Dimensione testo » A+ | A–

Resoconto terza escursione “sui sentieri della prossima alluvione”: bacino di Colonnata

Share
Print Friendly, PDF & Email

Le profonde trasformazioni nel bacino montano del Carrione, lasciate al libero arbitrio delle cave, stanno aggravando di giorno in giorno il rischio alluvionale.
Scopo di queste escursioni è vedere e capire: per lottare.

 
 
 
 
 
 
 
 

Sommario

Sosta 1. Tombatura da eliminare
Sosta 2. Canalie: alveo ristretto tra strada e segherie (da ampliare)
Sosta 3. Mortarola: restituire spazio ai fiumi e eliminare le terre dai ravaneti
Sosta 4. Ravaneto Bacchiotto: sbarramento della valle, colmata da detriti
Sosta 5. Tarnone: altro sbarramento della valle (per il piazzale Olmo)
–      Osservazione 1. Carrione scomparso
–      Osservazione 2. Invaso temporaneo Col25
Sosta 6. Piazzale turistico della cava romana
–      Osservazione 1. Riempimento a discarica della cava Calagio
–      Osservazione 2. Ravaneto Gioia: discarica di terre, sepoltura cava Scalocchiella
Sosta 7. Cava dismessa Trugiano
–      Osservazione 1. cava riempita a discarica
–      Osservazione 2. Aree di immagazzinamento idrico: il comune ci prende pure in giro!
Sosta 8. Via Canaloni: ripristinare l’alveo!
CONCLUSIONI

 
 

Sosta 1

Tombatura da eliminare

  

Salendo sul ponticello a monte della pesa comunale si vede una tombatura (Fig. 1A) realizzata a suo tempo per ottenere un piazzale di lavorazione del marmo (oggi con qualche scultura in esposizione: Fig. 1B). La tombatura copre una precedente strozzatura idraulica, rappresentata da un ponticello ad arco dalla luce molto angusta.

Ci soffermiamo solo per ricordare che esistono molte altre situazioni analoghe, ma non le passeremo in rassegna poiché la loro rimozione è già prevista dal masterplan del Carrione, trattandosi di interventi classici di ingegneria idraulica. Ci auguriamo soltanto che si proceda in modo radicale, riportando il Carrione a cielo aperto (eliminando sia la strozzatura sia il piazzale sovrastante).
 

Fig. 1. A monte del ponticello subito dopo la pesa comunale. A: il Carrione è stato coperto per ricavarne un piazzale a uso laboratorio di marmo, oggi quasi in disuso (B). Si noti che, sotto la copertura, è presente un ponticello ad arco con luce molto angusta (freccia): una strozzatura idraulica assolutamente inadeguata al transito delle piene. La soluzione più ragionevole è riportare il Carrione a cielo aperto, eliminando la strozzatura e il piazzale.


 

Sosta 2

Canalie: alveo ristretto tra strada e segherie (da ampliare)

 

Procedendo di circa 500 m, sostiamo presso l’impianto di trattamento delle sorgenti delle Canalie. Osserviamo che l’alveo è confinato in un canale ristretto perché in gran parte occupato dalla strada e dalle segherie: è necessario ampliarlo ricavando spazio a spese della strada, ricostruendola a una quota più elevata (Fig. 2).

Analoga soluzione va estesa a tutti i tratti in cui l’alveo è stato occupato dalla strada di fondovalle. Infatti, come abbiamo visto nelle precedenti escursioni, allargare l’alveo ovunque possibile consente di ottenere una rilevante riduzione della velocità della corrente e, pertanto, del rischio alluvionale.
 

Fig. 2. L’alveo è stato ristretto tra la strada e le segherie: occorre restituirgli lo spazio sottrattogli. La soluzione preferibile è smantellare la strada ripristinandovi l’alveo (tra le linee tratteggiate) e ricostruirla a una quota più levata (fascia gialla). La freccia indica l’impianto di trattamento delle sorgenti delle Canalie.


