Dimensione testo » A+ | A–

Le nostre proposte per il Piano Regionale Cave

Share
Print Friendly, PDF & Email


 

Regione Toscana (PEC):
– Resp. Piano Regionale Cave, arch. Stefano Agati
– Presidente; Giunta; Consiglieri regionali; Garante regionale
– Direzioni Regionali:
Agricoltura e sviluppo rurale; Ambiente ed Energia; Difesa del Suolo e Protezione Civile; Politiche Mobilità, Infrastrutture, Trasporto; Urbanistica e Politiche Abitative; Attività Produttive; Lavoro; Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale
–  Settori Regionali:
Assetto idrogeologico; Genio Civile Toscana Nord; Protezione Civile e Rischio Alluvioni; Settore Idrologico Regionale; Pianificazione del Territorio; Tutela, riqualificazione e valorizzazione paesaggio; Sistema Informativo Territoriale e Ambientale; Miniere e monitoraggio acque minerali e termali; Energia e Inquinamenti; VIA, VAS; Bonifiche; Tutela della natura e del mare; Prevenzione e Sicurezza sui Luoghi di Lavoro

Comuni dell’area apuana (PEC):
Carrara, Massa, Fivizzano, Minucciano, Seravezza, Stazzema, Vagli di Sotto

Azienda USL Toscana Nord Ovest (PEC)

ARPAT (PEC)

Agenzia Regionale Recupero Risorse (ARRR) (PEC)

Camera Commercio (e-mail):
Massa Carrara; Lucca

Internazionale Marmi e Macchine Carrara (PEC)

Min. dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (PEC)

Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo:
– Direz. Reg. Beni Culturali e Paesaggistici Toscana (e-mail)
– Soprintendenza Beni archeologici Toscana (PEC)
– Soprintendenza Beni Architettonici Lucca e Massa Carrara (e-mail)

Ist. Superiore Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA) (PEC)

Autorità di Bacino
(PEC):
F. Magra; F. Serchio; F. Arno (Distretto Appennino sett.)
Consorzio di Bonifica 1 Toscana Nord (PEC)

ATO Rifiuti Toscana (PEC)

Autorità Idrica Toscana (PEC)

Parco Regionale delle Alpi Apuane (PEC)

 

Oggetto: Contributo alla formazione del Piano Regionale Cave

 

1.       Premessa: individuare subito i conflitti e le criticità

Il presente contributo si riferisce in particolare alle cave di marmo del comprensorio apuo-versiliese. Innanzitutto, si esprimono apprezzamenti per la scelta della Regione di aver avviato la procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) fin dalle prime fasi del processo di pianificazione/program­mazione del Piano Regionale Cave (PRC). Come evidenziato nel Documento preliminare di VAS, infatti, ciò rafforza l’integrazione ambientale, contribuisce all’accettazione sociale, consente la precoce emersione dei potenziali conflitti tra sviluppo e ambiente, rendendo così possibile affrontarli e risolverli.

Pertanto, pur non rientrando tra i ‘soggetti competenti in materia ambientale’ richiesti di un contributo in questa prima fase del procedimento, ci permettiamo di presentarlo ugualmente, nella convinzione che, per la loro natura strategica, gli spunti che forniamo potranno essere utili se presi in considerazione proprio nella fase iniziale di impostazione del PRC. A piano già predisposto, il loro accoglimento sarebbe improbabile, poiché potrebbe comportare una radicale rivisitazione del piano stesso.

L’utilità di un avvio precoce della VAS è oltremodo evidente se si considera che il PRC deve integrarsi ed essere coerente sia con la restante programmazione regionale –Programma regionale di sviluppo (PRS), Documento di economia e finanza (DEFR), Piano di indirizzo territoriale (PIT) e relativo Piano paesaggistico (PPR), Piano Ambientale ed energetico (PAER), Piano rifiuti e bonifiche (PRB), Piano infrastrutture e mobilità (PRIIM), Piano agricolo e forestale (PRAF), Piano tutela acque (PTA), Piano sviluppo economico (PRSE), Piano qualità aria (PRQA)– sia con il Programma di azione ambientale (PAA) dell’UE (ambiente, clima, sostenibilità, biodiversità, salute, direttiva acque, direttiva alluvioni, ecc.) e con la Strategia di azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia (decarbonizzazione, sicurezza del territorio, gestione integrata dei rifiuti e delle acque) e con la Strategia energetica nazionale e la Strategia nazionale per la biodiversità.

Una particolare attenzione inoltre, considerata la forte interdipendenza, va riservata ad una stretta integrazione e sinergia del PRC con i due piani la cui procedura è attualmente in fase di elaborazione: i Piani attuativi di bacino estrattivo previsti dal PIT-PPR (in corso di VAS) e, per il comune di Carrara, il Master Plan del Torrente Carrione che prevede sia una risistemazione generale del bacino montano sia radicali interventi per rendere sostenibile la gestione del comparto estrattivo.

