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Resoconto seconda escursione “sui sentieri della prossima alluvione”: bacino di Miseglia

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Le profonde trasformazioni nel bacino montano del Carrione, lasciate al libero arbitrio delle cave, stanno aggravando di giorno in giorno il rischio alluvionale.
Scopo di queste escursioni è vedere e capire: per lottare.

 
 
 
 
 
 
 
 

Sommario
Sosta 1. Via Miseglia-Fantiscritti, 500 m prima dei Ponti di Vara
–  Osservazione 1: valle riempita da ravaneto
–  Osservazione 2: invaso temporaneo nella cava Vara Bassa
–  Osservazione 3: ravaneto di terre Carpevola e sua vasca di sedimentazione
Sosta 2. Via Miseglia-Fantiscritti, a monte dei Ponti di Vara: alveo scomparso
Sosta 3. Cava Bocca di Canalgrande: discarica di terre, perdita di volume d’invaso
Sosta 4. Strada per il bacino di Canalgrande: costruita sul ravaneto
–  Osservazione 1: deflusso delle acque: impetuoso o al rallentatore?
–  Osservazione 2: c’erano una volta … (i ravaneti-spugna)


 

Sosta 1

Via Miseglia-Fantiscritti, 500 m prima dei Ponti di Vara

 

–  Osservazione 1: valle riempita da ravaneto
 

Sostando lungo la via Miseglia-Fantiscritti, presso la curva 500 m prima dei Ponti di Vara, si osserva il grande ravaneto Ponti di Vara che ha sbarrato e riempito la valle, un tempo costituito da scaglie e oggi interamente coperto da notevoli spessori di terre (Fig. 1).
 

Fig. 1. A: ravaneto Ponti di Vara visto da valle: 1 punto di osservazione; 2 scarpata del ravaneto rivestita da terre a gradoni; 3 canale di raccolta delle acque, in cemento; 4 piazzali sommitali; 5 ubicazione del gruppo di sorgenti delle Canalie. B: la foto dei primi del ’900 mostra la granulometria grossolana dei ravaneti. C: anche la scarpata nel 2015 mostra con evidenza che il corpo del ravaneto è costituito da scaglie grossolane, mentre la sommità è stata coperta da terre. Oggi il rivestimento è stato esteso anche alla scarpata (A).

 
La sommità è stata appiattita per ricavarne un ampio piazzale che per molti anni ha ospitato un impianto di vagliatura dei detriti: le scaglie venivano portate a valle, mentre le terre, seguendo la prassi vietata, ma tuttora consolidata in tutto il bacino, sono state sistemate in loco (Fig. 2).
 

Fig. 2. A: la sommità del ravaneto nel 2011: con l’apporto di grandi quantità di terre è stato realizzato un ampio piazzale, con rampe, riporti (freccia gialla) e cumuli (freccia bianca). B: i detriti misti provenienti dalle cave vengono sottoposti a vagliatura (freccia gialla) per separare le frazioni granulometriche: le scaglie, caricate su camion (freccia bianca) vengono allontanate, mentre le terre sono accumulate a formare rialzi del piazzale (freccia turchese). C: dettaglio di un cumulo di terre: i profondi solchi d’erosione (freccia) testimoniano il dilavamento delle terre da parte delle piogge e il loro trascinamento a valle (verso le sottostanti sorgenti).

 
Resta da spiegare come sia stato possibile autorizzare un’attività così inquinante sovrastante (soli 100 m di dislivello: vedi Fig. 1) le sorgenti delle Canalie che alimentano l’acquedotto cittadino, già ripetutamente soggette a intorbidamenti da terre e marmettola di cava.

