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Legambiente risponde alle critiche dei comitati anti biodigestore

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Rendering dell’impianto Cermec

In merito al comunicato stampa uscito nei giorni scorsi a firma dei Comitati “anti biodigestore” in progetto al CERMEC, i circoli Legambiente di Massa-Montignoso e di Carrara, insieme al responsabile scientifico nazionale dell’associazione, ritengono ancora una volta necessario fare chiarezza sul tema e su quanto è stato riportato nell’incontro dello scorso 28 giugno. Con alcune ulteriori puntualizzazioni.

Si premette che Legambiente non “accorre gratuitamente in aiuto alle istituzioni” (come sostenuto nel comunicato dei comitati), ma vuole portare il discorso nel merito della questione per permettere ai cittadini di farsi un’idea autonoma sul tema della gestione dei rifiuti organici urbani e sull’impiantistica necessaria. Nell’incontro pubblico è stato espresso più volte il concetto che non esiste un impianto perfetto né tantomeno un luogo perfetto per ospitarlo; bisogna ragionare sull’impianto meno “imperfetto” nel luogo meno “inidoneo”.

Nel caso del progetto del CERMEC il problema dell’ubicazione dell’impianto non sussiste, in quanto l’impianto di compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani è già esistente nella zona industriale. Il progetto vede dunque solo una fase di upgrading impiantistico inserendo nell’attuale processo anche la fase di digestione anaerobica. È pertanto inutile portare in questa discussione di Carrara altri progetti “limitrofi” (liguri) che, a parità di impiantistica prevista, vedono problemi oggettivi di idonea scelta dell’area e vanno affrontati in altro luogo.

Altra puntualizzazione necessaria. I comitati sostengono che l’obiettivo di un “biodigestore è quello di produrre biometano” e che per farlo impiega una grande quantità di energia. In realtà è esattamente il contrario: il processo integrato di biodigestione e compostaggio, produce sia materia (compost) che energia (metano) ed è evidente che il biometano prodotto e immesso in rete contribuisce a ridurre il prelievo del gas fossile e la dipendenza energetica. Si tratta dunque di un’ottimizzazione di processo che valorizza al meglio il rifiuto organico prodotto dai cittadini.

Va ancora una volta detto come il progetto in questione è quello di un “impianto integrato” e non di sola biodigestione (come evidenziato dai rapporti di Ispra riportati come fonti il giorno del convegno). L’obiettivo di un impianto integrato è tanto quello di produrre biogas e/o biometano quanto quello di produrre compost con la seconda fase di compostaggio. Sono due output di un unico processo sequenziale.

In merito alla non “efficienza energetica” di tali impianti, gli esponenti dei comitati hanno riportato il 28 giugno il fatto che “il 70% del biogas/biometano prodotto sia utilizzato per alimentare l’impianto stesso, e che solo il restante 30% è l’effettivo biogas/biometano prodotto”. Assumendo per vere queste affermazioni, seppur imprecise e senza fonti a supporto della tesi, il ragionamento che è corretto fare secondo Legambiente è il seguente:

  • In primo luogo, va sottolineato che questo è “un impianto integrato di produzione di biometano e compost” non un biodigestore semplice di produzione di biogas/biometano. Questa è una sottolineatura importante perché rappresenta la tecnologia più avanzata ad oggi disponibile atta ad ottimizzare il processo di riciclo dell’umido. Ovviamente un impianto integrato che produce biometano (biogas purificato che va direttamente in rete) è più energivoro di un impianto di compostaggio, ma il saldo energetico tra quanto viene prodotto e quanto viene consumato è sicuramente positivo anche da un punto di vista economico. Quindi il bilancio complessivo è sempre in positivo.
  • L’alternativa, ovvero un impianto di solo compostaggio, non produce biogas/biometano ma consuma comunque energia per il suo funzionamento; anche se poi il processo di compostaggio rilascia calore, questo viene poi disperso e non è quindi utilizzabile. L’energia viene solo consumata e questo si traduce in bollette da pagare da parte del gestore. Bilancio in negativo.