Ben si comprende, quindi, la necessità di una visione d’insieme in grado non solo di evitare conflitti tra gli obiettivi dei numerosi strumenti di pianificazione/programmazione ma, anzi, di individuare soluzioni innovative che perseguano sinergicamente il raggiungimento e l’ottimizzazione di obiettivi talora intrinsecamente conflittuali. A questo proposito si avanzerà nel seguito una proposta di gestione degli scarti d’escavazione volta a conseguire contestualmente la riduzione del rischio alluvionale, la tutela qualitativa e quantitativa delle acque superficiali e sotterranee e il recupero paesaggistico.

L’accoglimento o meno di questa proposta rappresenta un bivio dal quale si svilupperebbero due impostazioni operative ben diverse del PRC: da qui il rilevo fondamentale di una sua valutazione attenta proprio in questa fase preliminare di redazione del PRC.

Un altro aspetto critico, di importanza cruciale, riguarda l’efficacia che ci si propone dal PRC. Come argomenteremo più avanti, l’analisi dei quantitativi di materiali estratti nel decennio 2005-2014 (distinti in blocchi, scaglie bianche, scaglie scure, scogliere e terre e tout venant) evidenzia una diffusa realtà di usi impropri dei giacimenti marmiferi (es. cave che nel decennio hanno estratto addirittura oltre il 90% di detriti) e di illegalità (es. cave che hanno portato a valle solo blocchi, abbandonando i detriti al monte).

Le prescrizioni del piano precedente (il PRAER autorizzava le attività estrattive solo se la percentuale in blocchi raggiungeva almeno il 25%) sono state, pertanto, del tutto inefficaci, e, aspetto di vera preoccupazione, è fallito (per incapacità o mancata volontà) il dispositivo di controllo previsto dal PRAER (Parte II, punto 2.1). I rapporti annuali, cava per cava, dei quantitativi escavati inviati dai Comuni alla Regione –dai quali risultavano le clamorose violazioni– sono stati infatti ignorati al livello sia comunale che regionale. Ci auguriamo che il PRC intenda cautelarsi dal ripetersi di tali gravi errori.

Anche su questa problematica avanzeremo proposte operative: in primis, una totale trasparenza (completo e libero accesso ai dati) che favorisca la partecipazione pubblica, come forte strumento di stimolo alle strutture amministrative.

Avanzeremo infine alcuni suggerimenti per la redazione del PRC e, in particolare, per il monitoraggio ambientale: nel merito, lo stesso Documento preliminare di VAS individua criticità e difficoltà oggettive ed evidenzia la necessità di definire gli indicatori più rilevanti e di rivedere le modalità gestionali.

 

2.       Integrare PRC, rischio alluvionale,
tutela delle acque e del paesaggio

Ribadita la necessità di completare gli interventi, in corso, di sistemazione delle numerose criticità idrauliche del Torrente Carrione nel tratto da Carrara al mare, richiamiamo l’attenzione sul suo bacino montano e sulle ripercussioni sul rischio alluvionale della gestione dei bacini estrattivi.

Mentre rinviamo, per eventuali approfondimenti, a nostri precedenti documenti (Tab. 1), esponiamo qui una sintesi dei concetti essenziali che trovano un’autorevole conferma nel Master Plan del Torrente Carrione, approvato dalla giunta regionale con delibera n. 779 dell’1/8/16 (in particolare, nella relazione del prof. Seminara, DICCA, Univ. Genova, 15/3/16).

 

Tab. 1. Principali articoli di Legambiente sul rapporto tra gestione dei bacini marmiferi e rischio alluvionale (in grassetto gli articoli più significativi per il presente documento).

Data Titolo
24/9/2016 Gestire in sinergia cave, ambiente e rischio alluvionale (2° contributo alla VAS dei piani attuativi estrattivi)
10/8/2016 Piani attuativi dei bacini estrattivi: una proposta di buonsenso (quindi rivoluzionaria)
24/7/2016 Marmettola: dalle cave alle sorgenti (Video)
14/6/2016 Cave apuane: stop al disastro ambientale e all’illegalità
31/3/2016 Carrione: rivedere i calcoli, intervenire sui ravaneti, ripristinare gli alvei soffocati da strade
19/03/2016 Terre di cava nei ravaneti. La strategia del sindaco: alle cave l’impunità, ai cittadini l’alluvione
16/03/2016 Fermare la fabbrica del rischio alluvionale. Salvare i ponti intervenendo su ravaneti e strade in alveo
7/11/2015 Come fermare la fabbrica del rischio alluvionale
24/10/2015 Come opera la fabbrica del rischio alluvionale (la bonifica dei ravaneti)
7/7/2015 Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni
15/12/2014 Carrara: le alluvioni procurate. Come difenderci  (VIDEO)
15/11/2014 Basta alluvioni: meno opere, miglior politica urbanistica
20/11/2012 Carrara: dopo l’alluvione serve un’idea sana di sviluppo
22/11/2011 Terre nei ravaneti: rischio di frana e alluvione (VIDEO)
15/3/2007 In attesa della prossima alluvione: porre ordine alle cave
11/10/2003 Alluvione Carrara: analisi e proposte agli enti

 
La disposizione a ventaglio degli affluenti montani del Carrione (con confluenza quasi sincrona nel centro urbano), la nudità dei bacini marmiferi (incapaci di sostenere una copertura vegetale idrologicamente efficace), le elevate precipitazioni, l’intensità degli eventi (conseguente al meccanismo di intensificazione degli eventi meteorologici noto come ‘ciclogenesi del Golfo Ligure’) e le spiccate pendenze dei versanti montani rappresentano una miscela esplosiva che, favorendo la rapida corrivazione delle acque, espone Carrara a picchi di piena particolarmente improvvisi ed elevati.

