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Costituzione e giurisprudenza sulle cave: la tutela del paesaggio impone limiti alla libertà d’impresa

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Articolo 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

 

Articolo 41

L’iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali.

 

Costituzione della Repubblica

 

Con la Legge Costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1 (Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.44 del 22 febbraio 2022 ed entrata in vigore il successivo 9 marzo, il Legislatore ha introdotto due rilevanti modifiche agli art. 9 e 41 della Costituzione Italiana, dando così rango costituzionale alla tutela dell’ambiente sia nelle azioni positive che lo Stato Italiano è tenuto a porre in essere (art. 9) sia quale limite all’esercizio della libera iniziativa economica privata (art. 41).

Il processo di riforma costituzionale, in effetti, è giunto a conclusione non solo per la crescita di una più diffusa sensibilità sui temi dell’ecologia, ma anche quale atto formale con il quale il Parlamento ha preso doverosamente atto di una consolidata giurisprudenza della Consulta che in materia di tutela dell’ambiente aveva già avuto modo di affermare ripetutamente –ad esempio– che il diritto all’ambiente salubre discendesse dallo stesso articolo 32. Si veda, fra le molte, la sentenza Della Corte Costituzionale n. 58/2018.

Non meno significativa era stata la giurisprudenza di merito (ad esempio con la sentenza Cass. civile sez. III, 03/02/1998, n. 1087 e le seguenti, conformi) che, facendo riferimento al combinato disposto di quelle disposizioni –artt. 2, 3, 9, 41 e 42– che concernono l’individuo e la collettività nel suo “habitat” economico, sociale, ambientale, ha rilevato come tali disposizioni primarie elevassero l’ambiente ad interesse pubblico fondamentale, primario e assoluto.

La modifica degli art. 9 e 41, dunque, pur non rappresentando una novità né nella dottrina né nella giurisprudenza, ha sicuramente introdotto una novazione nell’ordinamento che costituisce oggi un principio indefettibile cui conformare tanto le attività di normazione (statale, regionale e regolamentare) quanto la stessa attività dei giudici, siano essi penali, civili, amministrativi.

 

Le cave apuane e la declinazione dei principi costituzionali

 

È in questo contesto che devono essere lette sia alcune sentenze del TAR Toscana sia un parere reso dal Consiglio di Stato in funzione consultiva, in merito ad un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, atti –tutti– relativi a contenziosi, di varia natura, in materia di escavazione nel contesto delle Alpi Apuane e del bacino apuoversiliese.

Si tratta di pronunce emesse dagli organi della giustizia amministrativa fra il mese di agosto 2021 e il maggio 2022: ossia proprio “a cavallo” dell’esame parlamentare e dell’approvazione della proposta di legge costituzionale 3156 (poi 3156-B).

 

La zona apuoversiliese come unicum ambientale e paesaggistico

 

Le citate recenti sentenze del TAR Toscana, tutte, preliminarmente si occupano di inquadrare i contenziosi (nascenti da ricorsi presentati da più imprese lapidee del distretto apuano) nell’effettivo contesto ambientale e paesaggistico. Tale contestualizzazione è infatti ritenuta dai giudici amministrativi preliminare alla trattazione degli argomenti specifici (e dei relativi provvedimenti impugnati) sia che afferiscano a temi relativi al regime impositivo (in materia di contributi per l’estrazione) sia  che riguardino invece il regime più propriamente giuridico dettato dalle norme regionali, ad esempio, in materia di resa minima in blocchi delle attività estrattive.

I giudici, dunque, non sembrano aver alcun dubbio sulla peculiarità del distretto apuoversiliese e dei bacini carraresi in particolare, se affermano che «non è contestabile che la zona apuana costituisce un unicum dal punto di vista ambientale e paesaggistico, tant’è che è stata riconosciuto come geoparco dall’Unesco. Il paragone [con altre aree estrattive site nel territorio della stessa Regione Toscana da escavazione, NdR] non è conferente in primo luogo, poiché il marmo apuano è notoriamente più diffuso e conosciuto e, inoltre, poiché l’estrazione avviene in zona fortemente rilevante e delicata sotto il profilo ambientale e paesaggistico» (così TAR Toscana, N. 01139/2021).