 

Sosta 3

Mortarola: restituire spazio ai fiumi e eliminare le terre dai ravaneti

 

Scopo di questa sosta è stimolare la lettura critica del territorio e rinfrescare la memoria storica. Chissà quante volte abbiamo percorso questa strada senza trovarvi nulla di strano: eppure basta soffermarsi un attimo a osservare per comprendere che, in origine, l’intero fondovalle doveva essere occupato dal Carrione.

Oggi, invece, il Carrione è ristretto e confinato al piede del versante roccioso e gran parte del suo alveo è stata occupata dalla strada asfaltata e dal laboratorio Petacchi (Fig. 3A).

L’esperienza storica ci insegna che, prima o poi, i fiumi si riprendono il proprio alveo. È quanto si è verificato nell’alluvione del 2003: il Carrione si è ripreso il suo spazio, invadendo la strada con i detriti provenienti dalla frana del ravaneto Bacchiotto (Fig. 3B-3D). La pezzatura molto grossolana dei detriti fa comprendere quanto tumultuosa sia stata la forza della corrente.
 

Fig. 3. A: a Mortarola il Carrione, che originariamente occupava l’intero fondovalle, è stato ristretto e relegato a lato: gran parte del suo alveo è occupata dalla strada e dalle segherie. B-E: dopo l’alluvione del 2003: i detriti provenienti dal ravaneto Bacchiotto franato hanno colmato l’alveo e invaso la strada (le frecce bianche indicano persone). B e C: un paio di giorni dopo l’alluvione. D e E: nei giorni successivi: la strada è stata ripulita, l’alveo è ancora stracolmo di detriti.

 
Ne traiamo alcune considerazioni:

  • ovunque possibile, dobbiamo restituire spazio ai fiumi: si eviterà localmente l’esondazione ma, soprattutto, si rallenterà il deflusso della piena, riducendo in tal modo il rischio alluvionale anche a valle (in particolare nel centro città, che è il tratto più critico);
  • le foto dell’alluvione del 2003 sono un esempio illuminante dell’impressionante quantità di detriti mobilizzabile dalle frane dei ravaneti nel corso di precipitazioni eccezionali;
  • in tutto il bacino montano i ravaneti sono di anno in anno sempre più ricchi di terre che, imbibite, tendono a liquefarsi innescando imponenti colate detritiche: la stessa precipitazione del 2003, pertanto, produrrebbe oggi danni ancora maggiori.

Abbiamo dunque visto l’effetto congiunto di due modalità di azione della ‘fabbrica del rischio alluvionale’: sottraendo spazio ai fiumi e permettendo alle cave di trasformare il territorio a loro piacimento non si riduce soltanto il bacino montano a un paesaggio di discariche di terre, ma si rendono più catastrofici i picchi di piena.

L’amministrazione comunale non può dunque assistere passivamente all’incremento del rischio alluvionale, ma deve restituire l’intero fondovalle ai fiumi (spostando strade e insediamenti) e prendere in mano la progettazione delle trasformazioni territoriali, indirizzandole verso la riduzione del rischio idraulico (sostituendo i ravaneti di terre con ravaneti-spugna di sole scaglie).

 

Sosta 4

Ravaneto Bacchiotto: sbarramento della valle, colmata da detriti

 

Breve sosta al bivio Colonnata-Tarnone. Vediamo un ampio piazzale di terre: procedendo verso il suo bordo ci rendiamo conto che è una grande discarica di detriti di ravaneto (Fig. 4), anni fa costituita da scaglie (trascinate a valle nell’alluvione del 2003: si riveda la Fig. 3) e oggi costituita da terre (come ormai tutti gli altri ravaneti).

Procedendo verso la sosta successiva per il Tarnone osserviamo che stiamo attraversando la valle, ma la strada poggia sul terreno (non è un ponte). Ci rendiamo dunque conto che il ravaneto appena visto è solo una piccola parte di un deposito ben più grande che ha colmato l’intera valle, sbarrandola. Ciò ci dà la misura di quali trasformazioni territoriali siano state consentite alle cave, senza autorizzazione ma con la piena tolleranza delle amministrazioni comunali.
 