Indipendentemente dal fatto che l’atto amministrativo in sé possa essere pienamente legittimo, l’amministrazione avrebbe piuttosto dovuto –assumendosene le relative responsabilità politico-amministrative– esercitare tutti i poteri di discrezionalità necessari a tutelare da ogni possibile rischio un bene prezioso della comunità

Quanto tale autorizzazione fosse irresponsabile è confermato dal fatto che nel 2014 il comune ha intrapreso, con fondi pubblici (circa 4 milioni), la bonifica di questo e di altri due ravaneti (Sponda e Boccanaglia), espressamente al fine di tutelare le sorgenti dagli inquinanti dilavati dalle acque meteoriche.

Gli interventi di bonifica, illustrati schematicamente nella Fig. 3, oltre alla risistemazione del ravaneto, consistono essenzialmente nella canalizzazione delle acque (sia di quelle provenienti dalla strada Ponti di Vara-Fantiscritti, sia di quelle sotterranee che scorrono al contatto tra ravaneto e il suo substrato), recapitandole entrambe al T. Carrione che fiancheggia via Colonnata.

Avendo già illustrato nella scorsa escursione nel bacino di Torano gli effetti negativi della notevole accelerazione dei deflussi indotta dalle canalizzazioni, siamo in grado di comprendere al volo come anche questo intervento, pur dettato dalle migliori intenzioni e dotato di una discreta efficacia, aggravi il rischio idraulico.
 

Fig. 3. Vista del bacino di Miseglia, dal piazzale di Fantiscritti al Carrione di Colonnata in loc. Canalie. In basso il gruppo di sorgenti delle Canalie (cerchietti azzurri) che il progetto intende proteggere dall’inquinamento da marmettola e terre dilavate dalle cave e dai ravaneti. I principali interventi previsti sono indicati nei riquadri da 1 a 5. Le sorgenti coinvolte sono: S1: Ratto, S2: Ratto sup., S3: Ravenna, S4: Pero, S5: Ospedale I, S6: Ospedale II, S7: Martana, S8: Martana inf.

 
Scopo della bonifica è intercettare le acque torbide e allontanarle verso il Carrione in un canale in cemento, affinché non si infiltrino nel corpo del ravaneto (fortemente permeabile) e, da questo, alle sorgenti.

A tal fine è stato realizzato un primo canale in cemento per raccogliere le acque meteoriche che scorrono sulla strada asfaltata che scende da Fantiscritti (Fig. 4A); il canale scende poi con notevole pendenza (Fig. 4B), raggiunge la sommità piatta del ravaneto proseguendo verso la scarpata (Fig. 4C) e, da qui, precipita verso il Carrione (v. intervento 4 in Fig. 3), che raggiunge attraversando il tratto terminale intubato (Fig. 4D).
 

Fig. 4. Convogliamento verso il Carrione delle acque che scendono sulla strada, da Fantiscritti. A: costruzione del canale in cemento a lato della strada (2015). B: il canale (freccia) scende con elevata pendenza verso la sommità del ravaneto, prosegue lungo il piazzale (C: freccia gialla) e, poi nel ripido canale lungo la scarpata del ravaneto (intervento n. 4 in Fig. 3). La freccia bianca indica il nuovo tratto di canale che raccoglie le acque cariche di marmettola provenienti dal piede del ravaneto Canalgrande; la freccia turchese indica la ricollocazione di terre, sistemate a gradoni. D: gli ultimi 100 m prima di immettersi nel Carrione erano già intubati (freccia gialla); al di sotto della stradina asfaltata (freccia bianca) è stata realizzata una tombatura parallela. Sarebbe stato più opportuno eliminare questo breve tratto di strada (ricostruendola nelle adiacenze) per riportare a cielo aperto il canale.

 
È palese la forte accelerazione delle acque conseguente allo scorrimento in un canale cementificato e con pendenze così elevate.

Anche le acque riemerse al piede dell’immenso ravaneto di Canalgrande, stracariche di marmettola (Fig. 5B), sono intercettate da un canale in quota sopra la cava Vara Bassa, intagliato nel marmo (Fig. 5A e 5C). Raggiunta la sommità del ravaneto-piazzale, fino al 2016 si infiltravano nel suo corpo (Fig. 5D) minacciando le sorgenti. Oggi, invece, sono convogliate nel nuovo canale in cemento alla sommità del ravaneto (Fig. 4C: freccia bianca) e raggiungono il Carrione salvaguardando le sorgenti, almeno per le piogge non particolarmente intense (con tempo di ritorno fino a 5 anni). 
 