Nella stessa sentenza, quindi, i giudici fiorentini tornano ripetutamente a sottolineare la «peculiarità della realtà territoriale ed economica dell’area, che detiene un ruolo di prima importanza nel panorama regionale, nazionale ed internazionale per i derivati dei materiali da taglio”, che delle “caratteristiche di rilevante valore ambientale e paesaggistico dei luoghi”» ritenendo infatti che «la differenziazione tra la zona apuoversiliese e quella del Senese, pure inserita in area SIC (Siti di Interesse Comunitario) con conseguente inserimento in zona speciale di conservazione (ZSC), non appare irragionevole poiché la delicatezza della prima è fatto notorio, così come la diretta incidenza in essa dell’escavazione sul paesaggio, composto proprio dalle montagne dalle quali si effettua l’estrazione del marmo la quale ultima incide irreversibilmente sul primo e in generale sullo stato dell’ambiente, non essendo il marmo una risorsa rinnovabile».

Sul criterio della peculiarità anche il Consiglio di Stato (Numero Affare 01259/2021) ha d’altro canto affermato che tale «peculiarità del contesto apuano non si evidenzia solo in ragione del rilevante pregio naturalistico, paesaggistico ed ambientale, ma è data anche dalla presenza millenaria di attività estrattive, che ivi sono presenti in concentrazione elevata nel medesimo circoscritto ambito localizzativo. Il comprensorio apuo-versiliese del distretto del marmo presenta infatti una peculiare incidenza per numero di cave, contiguità delle stesse e per ritmi e tipologie di estrazione, il che comporta ricadute su risorsa, territorio e ambiente in alcun modo paragonabili con altri comprensori estrattivi presenti nel resto del territorio regionale ed anche nazionale. A mero titolo esemplificativo si rileva che nel solo territorio del Comune di Carrara sono presenti circa 80 cave attive, corrispondenti alla metà delle cave operanti nell’intero comprensorio apuano”».

 

Il bilanciamento di interessi: legittimi i limiti alla libertà di impresa

nel rispetto dei principi costituzionali dettati dagli artt. 9, 32 e 41

 

Il convincimento dei giudici amministrativi trova conferma e corollario nella successiva sentenza TAR Toscana, N. 00745/2022: «La delicatezza e la particolarità del contesto territoriale apuano, poi, ben possono giustificare una maggior compressione dell’interesse allo sfruttamento economico del materiale lapideo rispetto al restante territorio toscano, se contenuta come nel caso di specie entro limiti di ragionevolezza e proporzionalità».

Del resto, solo pochi mesi prima lo stesso TAR Toscana (con le sentenze N. 01139/2021 e N. 00496/2022) aveva avuto modo di statuire «che quella dell’estrazione di marmo nella zona apuana è fattispecie particolare che richiede un trattamento altrettanto specifico, né si evince alcuna violazione dell’articolo 41Cost. poiché quest’ultimo, nel garantire tutela all’attività di impresa, prevede anche che possa essere limitata per salvaguardare valori di rilievo costituzionale quali, appunto, l’ambiente e il paesaggio. L’importanza da attribuire a specifiche zone sotto tali profili rientra nella discrezionalità del legislatore (regionale) che, se contenuta entro limiti di logicità, non può essere sindacata. Nel caso di specie questi limiti non appaiono superati poiché la zona apuo-versiliese presenta indubbi caratteri di pregio».

Il TAR Toscana, quindi, con le sentenze in esame anticipa (con alcune di queste) e cristallizza (con quelle successive) nei propri pronunciamenti il principio della piena legittimità costituzionale (e “fattuale”) delle pianificazioni operate dalla Toscana con proprie leggi regionali, nel perseguimento dello «scopo di bilanciare l’interesse allo sfruttamento della risorsa marmo con quello alla conservazione dei beni paesaggistici, secondo il principio dell’uso consapevole del territorio e della salvaguardia delle sue caratteristiche paesaggistiche».

Sulla piena legittimità dei limiti all’escavazione (e quindi alla totale “libertà di impresa”) è intervenuto anche il Consiglio di Stato (Numero Affare 01259/2021) chiamato dal MITE a rendere parere su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sempre presentato da aziende lapidee carraresi.

