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La pagella Legambiente ai candidati sindaco: 5. ECONOMIA CIRCOLARE

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Con la quinta pagella, quella sul tema dell’economia circolare, la Arrighi tocca il giudizio ottimo, ma restano solo due (lei e Briganti) sopra la sufficienza. Pressoché uguale il giudizio insufficiente per Vincenti, Vannucci e Caffaz. Seguono Ferri e, fanalino di coda, Locani.

 

Le domande sull’economia circolare

 

Legambiente, da tempo ormai, sostiene la necessità di realizzare un vero sistema di economia circolare, che non punti più solo (o tanto) a trovare una soluzione al “problema dei rifiuti”, ma garantisca il massimo recupero di materia e di energia dagli scarti derivanti dai nostri consumi. La nostra posizione è ben sintetizzata nello slogan “Rifiuti Zero, Impianti Mille” perché una buona raccolta differenziata è una premessa importante, ma non risolutiva, per un ciclo virtuoso dei materiali. L’impiantistica è però spesso vista con sospetto e diffidenza dalle comunità, ma anche da chi le amministra: alla ben nota sindrome NIMBY (“not in my back yard”, non nel mio giardino), infatti,si è aggiunta quella NIMTO (“not in my term of office”, non durante il mio mandato).

  • Con quali programmi e impegni concreti pensate di declinare a livello locale la transizione ecologica verso il modello dell’economia circolare? 
  • In particolare: dalle cronache locali è emerso che anche nella zona apuana si vorrebbe realizzare, anche se non è stato ben chiarito chi ne sia il promotore, un impianto di “riciclo chimico” (detto anche “waste to chemical”) per trattare il rifiuto secco residuo e gli scarti derivanti dalle stesse raccolte differenziate (materiali prevalentemente plastici) per produrre etanolo o metanolo o idrogeno. Che posizione assumereste nel caso questa ipotesi diventasse concreta?

 

La pagella

 

La pagella finale sull’economia circolare

 

La pagella di dettaglio sull’economia circolare e sull’ipotesi di impianto di riciclo chimico.

 
Nella domanda di carattere generale solo Arrighi e Briganti inquadrano il tema dell’economia circolare nella sua complessità e condividono la declinazione “guida” di Legambiente, “Rifiuti zero, impianti mille”. La prima, però, articola maggiormente anche le azioni che l’amministrazione comunale potrà intraprendere e insiste sulla necessità che, cambiando il paradigma da “rifiuto” a “risorsa”, non si punti solo su incrementi quantitativi delle raccolte differenziate (RD) ma anche sulla loro qualità. Stesso accento sul tema della “qualità” viene posto anche da Simone Caffaz. Vincenti resta invece ancorata al tema delle percentuali di RD e alla tariffazione puntuale: accenna al progetto di adeguamento impiantistico del Cermec (con l’introduzione della biodigestione anaerobica), pianificato dall’ATO ma, inopinatamente, afferma che attualmente la società tratta unicamente rifiuto indifferenziato (mentre già oggi provvede al trattamento dell’organico, della plastica, della carta e del cartone, del “verde” e del legno). Vannucci condivide la necessità di superare le “sindromi” Nimby e che il ciclo dei rifiuti debba vedere una chiusura con la realizzazione di impianti adeguati, ma non declina nessuna proposta specifica di azioni amministrative proprie del Comune. Nessuna azione concreta nemmeno da Ferri e da Locani.

Quanto alla domanda particolare, solo Arrighi sembra avere conoscenze sugli impianti “waste to chemical” e sintetizza una posizione coerente con l’impostazione dell’associazione (trasparenza, partecipazione, dati sugli impatti ambientali validati, idonea localizzazione). Ugualmente “problematica ma senza preclusioni” la posizione di Briganti, che però non dettaglia gli aspetti da approfondire in fase di valutazione di questi tipi di impianto. Un “no comment” piuttosto secco da Vincenti che ritiene di non doversi esprimere su un progetto di cui non si sa nulla, mentre Ferri – citando forse non del tutto appropriatamente direttive europee – si oppone agli impianti di riciclo chimico e si dichiara totalmente a favore dei termovalorizzatori. Vannucci esprime riserve sia di natura lessicale (poiché, nel nostro territorio, il termine “riciclo chimico” riaprirebbe ferite del passato) sia sull’ipotesi stessa dell’impianto, considerato che il nostro territorio “ha già dato” il suo contributo all’area vasta. Caffaz si dichiara contrario alla strategia dell’area vasta che rischierebbe di portarci “il gobbo nero” (cioè un impianto che tratterebbe anche i rifiuti di altre aree). Non classificabile la risposta di Locani, anche perché avanza l’ipotesi di localizzare il nuovo impianto al posto del Marble Hotel (sic).