La relazione Seminara svolge un’analisi puntuale della situazione e fornisce indicazioni per la riduzione del rischio alluvionale. Limitandoci al bacino montano e alle interferenze tra attività estrattive e rischio alluvionale, la relazione ritiene insostenibile l’attuale coltivazione delle cave e sottolinea che non è ulteriormente procrastinabile un piano di gestione delle cave che sia sostenibile. In particolare:

  • l’abbondante presenza di materiali fini (marmettola e terre) nei ravaneti, oltre a generare l’inqui­namento dei corsi d’acqua e l’infiltrazione nella falda, favorisce l’innesco di colate detritiche che, scaricando sedimenti negli alvei sottostanti, ne riducono l’officiosità idraulica accrescendo il rischio alluvionale. Propone pertanto come indispensabile una metodica opera di sistemazione dei ravaneti attraverso la rimozione dei materiali fini presenti nello strato superficiale (poiché questi favoriscono il ruscellamento superficiale, uno dei meccanismi fondamentali di destabilizzazione);
  • la viabilità di fondo valle montana, in gran parte a servizio delle cave, costringe gli alvei originari in piccoli canali (idonei solo al deflusso delle basse portate) o, addirittura, occupa interamente il fondo valle. In entrambi i casi, le portate di piena scorrono velocemente sull’asfalto aggravando il rischio alluvionale nel centro urbano. La relazione indica perciò la necessità di ripristinare la funzionalità del reticolo idrografico montano, spostando la viabilità di fondo valle dove necessario;
  • allo scopo di ridurre le portate di piena che transitano nel centro cittadino è necessaria la realizzazione di una serie di piccoli invasi montani, la cui funzionalità può essere garantita solo con la sistemazione dei ravaneti e con opere che intercettino l’eccesso di trasporto solido di fondo indotto da eventi eccezionali.

La relazione sottolinea che la preventiva realizzazione di tali interventi è indispensabile per non compromettere la funzionalità degli altri interventi idraulici previsti nel tratto cittadino e fino al mare. Richiama inoltre la necessità di una rivisitazione dello studio idrologico, anche alla luce delle azioni di rimozione dei materiali fini dai ravaneti e del ripristino di condizioni di maggiore permeabilità degli ammassi, che potranno contribuire all’attenuazione dei picchi di piena (in misura da accertarsi attraverso uno studio ad hoc).

Va precisato che, nel rispetto dell’incarico ricevuto, le indicazioni della relazione Seminara si attengono alle problematiche della sicurezza idraulica. Come è verificabile dai documenti elencati nella Tab. 1, Legambiente non solo condivide tali indicazioni, ma, in considerazione anche degli obiettivi del Piano paesaggistico e di altri strumenti pianificatori (tutela delle acque superficiali e sotterranee, ripristino della funzionalità dei sistemi fluviali alterati, recupero paesaggistico, ecc.), ritiene che tali indicazioni debbano essere sviluppate ulteriormente con i seguenti interventi:

