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Osservazioni al piano di coltivazione della cava Castelbaito-Fratteta

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Al Parco delle Apuane (PEC)
Alla Regione Toscana (PEC)

 

Legambiente esprime profonda preoccupazione per il procedimento inerente l’attività estrattiva -Piano di “coltivazione cava Castelbaito-Fratteta”-  nel Comune di Fivizzano (MS) presentato da Marmi Walton Carrara srl, insistente  nel Parco Regionale delle Alpi Apuane, Global Geopark Unesco, interessato da siti di Rete Natura 2000 e dai dispositivi del PIT Piano Paesaggistico Regionale, che comporterebbe elevati e diffusi impatti in aree di rilevanza naturalistica e paesaggistica assoluta e ad alta vulnerabilità, chiedendo pertanto una pronuncia negativa del procedimento in questione.

Presa visione della documentazione tecnica disponibile sul sito della Regione Toscana, relativa al Piano in oggetto (prosecuzione della coltivazione a cielo aperto delle cave Fratteta e Castelbaito), si avanzano le seguenti osservazioni, basate sulla documentazione presentata, e che tengono conto anche della “diffida” emessa della Regione Toscana D.D. n. 7933/2022.

Con la presente, pertanto,  si invita la Regione Toscana a respingere il Piano di coltivazione per una serie di affermazioni tecniche che –in quanto contraddittorie, prive di credibilità o tendenziose– non risultano suffragate da seri e verificati elementi tecnico-scientifici.

La cava (come anche descritto a pag, 29 dello Studio di Incidenza presentato dal proponente), si sviluppa in due cantieri denominati Fratteta, cantiere posto a est, e cantiere Castelbaito, posto a ovest. Il cantiere Fratteta presenta un ampio piazzale di quota 1129/1130 m s.l.m. che verso nord viene ribassato con bancate orientate circa N130°, alla quota 1123,30 m, quindi con altezze medie variabili da 6,70 a 7,00 m. Questo cantiere è delimitato, verso est e verso sud, da pregressi fronti di coltivazione che formano una sorta di anfiteatro attorno alla zona di coltivazione, e, verso ovest e nord, dalla viabilità di comparto. Il cantiere Castelbaito, posto ad ovest del precedente e costituito da due aree contornate verso sud-ovest da alte pareti di roccia che fanno da corona alla zona di escavazione, oggi riguarda  aree al di sotto della quota altimetrica, ma comunque prossima alla quota di 1200 m.

Contemporaneamente alle attività di taglio, verranno rimossi (solo parzialmente) gli immensi accumuli di detrito che ad oggi sono posti in vari punti del bacino fino a interessare direttamente ed indirettamente i Siti della rete Natura 2000 ZSC (Zona Speciale di Conservazione) “Monte Borla-Rocca Tenerano” n. IT5110008) e ZPS IT5120015 Praterie primarie e secondarie delle Apuane.

Il Piano prevede due fasi, la prima (come si deduce da quanto descritto a pag. 30 dello Studio di Incidenza) esplicitata nella tavola 5p, in cui viene riportata la situazione che si avrà a fine del quinto anno di attività. Alla fine della prima fase il cantiere Fratteta si presenterà con un grande piazzale posto tra quota 1123,30 m e quota 1125,20 m e contornato sul lato ovest da gradoni residui posti a diverse altezze. Verso nord il piazzale di quota 1125 m confinerà con un gradone irregolare con quota 1157,40 m e verso est verrà costruita la viabilità di raccordo. Il Cantiere continuerà in questa fase a essere sviluppato in direzione Nord-Sud, rimanendo compreso a est dal perimetro estrattivo e a ovest dal rilievo che divide questo cantiere da quello di Castelbaito. Il Cantiere Castelbaito presenterà invece una gradonatura più regolare con fronti orientati 35°N con due piazzali di lavorazione, uno a quota 1124 m, l’altro a quota 1146 m.

Contemporaneamente alle attività di coltivazione “verranno ridotti” i depositi di derivati presenti in varie zone della cava, in particolare verrà ridotto il grosso deposito presente nel cantiere Castelbaito, posto sul lato estremo della cava, lato ovest, che è utilizzato come rampa di raccordo tra il piazzale attuale di quota 1137 m e il gradone di quota 1189 m, lasciandolo per quanto necessario alla viabilità di raccordo con il gradone di quota 1175,0 m.

La seconda fase avrà una durata di 5 anni, come la precedente, e dovrebbe comprendere anche il progetto di ripristino ambientale finale. Nel cantiere Fratteta, verrà progressivamente abbassato il gradone posto più a nord, che passerà da 1123,0 a 1113/1114,0 m. Il gradone superiore conserverà la quota 1125,20 m, ma a ovest di questa area verrà creato un gradone unico a quota 1146,0 m e rimodellato il gradone superiore con quota 1157,50 m. Nello stato finale avremo quindi quattro gradoni con le quote 1114,70, discendente sino a quota 1113,30, 1125,20, 1146,0 e 1157,50. Il cantiere verrà quindi allargato verso ovest, con il gradone 1146,0 m che contornerà quello inferiore di quota 1125,20 m. Il cantiere Castelbaito mantiene complessivamente la stessa geometria della prima fase, con il ribassamento del piazzale principale di quota 1126,0 m che verrà portato, nella parte centrale, a quota 1115,60; verrà inoltre ampliato il gradone di quota 1146,50 m. e, a ovest di questa area, il gradone di quota 1175,0 m. sarà portato a quota 1165,0 m. Le viabilità di cava rimangono identiche a quella precedente, modificando una rampa tra quota 1126,0m e quella del piazzale finale di quota 1115,60 m. Contemporaneamente alla fase di coltivazione, secondo i proponenti, verranno recuperati i derivati di estrazione prodotti ed i depositi di detrito presenti a monte e valle dell’area dei servizi, sino ad incontrare l’ammasso roccioso sottostante.  Quindi le rilevanti masse di detriti attualmente presenti non verranno eliminate completamente, ma a quanto si evince dal Piano, resteranno a ricoprire ampie aree della montagna. 