Preliminarmente i giudici di Palazzo Spada ribadiscono come, nell’ordinamento, «in numerosi casi, nell’ambito delle loro proprie competenze legislative, le Regioni ben possono introdurre (e spesso introducono) condizioni e limiti alla proprietà privata e alla libera iniziativa economica privata: basti pensare, ad esempio, alla materia del commercio, nella quale di regola la disciplina regionale si articola e opera proprio attraverso svariate limitazioni alla libera iniziativa economica privata, o alla materia dell’urbanistica, che pure tipicamente si traduce in progressive graduazioni dello jus aedificandi dei privati, sicché non si ravvisano ostacoli di carattere generale, nel vigente quadro costituzionale, al potere regionale di introdurre in materia di cave disposizioni che si traducano in limitazioni dell’iniziativa imprenditoriale di settore».

Da tale premessa generale, quindi il CdS passa all’esame specifico, ribadendo come «le finalità di tutela dell’ambiente e del paesaggio, risorse scarse e non riproducibili per definizione, non possono non tradursi –come peraltro normalmente e tipicamente avviene nelle disposizioni, normative e amministrative, poste a salvaguardia di questi interessi– in misure restrittive (e in taluni casi impeditive) di attività economiche di esercizio della libera iniziativa economica privata e del diritto di proprietà, nella dialettica, inscritta negli artt. 41 e 42 della Costituzione, tra tali libertà e i limiti di utilità sociale e gli altri limiti che derivano da beni-interessi-valori di pari rilievo costituzionale che li condizionano e con essi devono essere armonizzati e bilanciati (art. 9, secondo comma, art. 32 Cost.)».

Secondo i supremi giudizi amministrativi, quindi, «l’incidenza potenzialmente restrittiva delle misure di tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale e del paesaggio sui diritti di proprietà e di libera iniziativa economica privata (…) trova specifica copertura negli artt. 9 e 32 Cost. e negli articoli del codice dei beni culturali 3, comma 2 (…) e 145, comma 4, ultimo periodo (in base al quale “I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo”, …). Tali limitazioni sono inoltre sicuramente compatibili con il diritto eurounitario invocato dai ricorrenti a tutela della libertà d’impresa, rappresentando senz’altro una tipologia di motivi imperativi di interesse generale idonea a opporsi validamente alle libertà di circolazione, di stabilimento e d prestazione di servizi di fonte unionale (cfr. Corte di giustizia UE, 24 marzo 2011, C-400/08, Commissione europea c. Regno di Spagna: «Anche la giurisprudenza comunitaria ha chiarito che restrizioni della libertà economica sarebbero ammesse (purché non discriminatorie, adeguate e proporzionate) per motivi imperativi di interesse generale, quali la protezione dell’ambiente e la razionale gestione del territorio, …»

Ne consegue che nel comprensorio delle Alpi Apuane il diritto di esercizio della libertà d’impresa, segnatamente dell’attività ad alto impatto paesaggistico-ambientale di cava di materiali lapidei, è fortemente condizionata e profondamente conformata dal raffronto con gli interessi pubblici di tutela paesaggistico ambientale.

 

La sostenibilità ambientale e quella della resa minima

 

Se dunque, come visto, per il TAR (sentenza N. 00745/2022) «la Regione persegue attraverso lo strumento della pianificazione lo scopo di bilanciare l’interesse allo sfruttamento della risorsa marmo con quello alla conservazione dei beni paesaggistici, secondo il principio dell’uso consapevole del territorio e della salvaguardia delle sue caratteristiche paesaggistiche», il giudice toscano fa discendere da questo principio il corollario della piena legittimità e coerenza col principio stesso della norma che «consente il rilascio di nuove autorizzazioni per la coltivazione dei marmi nel distretto apuo-versiliese “solamente se i quantitativi minimi da destinarsi esclusivamente alla trasformazione dei blocchi, lastre ed affini (resa) saranno non inferiori al 30% del volume commercializzabile previsto dal progetto”».