Fig. 4. Ravaneto Bacchiotto, in località Tarnone. A: la sommità piatta, adibita a ricevere le terre che, poi, sono sistemate nel ravaneto. B e C: vista della scarpata di terre, con evidenti segni d’erosione superficiale.


 

Sosta 5

Tarnone: altro sbarramento della valle (per il piazzale Olmo)

 

–   Osservazione 1. Carrione scomparso
 

Si parcheggia nel piazzale Tarnone (realizzato sul ravaneto Bacchiotto, dal lato opposto della valle), si risale lungo il sentiero sovrastante il tracciato della ex ferrovia marmifera e si osserva la valle finché la si trova sbarrata da un’alta scarpata di detriti (Fig. 5A). Si tratta di un secondo sbarramento della valle, ancor più esteso del precedente, sulla cui sommità è stato ricavato il piazzale e il deposito blocchi della cava Olmo (Fig. 5B).

La Fig. 5C fornisce una visione d’insieme delle sconvolgenti trasformazioni territoriali apportate dalle cave a loro piacimento, al di fuori di ogni pianificazione comunale. Nel tratto di 700 m, ad esempio, le acque del Carrione scorrono prima direttamente sulla strada, poi in parte vengono indirizzate ad infiltrarsi nei detriti di ravaneto e in parte continuano il percorso stradale, poi (dopo il piazzale Olmo) scorrono in un tratto a cielo aperto, poi sono intubate nel ravaneto Bacchiotto e infine, alla loro uscita, tornano a cielo aperto. Un vero caos idraulico!
 

Fig. 5. A: la ripida scarpata del piazzale, vista da valle: le sottili linee punteggiate indicano i versanti sul cui fondo (non visibile perché più basso) c’è l’alveo del Carrione (freccia). B: il piazzale della cava Olmo che ha colmato il fondovalle del Carrione, visto da monte e dall’alto. C: vista satellitare ortogonale dell’area Tarnone-Calagio che ha subito, ieri e oggi, profonde trasformazioni morfologiche. Nel tratto 1-2 l’alveo del Carrione scorre in parte al di sotto di via Colonnata e in parte su di essa (che diviene un torrente durante le precipitazioni intense). Scendendo verso valle (tratto 2-3), non solo l’alveo, ma l’intero fondovalle del Carrione è stato sepolto dai detriti (spessore circa 40 m) per realizzare il piazzale della cava Olmo. Nel tratto 3-4 l’alveo del Carrione è a cielo aperto, ma poco dopo incontra un nuovo sbarramento della valle (sul quale è stata realizzata la strada per l’ex stazione marmifera del Tarnone) che supera, tombato, nel tratto 4-5 per poi riemergere in superficie (5-6).

 
È indispensabile che l’amministrazione riprenda pienamente in mano la gestione del territorio. Purtroppo i piani attuativi di bacino estrattivo (PABE) recentemente adottati prendono misure molto tiepide per le attività estrattive in atto, ma non affrontano nemmeno i guasti derivanti dalla gestione passata (riempimento di valli e di cave a fossa, ravaneti e discariche di terre, alvei occupati da strade ecc.), accettandone passivamente la permanenza, compreso l’incremento del rischio alluvionale che ne deriva.

 

–   Osservazione 2. Invaso temporaneo Col25
 

Nel tratto di Carrione a cielo aperto compreso tra il piazzale Olmo e il ravaneto Bacchiotto (tratto 3-4 in Fig. 5C) il masterplan prevede la realizzazione di un invaso temporaneo per laminare le piene.  L’invaso avrebbe un volume di 63.000 m3 e un’efficienza idrodinamica attorno al 10%. L’opportunità della sua realizzazione richiede però alcuni approfondimenti sul complicato comportamento idraulico di questo caotico tratto del Carrione.

 

Sosta 6

Piazzale turistico della cava romana

 

Riprendendo la via per Colonnata, in località Calagio si attraversa il piazzale Olmo prendendo la stradella per la cava romana, dove si parcheggia. La sua quota più elevata permette infatti di apprezzare contemporaneamente diverse situazioni.

