato in quale modo si intenda conseguire questo obiettivo, né le misure proposte fanno alcun accenno a questo aspetto. È dunque possibile (anzi, molto probabile) che, in mancanza di esplicite direttive, le misure concretamente adottate (in particolare quelle relative ai codici M33-Interventi sugli alvei e M35-Manutenzione delle opere idrauliche) si traducano in una artificializzazione degli alvei, contraddicendo l’obiettivo propostosi. Gli altri due obiettivi per l’ambiente del Progetto di PGRA, peraltro, limitano la propria attenzione ai possibili effetti negativi (per le aree protette e per lo stato ecologico dei corpi idrici) «da possibile inquinamento in caso di eventi alluvionali».

Tale impostazione rivela una concezione limitata degli elementi che contribuiscono allo stato ecologico dei corpi idrici. Quest’ultimo, infatti, ancor più che alla qualità delle acque (quindi alla mitigazione dell’effetto di inquinamenti occasionali), è legato alla diversità degli habitat fluviali (pozze, raschi, barre, vegetazione riparia, ecc.) e pertanto può essere migliorato garantendo le dinamiche idromorfologiche naturali (divagazione dell’alveo, erosione, deposito, connessione con la piana inondabile, ecc.). L’artificializzazione dell’alveo (rettifiche, canalizzazioni, difese spondali, arginature, ecc.), infatti, esercita un impatto ambientale spesso superiore a quello dell’inquinamento (aspetto, peraltro, riconosciuto anche nel Rapporto ambientale PGRA Toscana Nord: par. 4.4.1 Biodiversità, habitat, flora, fauna e aree protette, pag. 56).

Ne discende la necessità di prestare una particolare attenzione, nelle fasi di individuazione, progettazione e attuazione delle misure, ad evitare l’introduzione di uniformità ambientale (es. forme geome­triche) e a garantire il libero esplicarsi delle dinamiche idromorfologiche fluviali (che sono il “motore” del mantenimento/ripristino/rinnovamento della diversificata morfologia naturale degli alvei).

Da qui la nostra proposta di inserire nel PGRA una direttiva esplicita di integrare in ogni misura la progettazione ecologica a quella idraulica, rispettando o ripristinando la morfologia naturale degli alvei.

La realizzazione delle misure di manutenzione degli alvei e delle opere idrauliche senza prestare attenzione agli aspetti ecologici rappresenta infatti la forma più diffusa e reiterata di degradazione dello stato ecologico, peraltro del tutto ingiustificata in quanto non necessaria al conseguimento del beneficio idraulico.

A puro titolo d’esempio si riportano di seguito alcuni spunti per integrare la progettazione idraulica con quella ecologica nella realizzazione della misura da noi proposta al punto 3 (Restituire spazio e naturalità al Carrione, delocalizzando le segherie).

Le Fig. 23 e 24 mostrano schematicamente che l’ampliamento dell’alveo può essere realizzato conferendo uniformità ambientale (spianando l’alveo) o, al contrario, favorendone la diversità ambientale (creando così il prerequisito per la diversità biologica). Purtroppo negli interventi di asportazione di sedimenti e di risagomatura degli alvei è pratica corrente lo spianamento dell’alveo, non per reali necessità idrauliche, ma per un malinteso concetto di lavoro ordinato, “eseguito a regola d’arte”.

Va però considerato che la realizzazione di un fondo piatto comporta la dispersione delle acque su un’ampia superficie e induce una notevole riduzione della velocità e della profondità, con una serie di conseguenze ecologiche negative, tra le quali il riscaldamento delle acque, la proliferazione algale e condizioni predisponenti a crisi anossiche e a morie di pesci e di altri organismi acquatici (Fig. 25 e26, asinistra). Da qui l’importanza di creare un alveo diversificato garantendo tra l’altro un canale di magra sinuoso nel quale, anche nei periodi con portate più ridotte, le acque possano mantenersi più fresche e scorrere con velocità e profondità sufficienti, assicurando condizioni idonee alla vita degli organismi acquatici (Fig. 25 e 26, adestra).

L’esempio della foto 25 è molto eloquente poiché permette di rilevare già ad occhio nudo l’influenza determinante della diversità ambientale sullo stato ecologico; va però considerato che tale influenza si esplica anche attraverso numerosi altri meccanismi i cui effetti non sono percepibili ad occhio nudo (ad es. la creazione di microhabitat diversificati, capaci pertanto di ospitare una comunità di organismi acquatici ricca e diversificata).
 