Evidenziando come «il parametro di piano per individuare la resa minima è rappresentato dal solo materiale commercializzabile con esclusione dei materiali destinati ad altri fini e, in particolare, al miglioramento della sicurezza delle condizioni di lavoro nelle cave e dei materiali qualificabili come rifiuti di estrazione», il TAR afferma che «non ha quindi ragion d’essere la preoccupazione delle imprese ricorrenti in ordine alla non sostenibilità della resa estrattiva minima prevista dal Piano poiché questa deve essere calcolata non sull’intero materiale estratto, ma unicamente su quello da destinare al commercio. In questi termini l’individuazione della resa minima delle cave apuane nella misura del 30% appare scelta adeguata rispetto all’obiettivo di garantire la tutela del patrimonio naturalistico nella zona, e non comporta un sacrificio eccessivo dell’interesse connesso allo sfruttamento economico del materiale lapideo».

I giudici fiorentini, poi, ribadiscono ulteriormente come l’interesse connesso allo sfruttamento economico del materiale lapideo «e quello alla tutela del territorio e del paesaggio sono interessi tra loro contrapposti e devono trovare un punto di equilibrio anzitutto in sede di programmazione degli usi del territorio, e successivamente nell’ambito dei procedimenti diretti al rilascio delle autorizzazioni all’escavazione. Si tratta di individuare un corretto punto di equilibrio nel bilanciamento di tali interessi e questo comporta valutazioni di merito amministrativo, nell’intento di contemperare i citati interessi, ritenendo (non irragionevolmente) che solo un determinato rendimento dell’attività estrattiva giustifichi il sacrificio di una risorsa non riproducibile come il marmo e il conseguente depauperamento del paesaggio nel territorio apuano, territorio che costituisce un unicum a livello non solo nazionale ma anche mondiale tant’é che riceve tutela quale patrimonio dell’umanità».

A sostenere questa tesi anche il Consiglio di Stato, per il quale «non è fondata la tesi … secondo la quale la resa minima del 30 per cento sarebbe impossibile da raggiungere, del tutto svincolata dalla realtà dei fatti e dunque manifestamente irrazionale».

Sono proprio i giudici di Palazzo Spada a ricordare che «la soglia del 30 per cento è, nel sistema del PRC, non soltanto abbattibile al 25 per cento dai Piani comunali attuativi dei bacini estrattivi delle Alpi Apuane (mediante il riconoscimento di una franchigia del 5 per cento), ma è per diversi altri aspetti modulabile e adattabile alla varie condizioni fattuali specifiche relative alle singole fattispecie, mostrando in tal modo, nel complesso, un buon grado di elasticità e di aderenza dinamica ai fatti regolati. Il PRC, infatti, ammette altresì che i suddetti Piani comunali possano prevedere una ulteriore riduzione del 5 per cento della resa minima (fino al 20 per cento) per progetti specifici tesi all’incremento dell’occupazione e allo sviluppo delle lavorazioni in loco in filiera corta; consente, inoltre, l’individuazione dei ravaneti, per i quali è possibile l’asportazione, ai fini della riqualificazione ambientale e morfologica del territorio e della sicurezza idraulica, senza che tale attività concorra alla determinazione delle percentuali di resa (art. 25), con la facoltà dei Comuni, in sede di rilascio dell’autorizzazione, di incrementare tale percentuale ove, dagli approfondimenti progettuali, ne emerga la possibilità; il Piano prevede inoltre (comma 9 dell’art. 13) che per i lavori di messa in sicurezza espressamente prescritti dagli Enti competenti le volumetrie abbattute o escavate sia per situazioni di criticità impreviste emerse in corso di lavorazione, sia per situazioni previste dal piano di coltivazione ed espressamente validate dagli Enti competenti in fase di iter autorizzativo, non concorrano né alla determinazione delle percentuali di resa, né agli obiettivi di produzione sostenibile; in base al comma 5 è poi escluso dal calcolo della resa il materiale detritico utilizzato per il riempimento di gallerie per finalità connesse alla sicurezza o alle modalità di lavorazione, nonché l’asportazione di quello funzionale alla lavorazione della cava per modifica della viabilità di accesso o apertura sbassi come risultante dal progetto, secondo le modalità di stima dei quantitativi di tale materiale da definirsi nei Piani attuativi dei bacini estrattivi delle Alpi Apuane (PABE) di cui agli articoli 113 e 114 della legge regionale n. 65 del 2014; ed ancora, ai sensi del comma 7, i materiali derivati, impiegati dall’industria per la realizzazione di prodotti sostitutivi dei materiali da taglio, nel progetto di coltivazione e/o nell’ambito del monitoraggio di cui all’art. 14, possono essere computati ai fini della resa come blocchi, lastre e affini nella misura massima del 10 per cento dei derivati prodotti».