Altra precisazione doverosa. Il compost derivante da un impianto di compostaggio è meglio del biodigestato prodotto dall’impianto integrato anaerobico/aerobico”. Assumendo per vera tale affermazione, in assenza di una fonte che lo dimostri, si ribadisce che: 

  • la qualità del compost dipende in gran parte dalla qualità del rifiuto organico arrivato all’impianto, più che dal tipo di processo. L’impianto, di qualsiasi natura sia, deve essere efficiente nel togliere le impurità che gli sono arrivate. Ma questo vale per qualsiasi tipo di impianto.
  • Negli impianti integrati, per la fase anaerobica, serve una matrice organica più pulita e quindi questo stimola il gestore della raccolta a migliorare non solo la quantità intercettata di FORSU ma anche la sua qualità all’origine.
  • Il biodigestato non è il prodotto finale del processo integrato, ma solo il prodotto intermedio che, nella seconda fase di processo, viene miscelato con la matrice del verde ed avviato a compostaggio aerobico.
  • Il prodotto finale del processo integrato (anaerobico + aerobico) si chiama Ammendante compostato misto (compost), la cui qualità è disciplinata dal D.Lgs.75/2010. Il compost alla fine di qualunque processo viene analizzato secondo i parametri indicati dalla normativa (metalli, indice di germinazione, contenuto di azoto, carbonio etc.) e può essere commercializzato ed essere utilizzato nella produzione di colture bio come da disciplinare vigente, solo se idoneo.
  • In merito al fatto che la “concentrazione di metalli aumenta del 50%” nel biodigestato, non è argomento di discussione poiché questo prodotto intermedio non esce mai dall’impianto, ma viene avviato a fase aerobica di compostaggio con il verde degli sfalci e potature. Solo il compost finale viene analizzato come da normativa, e se avesse livelli di metalli pesanti fuori norma non potrebbe essere commercializzato.
  • Sui clostridi ed altri patogeni, oltre al fatto che l’impianto non utilizzerà in ingresso matrici di origine esclusivamente animale, si ribadisce che il processo aerobico di compostaggio sanifica (pastorizza per l’esattezza) il digestato sia perché l’aerobicità del processo distrugge le forme vegetative che vivono in ambiente anaerobico (clostridi) sia perché le alte temperature (in genere tra i 60-65°C) nella fase attiva del processo uccidono tutti i patogeni mantenendo attivi i microrganismi deputanti alla degradazione della sostanza organica.

Sull’impatto odorigeno la domanda da porsi è se l’impatto lo crea l’impianto o la matrice organica che arriva all’impianto. Dando per assodato che la risposta è la seconda (se qualcuno avesse ancora un dubbio), il problema va allora esaminato da un altro punto di vista: quale impianto minimizza (è questo il termine usato nella conferenza da Legambiente) l’impatto odorigeno?

La risposta data al convegno sul tema è stata che, proprio per la sua fase iniziale anaerobica, in assenza di ossigeno, in ambienti confinati e depressurizzati che aspirano l’aria e gli odori, è l’impianto integrato che minimizza l’impatto odorigeno. Il successivo digestato portato a compostaggio con la frazione del verde è decisamente meno problematico da questo punto di vista rispetto ad un impianto aerobico che tratta in tutte le sue fasi la matrice organica in maniera diversa e spesso senza confinamento laterale. Anche le emissioni prodotte nella fase di biodigestione (il cui confinamento e filtrazione prima della canalizzazione verso l’esterno è pratica ormai consolidata) devono rispondere ai valori riportati nell’autorizzazione integrata ambientale che ogni impianto deve rispettare.

In merito all’emissione di CO2 dell’impianto, che è comunque generata anche dal processo solo aerobico, va ribadito che, essendo prodotta in modo concentrato e controllato, potrebbe essere valorizzata anche per scopi alimentari. Come detto dal CERMEC al convegno, è proprio grazie alle osservazioni puntuali inviate dai circoli di Legambiente nei mesi scorsi che la società ha deciso di effettuare anche la cattura e lo stoccaggio della CO2 emessa per riutilizzarla nella filiera alimentare, della refrigerazione e delle bibite gassate.

La verità è che nella gestione dei rifiuti, chi dice NO a tutto è, inconsapevolmente o consapevolmente, un sostenitore di fatto di discariche e inceneritori. Perché, per gestire i rifiuti, gli impianti sono indispensabili: meno imperfetti possibili, ma utili alla causa di tutti.
 



Per saperne di più:

Su rifiuti e economia circolare:

 I comitati attaccano Legambiente sul biodigestore al Cermec (Tirreno, 4/7/2023)

Conferenza dibattito sul biodigestore (28/6/2023 VIDEO)

Osservazioni al progetto dell’impianto Cermec di biometano da rifiuti (8/5/2023 VIDEO)

Rifiuti zero, impianti mille (28/10/2022: conferenza, VIDEO)

 

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