 

–   Osservazione 1. Riempimento a discarica della cava Calagio
 

Vediamo di fronte la cava a pozzo Calagio (Fig. 6) adiacente alla strada comunale e profonda un tempo 40 m, in stato avanzato di riempimento con detriti scaricati sia dall’alto (dalla cava Calagio Alta) sia dal basso (terre portate da camion provenienti da diverse cave).

Il riempimento della cava comporterà la perdita di un volume di invaso di circa 370.000 m3, da solo superiore a quello cumulativo dei due invasi più grandi previsti per la laminazione delle piene (Torano 4 e Colonnata 21).

In altre parole, mentre lo studio Seminara compie ogni sforzo per individuare nuovi invasi, il comune consente il riempimento degli invasi già esistenti: è un piccolo tassello, ma molto illuminante, del funzionamento della fabbrica del rischio alluvionale!
 

Fig. 6. La cava a pozzo Calagio, dismessa oltre 10 anni fa, vista da lontano (A) e da vicino (B). La cava è utilizzata come discarica del cantiere superiore, scaricando dall’alto terre e tout venant, com’è evidente dalle fasce d’abrasione (4 e 5) generate dalla caduta dei detriti che formano i cumuli 2 e 3. Il cumulo 1, invece, è costituito da sole terre, conferite su camion. Oltre al danno paesaggistico, si è perso un potenziale volume d’invaso.

 
Merita ricordare che lo studio raccomandava la rimozione delle terre dai ravaneti, lo spostamento delle strade di fondovalle, il ripristino degli alvei sepolti o ristretti ecc. ed avvertiva esplicitamente che la mancata attuazione di tali raccomandazioni avrebbe compromesso l’efficacia degli altri interventi previsti (quelli di tipo idraulico più tradizionali). Evidentemente l’amministrazione non tiene in alcun conto le raccomandazioni dello studio, come se la prevenzione delle alluvioni non fosse materia di suo interesse e competenza.

 

–   Osservazione 2. Ravaneto Gioia: discarica di terre, sepoltura cava Scalocchiella
 

Da questo punto d’osservazione è ben visibile l’enorme quantità di terre scaricata dalle cave di Gioia sul versante sovrastante la cava Scalocchiella dismessa (fig. 7).

Ciò conferma in quale considerazione l’amministrazione comunale tenga le raccomandazioni dello studio Seminara: mentre lo studio raccomanda la rimozione delle terre dallo strato superficiale dei ravaneti (per evitare l’innesco di colate detritiche che andrebbero a depositarsi nell’alveo dei corsi d’acqua riducendone la capacità idraulica), il comune continua tutt’oggi a consentire alle cave di scaricare impunemente milioni di tonnellate di terre sui ravaneti.

È un’ulteriore conferma che il comune agisce (stavolta consapevolmente) da perfetta ‘fabbrica del rischio alluvionale’.
 

Fig. 7. A: vista panoramica (Google Earth) delle cave di Gioia (in alto) e del loro ravaneto di terre (frecce turchesi) che ha ormai quasi completamente sepolto la sottostante cava Scalocchiella (freccia gialla). B e C: la cava Scalocchiella nel 2016, riempita solo in parte da terre conferite dal basso; la freccia indica il versante, ancora non ricoperto da terre. D: la stessa nel 2017: è iniziato lo scarico di terre che coprirà il versante e seppellirà la cava Scalocchiella. Lo scarico prosegue tuttora. E: Curiosità: spesso i ravaneti di terre sembrano costituiti da scaglie, ma è solo l’effetto del dilavamento operato dalle piogge di modesta entità, che asportano le terre e lasciano sulla superficie le scaglie. Basta però un solco d’erosione locale per rivelare la vera natura di ravaneto di terre, che ne costituiscono l’intero spessore (freccia).