Il Consiglio di Stato, quindi, rigettando l’obiezione che l’imposizione del limite minimo di resa del 30 per cento (pur con i correttivi introducibili in fase attuativa dai Comuni), determinerebbe una disparità di trattamento rispetto a tutte le altre cave di materiali ornamentali nella Regione Toscana, per le quali la resa è del 25 per cento, evidenziano come «in senso contrario può agevolmente replicarsi, da un lato, richiamando la nota e indiscussa assoluta unicità del comparto apuano, oltre che la sua specialissima valenza paesaggistico-ambientale, non riscontrabile negli altri comparti richiamati a raffronto, dall’altro lato ribadendo che, in definitiva, in sede applicativa, tramite i PABE comunali, la resa ben potrebbe mediamente attestarsi, anche per l’area delle Apuane, intorno al medesimo livello percentuale del 25 per cento riferito agli altri comparti, sicché è da escludere che sussista la denunciata illegittimità per disparità di trattamento».

Non solo: gli stessi supremi giudici amministrativi sottolineano come «gli indicatori dei quantitativi volumetrici estratti e della superficie di suolo consumata e i valori rilevati nel complesso apuoversiliese non siano minimamente paragonabili al resto del territorio toscano (dovendosi anche in questa ribadire che il comprensorio apuo-versiliese del distretto del marmo presenta una peculiare incidenza per numero di cave, per contiguità di tali impianti, per ritmi e tipologie di estrazione, con ricadute sul territorio e sull’ambiente che non sono in alcun modo paragonabili con altri comprensori estrattivi presenti nel resto del territorio regionale ed anche nazionale)».

 

Il contributo di estrazione non è un tributo, ma un indennizzo del danno

 

Chiamati a pronunciarsi (TAR Toscana, N. 01139/2021) su un ricorso nel quale alcune imprese lapidee carraresi lamentavano la differenziazione del trattamento in tema di determinazione del contributo di estrazione tra le cave della zona Apuoversiliese e quelle del restante territorio toscano, i Giudici affermano preliminarmente che tale differenziazione «trova la sua ragion d’essere nella particolarità della prima sia sotto il profilo paesaggistico, sia sotto il profilo della qualità dei materiali estratti».

«Poiché il marmo apuano è notoriamente più diffuso e conosciuto –si legge nel dispositivo– e, inoltre, poiché l’estrazione avviene in zona fortemente rilevante e delicata sotto il profilo ambientale e paesaggistico, il combinato disposto di questi due elementi, pregio ambientale della zona e pregio commerciale del marmo estratto, rende non irragionevole e rientrante nella discrezionalità del legislatore la previsione di un regime particolare nella determinazione del contributo di estrazione»

Con ulteriore sentenza, N. 00496/2022, TAR Toscana afferma che «è infondata anche la questione di costituzionalità prospettata in relazione al fatto che il contributo di estrazione colpisce pure gli scarti di lavorazione, poiché questi vengono commercializzati per essere utilizzati in diverse attività produttive, generando quindi un profitto per le imprese escavatrici».

Ma è ancora nella sentenza 1139/2021 che i Giudici cristallizzano il principio secondo il quale «il contributo di estrazione non costituisce un “tributo” bensì un “indennizzo” disposto a favore della collettività per i danni conseguenti allo sfruttamento della risorsa marmo. La determinazione quindi della misura del contributo dovuto dalle imprese esercenti attività estrattiva trova fondamento non nella loro capacità contributiva, bensì nell’impegno dovuto dagli enti interessati per svolgere le attività pubblicistiche collegate ad essa nel pregiudizio che la collettività patisce in conseguenza dell’autorizzazione all’estrazione (Corte Cost. 26 aprile 2018, n. 89).

