Ancora una volta dobbiamo assistere, allibiti e indignati, al solito balletto di alcuni imprenditori, se così li si può ancora definire, che, dopo aver firmato un accordo con il Comune, si affrettano a portarlo in tribunale.
Questa volta l’impugnazione riguarda il tanto deprecato art. 21 del Regolamento degli Agri marmiferi, grazie al quale le aziende hanno evitato le gare per le concessioni, ottenendo una proroga fino al 2042 in cambio della lavorazione in loco di almeno il 50% dell’escavato e della realizzazione di un progetto di un generico “interesse generale”.
Finora le lagnanze degli imprenditori erano rivolte contro la lavorazione in filiera, prima accettata e poi dichiarata “praticamente irrealizzabile”; adesso tocca ai progetti di ”interesse generale”.
A quanto si sa, le 69 aziende firmatarie delle convenzioni, per ottenere la proroga, hanno presentato in tutto 19 progetti per un investimento totale di 25.600.000 euro. Se facessimo la media “del pollo di Trilussa”, equivarrebbe a un investimento pro capite di 371.015 euro.
25,6 milioni potrebbero sembrare tanti, ma è così?
Facciamo un piccolo esempio: una delle aziende ricorrenti ha avuto nel 2021 un utile di 3 milioni e rotti di euro e nel 2022 un utile di 4.680.000. Se consideriamo l’utile più basso e lo moltiplichiamo per i 25 anni di proroga, ottenuti anche grazie alla realizzazione dei progetti in questione, abbiamo la stratosferica cifra di 75.000.000 di euro, lucrati su un bene della collettività da una sola azienda.
Sempre basandoci sulla media del pollo, 371.015 euro di investimento totale, spalmati sui 25 anni di proroga, equivarrebbero a 14.840 euro di spesa all’anno che, rispetto ai 3 milioni e rotti di utile in un anno dell’azienda in esame, sono solo lo 0,5%, una microscopica briciola: ogni euro investito ne rende 200, non esiste banca al mondo che garantisca simili rendite!
E se facessimo lo stesso calcolo sugli utili di tutte le 69 aziende e li confrontassimo con le briciole dei 25,6 milioni dati alla città con l’art. 21?
A fronte di questi dati e dei danni ambientali provocati dall’escavazione (di cui le imprese non pagano certo il conto), forse dovrebbe essere la cittadinanza a fare ricorso contro le imprese!
Infine, di fronte a tanta arroganza e al poco rispetto per la città, non vediamo che una soluzione: dichiarare decadute le convenzioni dei ricorrenti, bloccare l’escavazione di quelle cave e metterne a gara le concessioni.
A meno che il diritto al ricorso non sia contemplato nelle clausole di riserva, che risultano essere state apposte a penna sulle convenzioni e di cui la cittadinanza non conosce il contenuto.
Se così fosse, aver permesso l’apposizione di quelle clausole, tanto più conoscendo la scarsa affidabilità dei contraenti, che spessissimo firmano accordi per poi contestarli nei tribunali, dimostra davvero una ben scarsa lungimiranza! E ci chiediamo anche perché l’Amministrazione le abbia accettate.
Carrara, 24 luglio 2024
Legambiente Carrara