 

Sosta 7

Cava dismessa Trugiano

 

–   Osservazione 1: cava riempita a discarica
 

Un centinaio di metri oltre l’accesso alla via d’arroccamento delle cave di Gioia si sale all’ex cava a fossa Trugiano. Fino a dieci anni fa vi si accedeva percorrendo un suggestivo corridoio tra due alte pareti tagliate nel marmo (Fig. 8A), ma oggi è completamente sepolta da una discarica di terre portate su camion (Fig. 8B e 8C). Osserviamo che anche all’esterno della ex cava è presente una voluminosa discarica di terre in rilevato (Fig. 8D).

Non ci si è tuttavia accontentati del riempimento della cavità: oggi, infatti, su di esso si stanno scaricando terre per realizzare una discarica in rilevato (Fig. 8E).
 

Fig. 8. A: Cava Trugiano ripresa dall’alto nel 2010: vi si accedeva attraverso un suggestivo passaggio tra due alte pareti di marmo (freccia gialla); il senso delle proporzioni è dato dai due escavatori nel piazzale. B: la stessa nel 2017, ridotta a discarica, a riempimento quasi completato. C: il camion scarica terre nella cava (2016). D: oltre alla discarica nella cava (qui non visibile, ma la cui posizione è indicata dalla freccia bianca) è presente all’esterno una bella discarica di terre in rilevato (freccia gialla). E: la cavità della cava (ripresa dal basso) era già stata riempita nel 2017 al livello indicato dalla linea tratteggiata 1, ma non ci si è accontentati: oggi (2020) è stato predisposto un rialzo di terre (con un bastione di contenimento in blocchi: freccia) che sarà esteso a tutta la cava fino al livello 2. Da una cavità di cava si sta dunque passando a una discarica in rilevato.

 
Osserviamo che, mentre il masterplan si affanna a cercare di realizzare invasi temporanei per laminare le piene, consentendo il riempimento della cava è andato perso, oltre ad una testimonianza del lavoro umano, un bel volume di invaso (circa 160.000 m3).

La discarica a cielo aperto, oltre al degrado paesaggistico, è fonte di terre che, dilavate dalle piogge, andranno a sedimentare nei corsi d’acqua innalzandone il letto.

In sintesi, ogni intervento che vediamo testimonia l’assoluta mancanza di considerazione del rischio alluvionale che, in tal modo, si accentua di anno in anno.

 

–   Osservazione 2. Aree di immagazzinamento idrico: il comune ci prende pure in giro!
 

Prendiamo spunto dalla perdita di volumi d’invaso conseguenti al riempimento delle cave appena viste (Calagio, Scalocchiella e Trugiano) per trarre un’amara riflessione.

I piani attuativi dei bacini estrattivi (PABE) sono corredati da un apparato conoscitivo che raggiunge livelli d’eccellenza e mostra piena consapevolezza dei fattori che contribuiscono alla riduzione del rischio alluvionale, con particolare riferimento ai ravaneti di scaglie stabilizzati e alle cavità di cava che possono accogliere volumi di acque meteoriche, sottraendoli al deflusso.

Desta perciò sconcerto che tale consapevolezza non sia accompagnata da misure coerenti. Le misure adottate, infatti, consistono nella tutela dei ravaneti di scaglie stabilizzati (dei quali i PABE si limitano a vietare l’asportazione) e nell’individuazione delle ‘aree di immagazzinamento idrico’, cioè cavità di cava che, al termine dell’escavazione, devono essere ripristinate per trattenere le acque meteoriche.

Per quanto riguarda i ravaneti è certamente utile preservare quelli stabilizzati ma, per coerenza, si dovrebbe prescrivere il risanamento degli altri ravaneti (rimuovendone le terre) e vietare la pratica estremamente diffusa dell’abbandono in essi delle terre. La mancata adozione di queste misure (da noi richieste da tempo, anche come osservazioni formali ai PABE) testimonia che, pur di non arrecare disturbo alle cave, è stata compiuta consapevolmente la scelta di accettare l’incremento del rischio alluvionale.