Fig. 5. Raccolta e convogliamento delle acque infiltratesi nel gigantesco ravaneto Canalgrande. A: le acque emergono al contatto tra ravaneto e marmo e scorrono nel canale in quota, tagliato nel marmo per evitare l’allagamento della cava Vara Bassa. B: avendo percorso il corpo del ravaneto, le acque in uscita sono stracariche di marmettola. C: le acque torbide scorrono nel canale in quota (vista da monte). D: fino al 2016, oltrepassato il ponte di Vara, il canale terminava dopo un breve tratto e le sue acque sparivano alla vista (freccia gialla); si infiltravano, infatti, nel corpo del ravaneto-piazzale e proseguivano il percorso per via sotterranea raggiungendo il Carrione e le sorgenti.

 
Riassumendo, la bonifica del ravaneto testimonia come la scelta politica di lasciare alle cave la libertà di inquinare le acque (non prescrivendo loro la scrupolosa e costante pulizia di tutte le superfici da terre e marmettola) abbia poi costretto il comune a soluzioni di ripiego per proteggere le sorgenti a costo, però, di un incremento del rischio alluvionale (e di un rilevante costo economico a carico della comunità).

Conferma altresì la necessità di bonificare tutti i ravaneti, ma in maniera radicale, rimuovendoli cioè interamente e ricostruendoli con sole scaglie pulite (allontanando terre e marmettola): si otterrebbero così i ravaneti-spugna che, anziché costringerci a scegliere tra tutela delle sorgenti e tutela dal rischio alluvionale, conseguirebbero contestualmente entrambi gli obiettivi.

 

–  Osservazione 2: invaso temporaneo nella cava Vara Bassa
 

Salendo sul Ponte di Vara si può osservare la parte a cielo aperto della sottostante cava Vara Bassa (si rivedano le Fig. 5A e 5C), che si estende anche in galleria. In questa cavità è stata prevista la realizzazione dell’invaso temporaneo Col-21, sia per il volume ospitabile (180.000 m3) sia per la sua efficienza idrodinamica pari a 0,44, di gran lunga la più elevata tra tutti gli invasi presi in considerazione. Ciò significa che, in corrispondenza del massimo picco di piena in ingresso, il 44% di questa portata sarà trattenuto nell’invaso e ne uscirà solo il 56%.

I dettagli tecnici dell’intervento non sono ancora disponibili: lo sbarramento dovrebbe essere immediatamente a valle del ponte, ma non è chiaro se lo scarico di fondo correrà intubato nel corpo del ravaneto. Prima della realizzazione saranno necessarie verifiche tecniche sulla tenuta idraulica della roccia di fondazione e di immorsamento (visto che insiste su un fronte di cava aperto, con rilasci tensionali) e sulla stabilità delle pile del ponte (che saranno sommerse nell’invaso, sia pur temporaneamente).

Considerata la sua elevata efficienza, l’invaso darebbe un buon contributo alla riduzione del rischio alluvionale.

 

–  Osservazione 3: ravaneto di terre Carpevola e sua vasca di sedimentazione
 

Il ravaneto-piazzale Ponti di Vara raccoglie anche le acque e le terre dilavate dal ravaneto Carpevola B nel quale scaricano le cave di Calocara (Fig. 6A). Il ravaneto, è costituito da terre (come ormai quasi tutti gli altri, visto che le scaglie sono allontanate e commercializzate) ed è stabilizzato al piede da un bastione in blocchi (Fig. 6B).