  • completo smantellamento di tutti i ravaneti esistenti (compresi quelli che supportano le vie d’arroccamento, asfaltate o no), da sottoporre a vagliatura per l’eliminazione delle frazioni fini, e loro ricostruzione con le sole scaglie, avendo cura di stabilizzarli anche nei confronti di precipitazioni di estrema intensità. Riteniamo infatti necessaria l’eliminazione dei materiali fini dall’intero corpo dei ravaneti (non solo dallo strato superficiale) poiché:
    1. in determinate condizioni idrologiche (piogge prolungate, anche di modesta intensità, seguite da una precipitazione intensa), le colate detritiche possono innescarsi anche nel corpo profondo del ravaneto, reso plastico dalle piogge precedenti;
    2. il ripristino della piena permeabilità degli ammassi detritici favorirebbe la loro importante azione di laminazione delle portate di piena (assorbimento di elevati volumi idrici, restituiti al deflusso superficiale lentamente e con notevole ritardo). La rivisitazione dello studio idrologico e uno studio ad hoc (previsti dalla relazione Seminara) permetterebbero di verificare in quale misura questo intervento potrà ridurre la necessità degli altri interventi strutturali previsti dal Master Plan del Carrione;
    3. la rimozione radicale di marmettola e terre, infine, è indispensabile per porre fine all’inqui­namento delle sorgenti (si veda il video Marmettola: dalle cave alle sorgenti del 24/7/2016 in Tab. 1);
    4. l’intervento, come appare ovvio, deve essere accompagnato dal divieto assoluto di creare nuovi ravaneti e di alimentare quelli esistenti (nemmeno per la funzione di deposito temporaneo, con scarico dei materiali dall’alto e loro allontanamento dal basso). Lo scarico delle sole scaglie (prive di frazioni fini) può essere ammesso solo per la creazione degli ammassi permeabili citati al punto b, finalizzati a ridurre il rischio alluvionale (quindi solo su progetto pubblico);
  • prescrizione “cave pulite come uno specchio”: tutte le superfici di cava (piazzali, bancate, versanti) dovranno essere perfettamente e costantemente pulite; anche le rampe di cava e le vie d’arroccamento dovranno essere smantellate e ricostruite senza alcuna frazione fine. In assenza di questa prescrizione, l’efficacia (e i costi) del grandioso intervento di bonifica e risistemazione dei ravaneti sopra citato (la vera “grande opera” di cui ha bisogno il nostro territorio) sarebbe vanificata da nuovi apporti di marmettola e di terre provenienti dalle cave. Considerate le sue gravi conseguenze, la violazione di questa prescrizione dovrebbe prevedere l’immediata e definitiva revoca dell’autorizzazione, escludendo la ditta e i loro titolari da ogni futura possibilità di esercitare l’attività estrattiva. È il caso di precisare che questa prescrizione implica anche il divieto di vagliatura (nonché di frantoi) dei detriti in cava o, quantomeno, ne impone l’effet­tuazione in locali coperti, protetti dal vento e dalle piogge;
  • spostamento a quote più elevate di tutte le strade di fondo valle che hanno occupato interamente o parzialmente gli alvei preesistenti e ripristino di questi ultimi, realizzando alvei larghi, sinuosi, con fondo e sponde naturali e dotati di scabrezza. Il contenimento in alveo delle portate di piena e il sensibile rallentamento dei deflussi permetterebbero di conseguire la riduzione del rischio idraulico, il miglioramento paesaggistico e il ripristino della funzionalità dei sistemi fluviali alterati.

È del tutto evidente che integrare nella VAS anche il rischio alluvionale e la tutela delle acque e del paesaggio, come qui proposto, comporta una redazione del Rapporto Ambientale che tenga conto di queste problematiche. I meccanismi sopra accennati (genesi delle colate detritiche, inquinamento da marmettola e da terre delle acque superficiali e sotterranee, incremento del rischio alluvionale per la presenza di materiali fini nei ravaneti e di strade di fondo valle che restringono od occupano gli alvei) costituiscono importanti riferimenti concettuali per l’elaborazione del Rapporto Ambientale e dovranno quindi entrare nelle metodologie per l’analisi ambientale e per la valutazione degli impatti.

Analogamente, i notevoli benefici derivanti dalle proposte sopra avanzate (tra cui l’incremento occupazionale conseguente alla sistemazione dei ravaneti e all’adozione della strategia “cave pulite come uno specchio”), mostrando fattualmente minori impatti ambientali e sociali, consentirebbero di conseguire certificazioni ambientali, rappresentando in tal modo un importante incentivo al lancio di etichette locali capaci di innalzare l’identità del prodotto tipico. La comunicazione della propria impronta ambientale e sociale contribuirebbe al conseguimento degli obiettivi del PRSE e dell’art. 55 della L.R. 35/2015.

È doveroso concludere questo paragrafo precisando che le considerazioni esposte sulla gestione del rischio alluvionale sono espressamente riferite al comune di Carrara nel quale i ravaneti, a causa dei loro notevoli spessori e della loro ampia estensione rispetto alla superficie del bacino montano, esercitano una rilevante influenza idrologica (oggi negativa, ma domani potenzialmente molto positiva, se saranno accolte le nostre proposte). Sia pure in misura inferiore, per la minor superficie dei ravaneti, queste considerazioni sono forse estendibili anche al comune di Massa.

Nel restante comprensorio apuo-versiliese, invece, i ravaneti occupano una percentuale molto limitata della superficie del bacino idrografico. Le soluzioni sopra indicate, pertanto, pur mantenendo la loro validità per la tutela delle acque superficiali e sotterranee, non sono proponibili come misure mirate alla gestione del rischio alluvionale. In questo comprensorio il PRC dovrebbe quindi porsi l’obiettivo della rimozione integrale di tutti i ravaneti esistenti, limitandosi invece alla sola bonifica dai materiali fini per quei ravaneti indispensabili come supporto alle vie d’arroccamento alle cave attive. La rimozione dei ravaneti delle cave dismesse potrebbe essere posta a carico delle cave attive, come misura di compensazione dell’impatto.

 

3.       Efficacia del PRC (evitare il fallimentare risultato del PRAER)

Come evidenziato nel Documento di avvio del procedimento di VAS, il PRC è volto in primo luogo a promuovere l’approvvigionamento sostenibile delle risorse minerarie e, a tale scopo, è necessario che la loro disponibilità non venga compromessa da usi impropri. Si propone inoltre la sostenibilità ambientale, territoriale, economica e sociale delle attività estrattive. Ai sensi dell’art. 7 della L.R. 35/2015, inoltre, il PRC deve prevedere gli indirizzi per la gestione sostenibile dei siti estrattivi del comprensorio, nonché definire i giacimenti in cui possono localizzarsi le aree a destinazione estrattiva e le prescrizioni dirette a garantire la gestione sostenibile delle risorse lapidee.