Anche per quanto riguarda la salvaguardia delle aree di immagazzinamento idrico, si viene colti da costernazione quando si esaminano sulla cartografia le aree individuate a tal fine. Per limitarci alla zona Olmo-Gioia-Trugiano appena vista nell’escursione, infatti, è tutelata solo la vasca di sedimentazione Gioia (con un volume dell’ordine di grandezza di 100 m3: Fig. 9), mentre non si prevede lo svuotamento (e si consente l’ulteriore riempimento) delle cave Calagio (370.000 m3), Scalocchiella (30.000-50.000 m3) e Trugiano (160.000 m3), senza considerare che dallo svuotamento del piazzale Olmo si potrebbe ricavare un volume d’invaso di circa 200.000 m3 (Fig. 10).
 

Fig. 9. La vasca di sedimentazione delle cave Gioia, di volume inadeguato e realizzata senza alcuna progettazione impiantistica, si riempie facilmente e lascia uscire acque torbide. A: vasca vuotata. B: dalla vasca colma di sedimenti escono acque torbide.

 

Fig. 10. Il PABE, nell’area del bacino di Colonnata illustrata, prevede come Area di immagazzinamento idrico la sola minuscola vasca di sedimentazione ai piedi della via d’arroccamento di Gioia (in giallo). Non prevedere, invece, il mantenimento della cavità della cava attiva Cancelli di Gioia e lo svuotamento delle depressioni riempite in passato (Trugiano, Olmo, Calagio Bassa, Scalocchiella). È come predisporre un secchiello contro le alluvioni, perdendo nel frattempo diversi laghi potenziali.

 
Spacciare come misura antialluvione la salvaguardia di un volume d’invaso di 100 m3 rinunciando a ricavarne volumi migliaia di volte superiori equivale infatti a una vera beffa e dà la misura della considerazione dell’amministrazione per il rischio alluvionale e di quanto, pur consapevole delle conseguenze, essa subordini gli interessi della comunità a quelli delle cave.

 

Sosta 8

Via Canaloni: ripristinare l’alveo!

 

Risalendo verso monte, lasciamo sulla destra la via per Colonnata e proseguiamo diritti lungo via Canaloni rendendoci ben presto conto (nomen omen) del perché del suo nome: la strada asfaltata ha occupato interamente l’alveo del torrente di fondovalle che, periodicamente, si riprende il suo spazio scorrendo sulla strada (Fig. 11).
 

Fig. 11. Via Canaloni è stata costruita occupando interamente l’alveo del torrente che pertanto, con le piogge intense, si riprende il suo spazio scorrendo lungo la strada. A: nel tratto alto l’occupazione dell’alveo da parte della strada è evidente a colpo d’occhio. B: in alcuni tratti della parte alta l’alveo è stato ristretto a lato strada e canalizzato, aggravando il rischio alluvionale a valle (per l’accelerazione della corrente). C: tratto intermedio: le canaline stradali possono fare ben poco nel caso di precipitazioni intense. D: tratto basso, presso la salita pedonale per Colonnata: strada invasa da detriti di marmo dopo una precipitazione intensa.

 
Con le precipitazioni eccezionali, pertanto, le acque scorrono con grande velocità sul liscio asfalto, aggravando il rischio alluvionale a valle.

Per evitare l’invasione della strada da parte delle acque sono stati adottati, secondo i tratti, numerosi espedienti, anche fantasiosi, ma certamente non risolutivi. Come già visto per il canale di Piastra nel bacino di Torano, la soluzione radicale consiste nel restituire l’intero fondovalle all’alveo e ricostruire la strada a una quota più elevata. Oltre alla sicurezza del transito si rallenterebbero i deflussi e, perciò, si ridurrebbe il rischio alluvionale su Carrara.

 

CONCLUSIONI

 

Nel corso delle tre escursioni abbiamo visto decine di situazioni paradossali, ma nessuna situazione virtuosa (semplicemente perché non ne esistono). L’aspetto più impressionante è che si continua a consentire alle cave di apportare ingenti trasformazioni territoriali senza alcuna pianificazione e senza alcun controllo pubblico, anzi con un livello di accondiscendenza da parte dell’amministrazione comunale che sfiora l’aperta complicità.