Cogliamo l’occasione per mostrare la vasca di sedimentazione inserita nel bastione, trattandosi della più decorosa tra tutte quelle delle cave di Carrara. Restiamo però delusi poiché la vasca, priva di adeguata manutenzione, è del tutto non funzionante poiché colma di terre (Fig. 6C e 6D): le acque torbide, pertanto, la attraverseranno indisturbate, come se la vasca non esistesse.
 

Fig. 6. A e B: il ravaneto Carpevola, costituito da terre, è stabilizzato al piede da un bastione in blocchi. C e D: nel bastione è stata incorporata nel 2017 la miglior vasca di sedimentazione tra tutte quelle delle cave carraresi. La vasca, vuota nel 2017 e oggi colma di sedimenti (freccia) e pertanto del tutto inutile, testimonia l’incuria delle cave e dei controlli.

 
Se per quanto riguarda la vasca non resta che prendere atto dell’incuria delle cave e dell’insuf­ficienza dei controlli, la presenza del ravaneto di terre induce preoccupazioni ben maggiori. Infatti, considerato che una montagna di terre non può certo sfuggire alla vista, la sua presenza conferma l’infinita tolleranza dell’amministrazione verso l’abbandono al monte delle terre e, dunque, il suo ruolo di fabbrica del rischio alluvionale (le terre dilavate, infatti, sedimenteranno nel Carrione innalzandone l’alveo).

 

Sosta 2

Via Miseglia-Fantiscritti, a monte dei Ponti di Vara: alveo scomparso

  

Dai Ponti di Vara, proseguendo per circa 300 m verso Fantiscritti, facciamo una breve sosta presso il laboratorio della cava scuola. Qui osserviamo che, pur trovandoci in un fondovalle, non c’è traccia dell’alveo che doveva occuparlo (Fig. 7).
 

Fig. 7. La strada Ponti di Vara-Fantiscritti occupa il fondovalle: non vi è traccia dell’alveo del torrente che doveva scorrervi. Le linee punteggiate indicano la pendenza dei versanti; su questi sono ancora visibili i detriti di ravaneto (frecce) che hanno sepolto il fondovalle.

 
Richiamando alla memoria l’immagine del piede del ravaneto Canalgrande, sovrastante la cava Vara Bassa (Fig. 5A) e alto circa 15 m, comprendiamo che l’intero fondovalle è stato a suo tempo sepolto dai detriti di ravaneto (ancora visibili sui versanti: frecce in Fig. 7) e che la strada asfaltata è stata costruita su di essi.

Gran parte delle acque cadute nell’alto bacino si infiltra dunque nel corpo del ravaneto che lo ricopre e scende verso valle al contatto tra ravaneto e substrato, proseguendo al di sotto della strada e riemergendo nel punto indicato nella Fig. 5A).

La parte di acque che cade sulle strade montane viene raccolta nelle canaline stradali (si veda la Fig. 9D) e, dove queste mancano (come in questo tratto), scorrono direttamente sull’asfalto stradale: saranno poi raccolte dal canale illustrato nella Fig. 4A e avviate con elevata pendenza verso il Carrione di Colonnata.


 

Sosta 3

Cava Bocca di Canalgrande: discarica di terre, perdita di volume d’invaso

  

Saliamo verso il piazzale di Fantiscritti e, appena superata la ex stazione della ferrovia marmifera (l’attuale trattoria), proseguiamo a sinistra sulla strada per Canalgrande. Sostiamo presso la cava Bocca di Canalgrande (la prima sulla destra) e troviamo una brutta sorpresa: anche questa cava è in via di riempimento per incrementare il numero, già da record assoluto, delle discariche di terre montane (Fig. 8).
 

Fig. 8. Riempimento a discarica di terre della cava Bocca di Canalgrande. A e B: nel 2015: sul fondo della cava è stato installato un vaglio (freccia) che provvede a separare le scaglie (commercializzate) dalle terre, che vengono sistemate in cumuli. La foto B riprende l’area ovale della foto A. La linea tratteggiata in A, corrispondente a quella in C (situazione attuale), mostra il livello raggiunto dalla discarica nel 2020.