Fig. 23. In primo piano la situazione attuale del Carrione a valle dell’autostrada. La linea tratteggiata indica la sezione presa a riferimento nella Fig. 24 per illustrare la nostra proposta di ampliare il Carrione delocalizzando le segherie (nel caso specifico occupandone solo il piazzale).

 

Fig. 24. Esempio schematico di approcci diversi all’ampliamento dell’alveo del Carrione. A: situazione attuale. B e C: alveo ampliato occupando parte del piazzale della segheria (cfr. Fig. 23) ma con due approcci progettuali differenti: quello tradizionale, con alveo geometrico e spianato (B) e quello integrato idraulico-naturalistico (C). Le ripercussioni ecologiche dei due approcci sono discusse nel testo e illustrate nelle Fig. 25 e 26.

 

Fig. 25. Carrione ad Avenza, a monte del ponte di via Pucciarelli (giugno 2015). A sinistra: a seguito dello spianamento dell’alveo conseguente ai lavori post alluvione le acque scorrono lentamente disperdendosi su un’ampia superficie; le condizioni eutrofiche indotte hanno innescato un bloom di alghe filamentose lunghe diversi metri (in primo piano). A destra: solo poche decine di metri a monte (nel tratto indicato dal cerchio), invece, è bastata la formazione di due piccole barre laterali per conferire alle acque maggior profondità, velocità e turbolenza; queste condizioni sono state sufficienti ad evitare l’esplosione algale, migliorando notevolmente le condizioni ecologiche.

 

Fig. 26. A sinistra: l’appiattimento dell’alveo, oltre a ridurre la diversità ambientale, determina il riscaldamento delle acque e la riduzione dell’ossigeno disciolto proprio quando gli organismi acquatici ne hanno un maggior fabbisogno: ne risultano morie ittiche. A destra: la creazione di un alveo di magra inciso mantiene le acque più fresche ed ossigenate, favorendo la vita degli organismi acquatici.

 

Legambiente Carrara
 



Per saperne di più:

Sulle alluvioni locali:

 Toscana Nord: Progetto di Piano di Gestione Rischio Alluvioni, Proposta (Giugno 2015: PDF, 1,3 MB)

 PGRA Toscana Nord, Rapporto Ambientale: Valutazione Ambientale Strategica (Giugno 2015: PDF, 4 MB)

 PGRA: Relazione e criteri generali di indirizzo per il Distretto Appennino Settentrionale (Dicembre 2014: PDF, 0,4 MB)

Alluvioni: le segherie di Carrara nel dossier “Effetto Bomba”  (18/6/2015)

Carrara: le alluvioni procurate. Come difenderci  (VIDEO, 15/12/2014)

Basta alluvioni: meno opere, miglior politica urbanistica  (15/11/2014)

Alluvione di Carrara: chiediamo scelte coraggiose (lettera a Rossi)  (12/11/2014)

 Scandalo Carrione: “Legambiente, inascoltata Cassandra” (Articolo di M. Imarisio sul Corriere della Sera, 6/11/2014)

Dopo l’alluvione: cambiare prospettiva  (6/11/2014)

Carrara: dopo l’alluvione serve un’idea sana di sviluppo (20/11/2012)

Esposto alla Procura: il Comune ha scelto di allagare Miseglia ad ogni pioggia (12/11/2012)

Dopo l’alluvione: il Magra, scavato e “ripulito” è ora più pericoloso. Lettera-esposto di Legambiente (15/6/2012)

Alluvione nel basso Magra: vere e false soluzioni (VIDEO 28/1/2012)

Alluvione Lunigiana: cause e soluzioni (conferenza Sansoni) (VIDEO 10/12/2011) durata: 38′

Alluvione Lunigiana. Legambiente alle Regioni: basta alibi, stop al cemento (28/11/2011)

Aulla, l’alluvione prevista da Legambiente (VIDEO 7/11/2011)

Terre nei ravaneti: rischio di frana e alluvione (VIDEO 22/11/2011)

Aspettando la prossima alluvione: gli interessi privati anteposti alla sicurezza (26/3/2007)

In attesa della prossima alluvione: porre ordine alle cave (15/3/2007)

Alluvione Carrara: analisi e proposte agli enti (11/10/2003)

 Carrione, sicurezza e riqualificazione: un binomio inscindibile (Conferenza su alluvione: Relazione di Giuseppe Sansoni, 17/3/2006: PDF, 3,2 MB)

 Fenomeni di instabilità sui ravaneti (Conferenza su alluvione: Relazione Giuseppe Bruschi, 11/10/2003: PDF, 1,1 MB)

 Cave, ravaneti, alluvione: che fare? (Conferenza su alluvione: Relazione Piero Sacchetti, 11/10/2003: PDF, 37 KB)

 

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