Se dunque per il TAR «non si ravvisa alcuna lesione al principio costituzionale di eguaglianza poiché quella dell’estrazione di marmo nella zona apuana è fattispecie particolare che richiede un trattamento altrettanto specifico, né si evince alcuna violazione dell’articolo 41 Cost. poiché quest’ultimo, nel garantire tutela all’attività di impresa, prevede anche che possa essere limitata per salvaguardare valori di rilievo costituzionale quali, appunto, l’ambiente e il paesaggio», nel respingere il ricorso i Giudici ancora una volta ribadiscono che «il contributo di estrazione, …, non è un prelievo di carattere tributario ma ha funzione di ristorare la collettività per i disagi e i danni conseguenti all’attività estrattiva».

 

Alcune considerazioni conclusive

 

Le sentenze citate in queste brevi note costituiscono un primo nucleo, conforme, di orientamenti giurisprudenziali che, oltre all’immediato impatto prodotto sulle liti alle quali si applicano avranno –ove consolidatesi– una portata novativa di grande rilevanza.

Anzitutto poiché, come evidenziato nelle premesse, le pronunce dei giudici amministrativi, nel breve volgere di nove, dieci mesi, anticipano, accompagnano e cristallizzano nella giurisprudenza i principi codificati nell’ultima riforma della Costituzione. Il dettato costituzionale per cui la Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni» trova così in queste sentenze una prima concreta statuizione ed attuazione, costituendo un precedente (anzi, più precedenti) dai quali sarà difficile prescindere. In qualche modo questi orientamenti giurisprudenziali, non del tutto nuovi –come detto– acquistano una portata “rivoluzionaria” poiché, oggi, sorrette dal dettato costituzionale.

Altrettanto significativa, nelle sentenze esaminate, la scelta “lessicale” (ma ovviamente anche giuridica) dei giudici amministrativi che senza alcuna incertezza qualificano l’attività estrattiva considerandola un “sacrificio di una risorsa non riproducibile come il marmo” stigmatizzando così “il conseguente depauperamento del paesaggio nel territorio apuano”. Come se ciò non fosse ritenuto sufficiente, i Giudici ribadiscono che l’attività delle cave provoca “disagi” e financo “danni che giustificano non solo l’indennizzo a favore della collettività ma anche il legittimo assolvimento –da parte di chi detiene le concorrenti potestà normative, regolamentari, amministrative– del compito di limitare l’incondizionato esercizio della libertà di impresa, quando questa contrasti con i detti principi della Carta.

 

Breve postilla sulla sentenza corte d’appello di Genova (28 giugno 2022)

 

Pur non avendo potuto leggere il dispositivo della sentenza emessa dalla Corte d’Appello, in materia di beni estimati, con la quale è stato respinto il ricorso contro la sentenza del tribunale di Massa del 2018 (che dava ragione a una trentina di aziende che rivendicavano la proprietà su porzioni delle cave che lavoravano) va osservato che tale pronuncia non si pone in contrasto con quanto fin qui affermato.

Al di là quindi delle diverse valutazioni sul tema della proprietà dei beni estimati (e anche della loro effettiva estensione), restano infatti –per quanto interessa in questa sede– inalterati i principi costituzionali ribaditi, in particolare, nel parere del Consiglio di Stato (Numero Affare 01259/2021) laddove i giudici ribadiscono come, nell’ordinamento, «in numerosi casi, nell’ambito delle loro proprie competenze legislative, le Regioni ben possono introdurre (e spesso introducono) condizioni e limiti alla proprietà privata e alla libera iniziativa economica privata: basti pensare, ad esempio, alla materia del commercio, nella quale di regola la disciplina regionale si articola e opera proprio attraverso svariate limitazioni alla libera iniziativa economica privata, o alla materia dell’urbanistica, che pure tipicamente si traduce in progressive graduazioni dello jus aedificandi dei privati, sicché non si ravvisano ostacoli di carattere generale, nel vigente quadro costituzionale, al potere regionale di introdurre in materia di cave disposizioni che si traducano in limitazioni dell’iniziativa imprenditoriale di settore».

Carrara, 7 luglio 2022
Legambiente Carrara APS
 

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