 

Ne traiamo alcune amare riflessioni di carattere generale:

  • la drammatica diminuzione delle terre portate a valle dalle cave (dalle 700.00 t del 2005 alle 30.000 del 2017: si veda la Fig. 18 in Resoconto escursione ‘sui sentieri della prossima alluvione’. 1: bacino di Torano), dovuta all’abbandono al monte di quasi 700.000 t di terre l’anno, non può essere ignorata: è infatti ben nota ed è stata oggetto di numerosi interventi e dichiarazioni, anche politiche e istituzionali;
  • se le autorizzazioni all’escavazione prescrivono l’allontanamento delle terre, gli innumerevoli e imponenti accumuli che ricoprono interi versanti o colmano cavità di cave sono l’evidente testimonianza dell’assenza o dell’inefficacia dei controlli e/o delle sanzioni. È dunque necessario che enti e organi di controllo esercitino un controllo non tanto e non solo sul mero rispetto di norme e prescrizioni, ma ne verifichino l’efficacia e l’effettività ai fini della minimizzazione degli impatti ambientali e della massima riduzione dei rischi per la collettività;
  • In questo sforzo, questo scarto di qualità, l’amministrazione comunale deve assumere decisioni ed atti coerenti per stroncare definitivamente ogni violazione, diversamente da quanto fatto negli ultimi 15 anni nei quali un indirizzo politico irresponsabile è stato tale da comportare, allora e tuttora:
    • dilavamento di terre e inquinamento delle acque superficiali e sotterranee;
    • sedimentazione delle terre negli alvei con riduzione della capacità idraulica e aumento del rischio alluvionale;
    • instabilità dei ravaneti e accentuazione della propensione a colate detritiche (con aumento del rischio alluvionale);
    • sottrazione di bacini di ritenzione delle acque meteoriche (attraverso il riempimento di cavità di cava) e, anche in questo modo, accentuazione del rischio alluvionale;
    • inaccettabile degrado paesaggistico (trasformazione del paesaggio di cave a un paesaggio di discariche);
    • degrado sociale: al di là del mero rispetto delle normative, infatti, l’amministrazione dovrebbe sviluppare sempre più la capacità di orientare la propria azione –e così anche il “comune sentire” cittadino– verso condotte marcatamente orientate all’interesse collettivo, della comunità, non lasciando spazio ad alcun interesse singolo o particolare. Purtroppo anche nei PABE e nel nuovo Regolamento degli agri marmiferi si è persa l’occasione di tradurre questi principi in dispositivi cogenti.

Ce n’è abbastanza per suscitare una rivolta dei cittadini volta a ricondurre l’amministrazione al rispetto dei suoi doveri istituzionali.


 

Sosta 4

Strada per il bacino di Canalgrande: costruita sul ravaneto

  

–  Osservazione 1: deflusso delle acque: impetuoso o al rallentatore?
 

La strada per il bacino di Canalgrande è un’ampia camionabile, sterrata nel tratto alto, ma asfaltata nel tratto inferiore (Fig. 9A). L’intera strada è stata costruita sui detriti del ravaneto Canalgrande, di spessore notevole nel tratto inferiore, tanto da richiederne la stabilizzazione al piede mediante bastioni in blocchi (Fig. 9B).

Le foto delle Fig. 9C e 9D (riprese nel 2015) mostrano quanto sia grande la differenza della velocità di deflusso tra le acque che scorrono all’interno del ravaneto e quelle che scorrono sul substrato asfaltato (liscio e impermeabile).
 