Le escursioni hanno reso palese che l’appellativo di ‘fabbrica del rischio alluvionale’ da noi rivolto all’amministrazione non è uno slogan d’effetto ma, purtroppo, la concreta realtà.

In particolare, l’asportazione delle scaglie e il crescente abbandono delle terre nei ravaneti e nelle innumerevoli discariche, così come il riempimento delle cave a fossa abbandonate non apportano soltanto degrado paesaggistico e inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, ma accrescono di giorno in giorno il rischio alluvionale.

Va considerato che i PABE pongono sensibili restrizioni all’asportazione delle scaglie dai ravaneti: si tratta di una misura giusta ma assolutamente insufficiente, anche senza considerare la scarsa fiducia nella sua concreta attuazione (vista l’infinita tolleranza del comune verso le numerose violazioni da parte delle cave).

Infatti, considerando il livello di depauperamento delle scaglie nei ravaneti ormai raggiunto, non è sufficiente fermarlo: occorre invece, un grandioso piano di rimpinguamento dei ravaneti con scaglie. Ciò richiederà, per molti anni, la necessità di riservare a tal fine una discreta quantità (attorno al 50%) delle scaglie prodotte annualmente dalle cave, rivedendo pertanto le autorizzazioni già rilasciate.

Abbiamo anche esposto alcune soluzioni che avanziamo inascoltati da anni, tra le quali i ravaneti-spugna (i cui vantaggi ambientali e sociali sono illustrati nella mappa concettuale della Fig. 12), l’eliminazione di tutte le terre abbandonate al monte, il recupero di volumi d’invaso svuotando le cave a fossa dai detriti che le hanno colmate, lo spostamento a maggior quota delle strade che hanno occupato il fondovalle, al fine di ripristinare alvei naturali, larghi e sinuosi che rallentino i deflussi.
 

Fig. 12. La mappa concettuale mostra i danni (riquadri rossi) derivanti dagli attuali ravaneti e i vantaggi (riquadri verdi) ottenibili ricon­vertendoli in ravaneti-spugna.

 
Il ruolo idrologico dei ravaneti è illustrato schematicamente nella Fig. 13: col passaggio dai ravaneti antichi a quelli recenti e, ancor più, a quelli attuali (gran parte dei quali è ormai costituita da sole terre) il rischio alluvionale si è progressivamente accentuato. La realizzazione dei ravaneti spugna, apporterebbe un contributo insostituibile alla sua riduzione.
 

RAVANETI ANTICHI

Tessitura grossolana; permeabilità molto elevata, coefficiente di ritenzione modesto (per pori ampi), ma ritenzione media, grazie a spessori enormi. Deflusso superficiale assente (le acque scorrono sepolte nei detriti). Piccoli alvei montani sepolti: forte rallentamento del deflusso (per attrito elevato e percorso molto tortuoso tra gli interstizi dei detriti): elevata riduzione del rischio alluvionale a valle.

RAVENETI RECENTI

Tessitura media con supporto di matrice fine (terre). Coefficiente di ritenzione elevatissimo, ma la permeabilità si azzera per costipazione da imbibizione. Infiltrazione medio-bassa e deflusso superficiale elevato e veloce. Dilavamento terre e loro deposito in alvei con piogge normali (aumento graduale rischio alluvionale); colate detritiche con piogge eccezionali (aumento improvviso rischio alluvionale).

TERRE (tendenza attuale)

Tessitura fine. Porosità molto elevata, ma permeabilità assente dopo imbibizione. Con piogge eccezionali l’infiltrazione si azzera e tutto il deflusso diviene superficiale e molto rapido. Grande propensione a dilavamento e a colate di fanghi che riducono la capacità degli alvei (in maniera graduale o catastrofica). Accelerazione deflussi e rischio alluvionale massimo. Sorgenti e fiumi torbidi.