 

I criteri di valutazione utilizzati da Legambiente

 

Non è un caso se Legambiente ha declinato l’obiettivo “rifiuti Zero” in maniera non astratta ma coniugandolo con il corollario “impianti mille”. Il passaggio, culturale e politico, dalla “gestione dei rifiuti” alla nuova sfida della transizione ecologica anche in questo segmento richiede infatti un radicale cambio di approccio che è ben sintetizzato dal grafico “ufficiale” dell’economia circolare.

La fase del riciclaggio è rappresentata dall’arco di cerchio più lungo; data la sua complessità, infatti, richiede “impianti mille”.

Il nuovo paradigma, quindi, precisa e supera il precedente schema delle 4R (la cosiddetta gerarchia europea dei rifiuti che fa riferimento alle 5 fasi incluse nell’articolo 4 della Direttiva Quadro Rifiuti (2008/98/EC) che così declinava: Ridurre la produzione di rifiuti, Riutilizzo (dando ai prodotti una seconda vita), Riciclo (rielaborare gli scarti in altri materiali), Recupero (in sostituzione di materie prime), Smaltimento (discarica, incenerimento, pirolisi, gassificazione ecc.).

Il nuovo schema dell’economia circolare, infatti, parte dalla progettazione dei prodotti (con il cosiddetto LCA, Life Cycle Assessment, valutazione del ciclo di vita), incide sulla loro produzione e sulla successiva distribuzione e consumo, rigetta la logica del monouso e tende a valorizzare riutilizzo e riparazione, arrivando poi alla fase della raccolta (differenziata ovviamente). Ma com’è facile intuire, nell’economia circolare l’arco di cerchio prevalente è proprio quella del riciclaggio, ossia dell’impiantistica.

La conseguenza è quella di cambiare radicalmente prospettiva, considerando quindi il “rifiuto” come una materia prima, un input a nuovi processi produttivi. Che, proprio per questo, ha necessità non solo di quantità (quelle misurate in termini di percentuale della raccolta differenziata) ma anche – anzi, soprattutto – di qualità. Politiche che fondino la transizione verso l’economia circolare unicamente sull’incremento quantitativo della raccolta differenziata sono quindi politiche miopi ed aleatorie.

Per questo “impianti mille”: perché, per chiudere il cerchio, è indispensabile disporre, secondo i criteri di prossimità e di sostenibilità, di più impianti specializzati, tecnicamente avanzati e ambientalmente sostenibili.

Da ultimo va considerato che la stessa Unione Europea sta gradualmente sovvertendo l’ordine dell’ultima fase (lo smaltimento finale) privilegiando in ogni caso i trattamenti che consentano un recupero di energia rispetto al deposito in discarica. Contrariamente a quanto si può ritenere, infatti, la discarica è meno sostenibile di altre soluzioni, come il riciclo chimico e la stessa termovalorizzazione, non solo per la permanente occupazione di territorio che una discarica genera (spesso in aree anche di elevato pregio paesaggistico), ma anche per le stesse emissioni di gas serra.

Nota sulla domanda specifica

L’ipotesi di un impianto di cosiddetto riciclo chimico (sostanzialmente un insieme di soluzioni tecnologiche molecolari o pirolitiche, spesso anche molto diverse fra loro quindi) nasce dalla necessità di individuare soluzioni alternative tanto alla discarica quanto alla termovalorizzazione, alla ricerca di un equilibrio che consenta il massimo recupero (in questo caso di energia) e la massima riduzione dello scarto finale non riciclabile/recuperabile.

Ciò che accomuna il “riciclo chimico”, è il presupposto (la maggior parte dello scarto, in ogni caso, ha natura “plastica” sia che nasca come secco residuo sia che origini dai processi di riciclaggio) e la considerazione che tecnologie che consentono di recuperare una fonte energetica (etanolo, metanolo, idrogeno) dalla “frantumazione” – cracking – dei polimeri plastici è preferibile rispetto alla discarica (landfilling) sia all’incenerimento (air filling).

Valga anche per questa domanda la considerazione fatta nella nota alla precedente: se è pur vero che al momento le informazioni sull’eventuale impianto “waste to chemical” in zona sono scarse (in particolare sulla eventuale localizzazione ma anche sulla esatta configurazione tecnologica, sui materiali di input e sugli output) è anche vero che la notizia è stata più volte riportata dagli organi di informazione e un candidato a sindaco con una minima sensibilità ambientale avrebbe ben potuto quanto meno approfondire il tema in sé del riciclo chimico e definire i criteri di massima di accettabilità (o dichiarare alternativamente appoggio o avversione all’ipotesi in sé). E in ogni caso chiedere trasparenza e adeguata informazione e partecipazione dei cittadini ai processi decisionali.

 
Ancora una volta la maggior parte dei candidati non raggiunge nemmeno la sufficienza, con l’eccezione di Arrighi, che la supera, e di Briganti: il che conferma la distanza della maggior parte dei contendenti dalle posizioni di ambientalismo scientifico che caratterizzano Legambiente.

Carrara, 6 giugno 2022
Legambiente Carrara
 

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