Va ricordato che anche il precedente PRAER si poneva analoghi obiettivi e, tra le misure a ciò finalizzate, prevedeva per i materiali ornamentali un rapporto di almeno il 25% in blocchi e 75% di detriti. Tuttavia, come sintetizzato nella Fig. 1, tali previsioni sono state manifestamente disattese.

Fig. 1. Comune di Carrara: numero di cave e relativa percentuale di detriti nel decennio 2005-2014. 55 cave (pari al 59% delle 93 cave attive nel decennio) violano il PRAER, avendo prodotto il 75-100% di detriti (in rosso e arancione); le 14 cave (in giallo e arancio chiaro) con detriti compresi tra 0 e 50%, sono apparentemente virtuose ma, in realtà, abbandonano i detriti al monte; solo 24 cave (in verde) rispettano il PRAER. Percentuali del tutto analoghe si hanno anche dopo il 2007, anno di entrata in vigore del PRAER.
Fonte: elaborazione Legambiente dei dati ufficiali forniti dal Comune di Carrara, registrati alla pesa comunale.

 
È inevitabile chiedersi come sia stato possibile consentire a 55 cave di produrre oltre il 75% di detriti (25 delle quali oltre il 90-100%), e ciò non in un momento contingente, ma per un intero decennio; consentire a 14 cave di produrre una percentuale di blocchi superiore al 50% e, per alcune di esse, pari addirittura al 100%: un dato chiaramente inverosimile che, dunque, rivela non un comportamento virtuoso, ma una violazione ulteriore, e cioè l’abbandono dei detriti al monte.

Evidentemente, il comune ha inviato ogni anno alla regione i rapporti sui quantitativi estratti da ciascuna cava e non ha ritenuto suo dovere assumere iniziative per ricondurre le cave al rispetto del PRAER. Anche la regione, tuttavia, ricevendo senza batter ciglio tali rapporti annuali che documentavano la clamorosa violazione del PRAER, ha mostrato di non attribuire particolare importanza ai princìpi, pur declamati, dell’approvvigionamento sostenibile del marmo e della necessità di evitarne usi impropri.

Ci auguriamo che la regione, nell’accingersi alla redazione del PRC, intenda premunirsi per evitare il ripetersi di tali comportamenti che ne svuoterebbero in partenza l’efficacia. Purtroppo, il Documento di avvio del procedimento non lascia ben sperare: in esso, infatti (pag. 44), pur rilevando il mancato rispetto delle percentuali 25/75 di blocchi/detriti, si avanzano ipotesi giustificative e la verifica del rispetto di tali percentuali è rimandata alla scadenza delle autorizzazioni già rilasciate.

In poche parole, la regione stessa sembra considerare i rapporti annuali dei quantitativi escavati non uno strumento di controllo per assicurare il rispetto di princìpi fondanti del Piano (intervenendo per correggere tempestivamente le inadempienze), ma una mera verifica a posteriori, a puri fini di conoscenza statistica. Se così fosse, sarebbe più dignitoso se la regione –risparmiandosi ogni ipocrisia– eliminasse dal PRC (e dalle pianificazioni concorrenti) quei princìpi ispiratori (sostenibilità, divieto di usi impropri, ecc.) che non si sente di fatto impegnata a far rispettare.

Nella convinzione che col PRC la regione intenda davvero attuare i princìpi dichiarati, abbandonando il comportamento deprecabile ed omissivo finora tenuto, riteniamo essenziale l’introduzione di meccanismi chiari che leghino espressamente l’esito dei controlli all’adozione di stringenti interventi correttivi. A tal fine avanziamo di seguito alcuni suggerimenti.

In primo luogo va segnalato che, in base alle dichiarazioni dell’ufficio marmo del comune di Carrara, i dati registrati alla pesa comunale sono inattendibili poiché la provenienza dei materiali lapidei è lasciata alla dichiarazione del trasportatore che, per superficialità o altro, è spesso infedele. Biasimiamo l’analoga superficialità del comune che ha tollerato per oltre un decennio tale sistema (che favorisce possibili frodi, dal momento che blocchi pregiati possono essere dichiarati come provenienti da una cava di marmo scadente, soggetto pertanto a minore tassazione). Di conseguenza, valutiamo indispensabile introdurre sistemi (anche informatici, es. localizzatore GPS con registrazione del percorso) che garantiscano la tracciabilità certa della provenienza di tutti i materiali trasportati e prevedano sanzioni drasticamente dissuasive, compresa la revoca dell’autoriz­zazione.