RAVANETI-SPUGNA

Ottimizzazione della tessitura (scaglie, pietrisco, sabbia grossolana-media). Spessori notevoli, ma non enormi. Permeabilità elevata; deflussi superficiali molto modesti e molto rallentati. Grande stabilità (data dai bastioni di contenimento); niente apporto di sedimenti agli alvei. Massima riduzione del rischio alluvionale (localmente e a valle). Fiumi e sorgenti puliti; massimo rimpinguamento dell’acquifero.

Fig. 13. Illustrazione schematica delle caratteristiche fisiche e del comportamento idrologico dei vari tipi di ravaneti. L’ultima riga mostra la forma dei picchi di piena, cioè l’andamento della portata (sulle ordinate) nel tempo (sulle ascisse). Fonte: Legambiente Carrara.

 
D’altronde gli effetti idrologici dei ravaneti-spugna non dovrebbero sorprendere, visto che svolgono un ruolo analogo a quello della forestazione dei versanti montani, aumentando la frazione delle acque meteoriche che si infiltra nel suolo e riducendo la frazione che scorre in superficie e la sua velocità (Fig. 14, riquadri 18, 19, 22, 23, 24 e 27).

Pertanto, considerato che i versanti montani dei bacini marmiferi sono privi di copertura vegetale (a causa della quota superiore al limite altitudinale degli alberi, del terreno roccioso privo di suolo o perché rimossa dalle cave, sepolta da ravaneti ecc.), i ravaneti-spugna svolgono un ruolo vicariante delle vegetazione, col vantaggio di poter essere realizzati anche dove questa non potrebbe attecchire e di poterne dimensionare a piacimento la composizione granulometrica, lo spessore e l’estensione.
 

Fig. 14. Mappa concettuale degli effetti della forestazione. Tra i molteplici effetti positivi, evidenziati nei riquadri gialli, vi è la riduzione del rischio alluvionale: si richiama l’attenzione sui riquadri 18, 19, 23, 24 e 27 poiché si tratta degli stessi meccanismi d’azione dei ravaneti spugna. Fonte: G. Sansoni e P.L. Garuglieri, 1993. Il Magra. Analisi, tecniche e proposte per la tutela del fiume e del suo bacino idrografico. Ed. WWF Italia, 95 pp.

 
Al termine delle nostre escursioni siamo dunque consapevoli che la protezione dal rischio alluvionale non può prescindere da grandiose opere di ripristino del bacino montano (la vera ‘grande opera’ di cui Carrara ha bisogno).

Ancor prima, tuttavia, c’è bisogno di una visione del futuro del nostro territorio e di un’amministrazione comunale che, rispondendo ai suoi doveri istituzionali, operi per il bene della comunità abbandonando ogni subalternità a interessi di parte.

La sede più appropriata per dare concretezza a tale visione sono i PABE che, purtroppo, hanno dimostrato una visione di futuro uguale al passato (nei principi ispiratori) o molto peggiore (nelle conseguenze concrete), non solo per quanto riguarda il rischio alluvionale (si veda il nostro documento Osservazioni ai PABE. Tanti studi per nulla: un futuro uguale al passato (16/9/19).

Poiché i PABE sono stati adottati ma non ancora approvati, il comune ha ancora la possibilità di apportarvi modifiche sostanziali: ci auguriamo vivamente che abbia il coraggio di farlo.

Scopo delle nostre escursioni è far vedere con i propri occhi ai cittadini queste realtà e le soluzioni praticabili affinché, con la loro lotta, costringano l’amministrazione a tornare sulla retta via. Con le nostre escursioni (che replicheremo), la denuncia, le proposte, la massima apertura al confronto, continueremo la lotta con determinazione e perseveranza, nell’interesse esclusivo della comunità, fino a fermare la fabbrica del rischio alluvionale.
 
Carrara, 23 agosto 2020
Legambiente Carrara
 



Per saperne di più:

Resoconto seconda escursione “sui sentieri della prossima alluvione”: bacino di Miseglia  (16/8/2020)

Resoconto prima escursione “sui sentieri della prossima alluvione”: bacino di Torano  (9/8/2020)

 

Share