Fig. 9. A: la strada per Canalgrande (vista dall’alto) potrebbe sembrare una normale strada con tornanti che si inerpica sul substrato roccioso dei versanti ma, in realtà, è costruita su notevoli spessori di detriti del ravaneto che li ricopre (indicati dalle frecce rosse), stabilizzati secondo la necessità da bastioni in blocchi (frecce gialle). B: vista ravvicinata della strada con la scarpata stabilizzata da un bastione in blocchi, al cui piede è stata realizzata la canalina in cemento di allontanamento delle acque, per evitare che defluiscano direttamente sull’asfalto. C: le acque che si infiltrano nel corpo del ravaneto vengono fortemente rallentate e defluiscono lentamente (freccia). D: le acque raccolte dalla canalina, invece, dato lo scarso attrito e l’elevata pendenza, defluiscono con grande velocità (nonostante la presenza di alcune vasche di sedimentazione). Il confronto tra le foto C e D (scattate a distanza di pochi minuti e a poche decine di m di distanza) può essere preso come esemplificazione visiva del principio dei ravaneti-spugna che, rallentando grandemente il deflusso delle acque, riducono altrettanto grandemente il rischio alluvionale.

 
Il confronto tra le foto 9C e 9D si presta magnificamente per memorizzare visivamente l’efficacia dei ravaneti-spugna che proponiamo da molti anni: nella canalina in cemento o sull’asfalto, infatti, le acque scorrono con grande velocità, mentre quelle infiltratesi nel corpo del ravaneto, costrette a un percorso tortuoso tra gli interstizi dei detriti e rallentate dall’attrito, scorrono molto lentamente.

Possiamo così vedere con i nostri occhi la grande efficacia dei ravaneti-spugna nel distribuire su un tempo molto più lungo il volume di acque meteoriche precipitato e, pertanto, nel ridurre i picchi di piena. C’è ancora qualcuno che ritiene i ravaneti-spugna solo una fantasia inconsistente?

A giudicare dai fatti, sì: l’amministrazione comunale, infatti, non solo non ha preso in seria considerazione la nostra proposta ma, assistendo passivamente all’imponente trasformazione dei ravaneti di scaglie in ravaneti di terre, sta predisponendo le condizioni ottimali per la prossima alluvione.

È forse esagerato definirla “fabbrica del rischio alluvionale”?


 

–  Osservazione 2: c’erano una volta … (i ravaneti-spugna)
 

Questa osservazione, in realtà, non è stata effettuata sul campo, ma si ricava confrontando cartoline di oltre un secolo fa con l’odierna foto satellitare di Google Earth relative all’area di Canalgrande (tra i Monti Maggiore e Serrone: Fig. 10A e 10B). A scopo rafforzativo è stato inserito anche il confronto dell’area Ravaccione-Canalbianco, sebbene sia situata nell’alto bacino di Torano (Fig. 10 C e 10D).
 

Fig. 10. Confronto tra ravaneti antichi (in foto d’epoca, attorno al 1900) e odierni (Google Earth). A e B: ravaneti Canalgrande e limitrofi. Si noti che i ravaneti antichi, costituiti da sole scaglie, erano abbondantissimi, rigonfi, convessi, mentre in quelli moderni la superficie è piatta o leggermente concava. C e D: analogo confronto per il ravaneto Canalbianco (situato nell’alto bacino di Torano): anche in questo caso si percepisce a vista che i ravaneti si sono ‘sgonfiati’ (per il prelievo delle scaglie). Nota: le foto antiche sono state riprese dal basso e quelle attuali dall’alto; per questo motivo (oltreché per le trasformazioni verificatesi) sussistono alcune incertezze nell’attribuzione dei toponimi. Per fornire elementi di riferimento, su due creste sono state tracciate linee punteggiate. Si noti ancora che, sebbene nei ravaneti antichi la granulometria grossolana sia percepibile a vista, anche se così non fosse, la stessa convessità del pendio depone per la composizione di scaglie grossolane. I ravaneti costituiti da terre, infatti, avendo granulometria fine, non riuscirebbero a mantenere una superficie convessa (per ragioni di gravità e di erodibilità).