Uno strumento addizionale a cui ricorrere può essere la richiesta ad ogni cava di un rilievo lidar annuale al fine di verificare la coerenza tra i volumi estratti in cava (e quelli depositati, in cava e nei ravaneti) e i quantitativi di blocchi e detriti transitati dalla pesa comunale. Ciò permetterebbe anche di rilevare l’abbandono di detriti al monte.

Richiamiamo inoltre l’attenzione su strumenti ‘non convenzionali’ che possono dimostrarsi di elevata efficacia e di estrema economicità: la trasparenza amministrativa e la partecipazione. Merita ricordare, infatti, che le clamorose violazioni del PRAER sopra citate e l’inattendibilità dei dati registrati alla pesa comunale sono emerse solo grazie a reiterate richieste di dati da parte di associazioni e, più recentemente, di consiglieri comunali. Basti ricordare che, dopo numerose risposte dilatorie degli uffici comunali, anche successive al pronunciamento del difensore civico, nel 2007, Legambiente Carrara è stata costretta a ricorrere alla Procura della Repubblica. Ancora oggi, adducendo pretestuose motivazioni di privacy, i dati annuali dei quantitativi escavati ci vengono forniti dal comune in forma anonima (attribuendo cioè alle cave un numero di fantasia).

Se oggi il comune inizia a porsi il problema di come rendere attendibili i dati registrati alla pesa è dunque grazie alla insistente richiesta di trasparenza e partecipazione, che l’amministra­zione dovrebbe favorire e non ostacolare, dal momento che trasparenza e partecipazione aiutano l’emer­sione dei problemi e conducono al miglioramento della stessa azione amministrativa.

Chiediamo pertanto che:

  • il PRC preveda, sul sito della regione e del comune, la pubblicazione annuale dei quantitativi di materiali escavati (blocchi, scaglie bianche, scaglie scure, scogliere, terre e tout venant), cava per cava, comprensiva della loro denominazione;
  • il rapporto sia accompagnato, per ogni cava che non rispetti il rapporto blocchi/detriti o presenti altre anomalie, dalle relative motivazioni e dalle misure adottate dalla pubblica amministrazione per ricondurre la cava al rispetto delle regole;
  • siano previste sanzioni nei confronti sia delle cave inadempienti sia dei funzionari comunali e/o regionali che non si siano attivati per ripristinare il rispetto del PRC.

 

4.       Sostenibilità: evitare l’inutile sbriciolamento delle montagne

Il PRAER, allo scopo di valorizzare massimamente la risorsa lapidea nelle cave di materiali ornamentali, individuava, in funzione dello stato di fratturazione locale delle bancate, i quantitativi minimi da destinarsi esclusivamente alla trasformazione in blocchi, lastre ed affini (fissati ad almeno il 25%, con verifiche annuali).

La L.R. 35/2015 non fa alcun riferimento a tali quantitativi minimi, probabilmente reputando tale compito implicitamente demandato al PRC nell’ambito dei criteri finalizzati alla localizzazione (da parte dei comuni) delle aree a destinazione estrattiva e/o alle prescrizioni volte a garantire la gestione sostenibile della risorsa. Per evitare che la nuova regolamentazione sia ancor più labile, se possibile, di quella del PRAER, il PRC deve farsi carico di definire tali quantitativi minimi o, qualora intenda demandarli ai comuni, indicarne i criteri.

Un primo importante criterio, a nostro avviso, dovrebbe essere il grado di fratturazione del marmo. Ciò dovrebbe comportare la definizione di quantitativi minimi percentuali in blocchi non solo nelle prescrizioni volte a garantire la sostenibilità della risorsa e ad evitarne usi impropri ma, ancor prima, nella fase pianificatoria, al fine di escludere dalle aree a destinazione estrattiva i giacimenti con elevata fratturazione locale.

Si segnala, a titolo esemplificativo, che le cave Canalbianco, Amministrazione, Polvaccio, Battaglino, Tecchione (tra loro contigue, a formare un’ampia fascia nel bacino di Torano) hanno sistematicamente estratto nel decennio 2005-2014 una percentuale di detriti superiore al 90%. Tenuto anche conto della cointeressenza in esse di una multinazionale del carbonato di calcio, è difficile non pensare che ci troviamo di fronte ad un caso clamoroso di uso improprio della risorsa (produzione di carbonato, anziché di blocchi). In simili casi la misura più appropriata dovrebbe essere l’esclu­sione dell’intera fascia dalle aree a destinazione estrattiva.

Va inoltre ricordato che, se una percentuale di almeno il 25% in blocchi può essere adeguata per l’escavazione a cielo aperto, tale percentuale dovrebbe essere sensibilmente aumentata per le cave in galleria.

Qualora non fosse attualmente disponibile una conoscenza adeguata del grado di fratturazione dei giacimenti, nelle more di tale acquisizione, si potrebbe procedere con la verifica dei quantitativi estratti da ciascuna cava (blocchi/detriti) negli ultimi anni e con i necessari approfondimenti per i (purtroppo numerosi) casi di inattendibilità dei dati. In quest’ultimo caso il PRC dovrebbe prevedere una specifica procedura per la revisione periodica delle aree a destinazione estrattiva e delle relative prescrizioni, sulla base dei quantitativi di blocchi e detriti estratti annualmente da ciascuna cava, facendo assegnamento, dunque, non solo sui quantitativi trasportati a valle, ma anche sui quantitativi abbandonati al monte (da cui l’utilità di una scansione lidar annuale).

Un secondo criterio dovrebbe essere il valore del marmo estratto. Va infatti considerato che, in linea di massima, l’impatto ambientale delle cave di marmi pregiati non differisce da quello delle cave di marmo di basso valore. È pertanto ragionevole, nell’ottica di massimizzare i benefici e ridurre l’impatto, privilegiare l’escavazione dei marmi pregiati: di ciò occorrerebbe tener conto sia nel­l’individuazione delle aree a destinazione estrattiva sia nella definizione delle prescrizioni per garantire la sostenibilità (ad es. fissando percentuali in blocchi maggiori per i marmi di minor valore).

 

5.       Introdurre la tutela ambientale
tra le regole inderogabili dell’escavazione

Per la redazione del Rapporto Ambientale, allo scopo di individuare gli obiettivi strategici di sostenibilità ambientale di riferimento per la valutazione, il Documento preliminare (par. 3.4.3) prende in considerazione una nutrita serie di obiettivi ambientali tratti dalla normativa e dalla pianificazione europea, nazionale e regionale. A seguito dell’individuazione degli impatti significativi, si propone poi (par. 3.4.7) di inserire misure atte a ridurre, impedire o mitigare gli impatti stessi; queste comprendono, tra gli altri, gli indirizzi per l’esercizio dell’attività estrattiva (a cielo aperto e in galleria), i criteri di localizzazione delle aree a destinazione estrattiva e per le eventuali attività di trasformazione in cava del materiale estratto, nonché misure atte a potenziare eventuali effetti ambientali positivi.

Pur condividendo gli obiettivi ambientali appena citati, facciamo osservare che spesso si tratta di obiettivi molto generici (es. tutela delle acque, protezione dal dissesto idrogeologico, ecc.) che pertanto, per dare maggior concretezza al PRC, meriterebbero d’essere tradotti in obiettivi più specificamente mirati all’attività estrattiva.

Analogamente, nell’ambito della sostenibilità ambientale e territoriale (uno dei tre obiettivi generali del PRC, individuati quali pilastri fondanti delle politiche del settore), è prevista la promozione di modalità di coltivazione dei siti estrattivi tali da non compromettere in modo irreversibile gli equilibri ambientali (par. 2.2).

Per dare maggior concretezza ed efficacia al PRC riteniamo fondamentale che la regione acquisisca piena consapevolezza di un limite di fondo delle sue politiche ambientali relative alla tutela delle acque nei bacini marmiferi. Se, infatti, nonostante il suo impegno normativo e pianificatorio, le acque superficiali e sotterranee subiscono pesanti intorbidamenti da marmettola e terre, la causa non va ricercata (solo) nella violazione delle prescrizioni ambientali da parte delle cave ma, ancor prima, nell’inadeguatezza delle prescrizioni stesse. In poche parole, tale inadeguatezza fa sì che le autorizzazioni all’escavazione incorporino una vera e propria ‘licenza a inquinare’.

Questa considerazione sul vero tallone d’Achille della normativa regionale in materia di escavazione e di tutela delle acque è ampiamente argomentata e documentata nel nostro ‘Dossier marmettola: l’inquinamento autorizzato’ inviato il 1° giugno 2016 al ministero dell’ambiente e alla regione (e allegato alla presente) al quale si rimanda come parte integrante del presente contributo alla VAS. In questa sede ci si limita a ricordare che il dossier, oltre a esporre le modalità inquinanti delle singole fasi di lavorazione in cava, indica anche le misure prescrittive da adottare per affrontare efficacemente il problema. Riteniamo pertanto che il PRC non possa esimersi dal recepire tali misure, direttamente come prescrizioni o, quantomeno, come indirizzo per gli enti coinvolti nei procedimenti autorizzatori.

Relativamente alle misure atte a potenziare eventuali effetti ambientali positivi rinviamo a quanto proposto nel paragrafo 2 del presente documento a proposito del rischio alluvionale e della tutela delle acque.

 

6.       Monitoraggio: indicatori e valutazione

Come osservato nel Documento preliminare (par. 3.4.8), il monitoraggio ambientale presenta criticità, sia per la genericità delle azioni spesso previste dai Piani, sia per la limitata disponibilità di indicatori pertinenti presenti nel Rapporto sullo Stato dell’Ambiente della Regione Toscana e nell’An­nuario dei dati ambientali di ARPAT. Spesso, inoltre, i dati disponibili non presentano un livello di dettaglio territoriale sufficiente a verificare l’efficacia degli interventi attuati.

Considerate tali difficoltà, suggeriamo di prendere in considerazione anche un approccio pragmatico che, dopo aver definito le criticità ambientali già individuate (con indicatori di pressione e di stato), valuti i risultati basandosi su indicatori di efficacia della risposta (combinazione di un indicatore di pressione o di stato con uno di risposta).