 
Saltano all’occhio due osservazioni e una considerazione:

  • un secolo fa i versanti erano quasi completamente coperti da ravaneti grossolani (scaglie), talmente rigonfi da conferire ai versanti una superficie convessa; oggi, al contrario, i ravaneti hanno una superficie piatta o leggermente concava;
  • nell’arco di un secolo i ravaneti si sono ‘sgonfiati’ (ridotti di spessore), impoveriti di scaglie e arricchiti di terre;
  • in conclusione, i ravaneti si sono trasformati da fattore protettivo dalle alluvioni (grazie al contenuto di scaglie) in fattore di rischio (grazie alle terre): abbiamo cioè creato una ‘bomba alluvionale’ a orologeria.

Possiamo concludere che un secolo fa, senza saperlo, avevamo già i ravaneti-spugna, sebbene costituiti di detriti scaricati alla rinfusa, disordinati e non stabilizzati (Fig. 11A). Solo dove necessario per proteggere strade o edifici, i ravaneti erano stabilizzati con mirabili bastioni costruiti con la tecnica dei muri a secco (Fig. 11C e 11D).
 

Fig. 11. A: un ravaneto antico, stabilizzato al piede con gabbioni (frecce), in maniera approssimativa; sopra il tratto non stabilizzato sono visibili solchi d’erosione. B: simulazione grafica di come potrebbe essere realizzato oggi lo stesso ravaneto, stabilizzandolo con bastioni in blocchi che supportino anche la via d’arroccamento. C e D: mirabili esempi del secolo scorso di muri a secco che sostengono imponenti spessori di scaglie, realizzati a protezione di infrastrutture (strade, vie di lizza ecc.).

 
Per inciso, teniamo a sgombrare il campo da ogni retorica sui bei tempi andati: un secolo fa, infatti, l’escavazione (praticata con l’esplosivo) era ancor più distruttiva di oggi e i ravaneti-spugna erano un risultato inconsapevole dell’abbandono incontrollato al monte di enormi quantità di scaglie (salvo situazioni locali, per proteggere infrastrutture).

La nostra proposta dei ravaneti-spugna non è dunque la semplice riproposizione di ciò che avevamo un secolo fa, ma la messa a frutto delle nuove conoscenze. I nuovi ravaneti spugna devono pertanto prevedere alcuni accorgimenti:

  • devono essere stabilizzati per sostenere anche precipitazioni eccezionali;
  • devono essere realizzati su un progetto pubblico organico mirante a rivestire i versanti in maniera ordinata e devono soddisfare anche criteri estetico-paesaggistici (un esempio è mostrato nella simulazione grafica della Fig. 11B);
  • la loro composizione granulometrica deve essere ottimizzata per massimizzare l’assorbimento delle acque meteoriche e il rallentamento del loro deflusso.

La realizzazione dei ravaneti-spugna può essere ottenuta introducendo nelle autorizzazioni all’escavazione l’obbligo di sostenerne i costi e di riservare a tale scopo una data frazione delle scaglie prodotte: anno dopo anno si otterrebbe così una riduzione del rischio alluvionale.

Convinti dell’efficacia della nostra proposta, dopo averla spiegata in dettaglio al sindaco nel nostro primo incontro, gli abbiamo chiesto una sola cosa: attivarsi affinché sia affidato un incarico di ricerca per stimare l’efficacia idrologica dei ravaneti ripuliti e la composizione granulometrica ottimale a tale scopo (si veda: Incontro Legambiente-Sindaco su cave e rischio alluvionale, 20/7/17).

Oggi, dopo che (su nostra segnalazione) l’università di Firenze ha confermato l’efficacia idrologica dei ravaneti, ribadiamo con forza la nostra richiesta. Il suo accoglimento darebbe alla comunità un segnale di estrema importanza: che il comune si è reso finalmente conto di operare come una ‘fabbrica del rischio alluvionale’ e che ha deciso di invertirne la direzione di marcia.

Carrara, 16 agosto 2020
Legambiente Carrara
 



Per saperne di più:

Resoconto prima escursione “sui sentieri della prossima alluvione”: bacino di Torano  (9/8/2020)

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