Ad esempio, considerato che l’intorbidamento (stato) dei corsi d’acqua e delle sorgenti a seguito di piogge è originato dalla presenza di marmettola e terre nelle cave e nei ravaneti (pressione), il PRC dovrebbe prevedere misure atte a contrastare il problema (risposte) e il monitoraggio ambientale dovrebbe verificare l’efficacia di tali risposte.

Per questa specifica problematica (di grande rilevanza nei bacini marmiferi) potrebbe essere utilizzato il seguente set di indicatori:

  • Percentuale di cave sporche’ (pressione): rapporto (%) tra il numero di cave attive con marmettola o terre esposte al dilavamento meteorico e numero di cave totale;
  • Percentuale di ravaneti con materiali fini’ (pressione): rapporto (%) tra il numero (o, meglio, la superficie) dei ravaneti contenenti marmettola o terre e numero (o superficie) totale dei ravaneti;
  • Torbidità fluviale dopo piogge’ (stato): rapporto tra il numero di giorni annui con torbidità dei corsi d’acqua e il numero di giorni con precipitazioni superiori ad una data soglia (es. 30 mm);
  • Torbidità nelle sorgenti dopo piogge’ (stato): rapporto tra il numero di giorni annui con torbidità nelle sorgenti e il numero di giorni con precipitazioni superiori ad una data soglia (es. 30 mm);
  • Prescrizione cave pulite come uno specchio’ (risposta): verifica dell’avvenuta emanazione di tale prescrizione (descritta al paragrafo 2 del presente contributo alla VAS) in tutte le autorizzazioni all’escavazione;
  • Efficacia della prescrizione cave pulite come uno specchio’ (efficacia della risposta): potrebbe essere costituito da 4 semplici indicatori che misurino rispettivamente la riduzione delle pressioni e il miglioramento dello stato. Ad es.: riduzione % delle cave sporche, dei ravaneti con materiali fini, della torbidità fluviale (e delle sorgenti) dopo piogge.

Si noti che l’introduzione della categoria ‘indicatore di efficacia della risposta’ (di nostro conio) può essere superflua poiché lega semplicemente il miglioramento delle pressioni e/o dello stato all’adozione della risposta. Può essere tuttavia utile in quanto, nel caso di efficacia limitata (peraltro prevedibile finché prescrizioni adeguate non siano state attuate dalla maggioranza delle cave), rappresenta uno stimolo a verificarne le cause (inadeguatezza intrinseca della prescrizione, mancata notifica alle cave, insufficienza dei controlli e/o delle sanzioni, ecc.) e ad apportare le opportune correzioni.

A nostro parere, infatti, il pregio principale del concentrare l’attenzione sulla misura dell’efficacia delle risposte è il riconoscimento che, in gran parte, l’impatto dell’escavazione dipende da prescrizioni inadeguate dell’amministrazione pubblica e dall’insufficienza dei relativi controlli e sanzioni. Utilizzare indicatori dell’efficacia delle risposte significa pertanto per la P.A. accettare la sfida di verificare pubblicamente la propria volontà e capacità.

Relativamente alla torbidità delle sorgenti, la fonte informativa potrebbe essere il gestore del servizio idrico, visto che in diverse sorgenti sono già installati rilevatori di torbidità in continuo. Ciò potrebbe consentire anche un eventuale affinamento dell’indicatore, esprimendolo in una scala di rapporti (valori di torbidità misurati), anziché in una scala ordinale (es. acqua limpida, torbida, molto torbida).

Relativamente ai dati delle precipitazioni, basterebbe scegliere la stazione meteorologica più appropriata, mentre l’annotazione delle date con torbidità fluviale nei giorni piovosi e in quelli successivi potrebbe essere assegnata ad un dipendente comunale o a un volontario che risieda in prossimità del fiume stesso (sarebbe sufficiente una sola stazione, sull’asta principale). Nel caso di difficoltà operative si potrebbe rinunciare a questo indicatore, ripiegando sulla sola torbidità delle sorgenti.

Il numero di cave sporche e di ravaneti con materiali fini (compresa la loro superficie) è già disponibile (o facilmente acquisibile dagli uffici comunali). Per la stesura preliminare del Rapporto Ambientale il valore dei due indicatori è già noto poiché non esistono oggi cave scrupolosamente pulite né ravaneti privi di abbondanti quantità di materiali fini. All’aggiornamento di questi dati potrebbe provvedere l’ufficio marmo comunale, che ben conosce la situazione di ogni cava.

Riteniamo che gli indicatori qui proposti, essendo specificamente mirati ad una delle problematiche di maggior rilevanza ambientale dei bacini marmiferi, possano essere più utili di altri basati sui dati già acquisiti dalla regione o dall’ARPAT (in quanto meno appropriati e/o aventi un’insufficiente dettaglio territoriale).

Carrara, 10 ottobre 2016
Legambiente Carrara

 

Allegato:
Dossier marmettola: l’inquinamento autorizzato (1/6/2016)

 

Share