La cava, pertanto, continuerà ad essere coltivata a cielo aperto, utilizzando il tipo di macchinari già in uso, che prevedono tagli in orizzontale con catena diamantata a secco e tagli a filo diamantato per quelli verticali, sia laterali che posteriori. La coltivazione avverrà per bancate che, staccate dal resto dell’ammasso, verranno successivamente sezionate in parti più piccole.

 

 

Problematiche evidenziate

 

1) Piano di ripristino – Progetto di ripristino ambientale

  

Il  PROGETTO DI RISISTEMAZIONE DEL SITO ESTRATTIVO CASTELABAITO-FRATTETA (art. 17 comma 1 lett. d – L.R. n°35/2015 e DPGR n°72/R/2015 Art. 5), a firma del Dott. Agr. Alberto Dazzi, non può essere considerato un reale Piano poiché già il proponente afferma che “La potenzialità del giacimento va ben oltre il periodo di coltivazione progettuale; ciò è confermato dall’osservazione della documentazione geologica a cui si rimanda. Pertanto le tavole di ripristino redatte, pur rappresentando il piano di messa in sicurezza e reinserimento ambientale del sito in ipotesi di sospensione dell’attività dopo l’esaurimento di questi lavori, vanno interpretate come lo “stato attuale” del successivo progetto di coltivazione e l’ipotesi di reinserimento ambientale dell’area come un’azione attuabile allorquando la cava venisse definitivamente dimessa (scelte aziendali, dell’amministrazione comunale o effettivo esaurimento del giacimento)”.

Pertanto tutto quanto scritto e illustrato nel progetto di ripristino rappresenta un puro e inutile esercizio teorico. In realtà il progetto di ripristino dovrebbe condurre, al temine del periodo del Piano, ad avere una situazione di reale recupero del Sito, poiché non è affatto assodato che l’attività di escavazione continui. Solo un ripristino condotto correttamente può consegnare alle future generazioni un Sito che sia, seppur morfologicamente alterato dall’escavazione, almeno in sicurezza dal punto di vista idrogeologico e che assicuri la conservazione e tutela della biodiversità.

Quindi, si rende necessario che i proponenti presentino un reale Piano di ripristino, che, a partire dal primo anno di escavazione, inizi tutte le complesse attività di recupero ambientale del Sito cosicché, al temine dei 10 anni, tutta l’area risulti ambientalmente ripristinata. Occorre infatti che tale Piano si sostanzi con un reale e verificabile cronoprogramma che, a partire dal primo anno del Piano, indichi in modo chiaro e puntuale le azioni di ripristino ambientale e le successioni degli interventi, al fine di poterne verificare lo stato di avanzamento negli anni. Un Piano di coltivazione dovrebbe sempre concludersi con la consegna alle future generazioni di una montagna ambientalmente ripristinata.

Rigettiamo, come non accettabile, la seguente affermazione “Le tavole di ripristino ambientale rappresentano dunque un esempio di “possibile intervento” da attuarsi allorquando l’attuale Società decidesse la dismissione della cava per motivazioni legate essenzialmente al mercato o a cause di natura socio-amministrative”.

I proponenti, con calcolata superficialità su tale tema, affermano che “Il progetto di ripristino e rifunzionalizzazione della Cava Castelbaito-Fratteta viene redatto sia al termine dei primi 5 anni di lavorazione (prima e seconda fase) che al termine dei 10 anni di lavorazione e potrà essere attuato al termine del progetto di coltivazione oggetto di rinnovo autorizzativo qualora la ditta intendesse chiudere il sito estrattivo; in caso contrario l’attività di cava proseguirà con la richiesta di un nuovo atto autorizzativo per i quattro cantieri oggetto di coltivazione” dall’altra, scrivono che “Il progetto di risistemazione, da avviare anche per fasi e contestualmente alla coltivazione in rapporto alla tipologia del materiale escavato, della stabilità dei siti di cava, dei caratteri del contesto paesaggistico, alla circolazione idrica e alle caratteristiche del recupero del sito estrattivo contiene…”.   Quindi i proponenti affermano tutto ed il relativo contrario.

Al progetto di risistemazione del sito estrattivo sono allegati i seguenti elaborati grafici: − Tavola 10p Progetto di risistemazione del sito estrattivo Castelbaito-Fratteta a 5 anni–Planimetria. − Tavola 11p Progetto di risistemazione del sito estrattivo Castelbaito-Fratteta a 5 anni–Sezioni. − Tavola 12p, Progetto di risistemazione del sito estrattivo Castelbaito-Fratteta a 10 anni–Planimetria. − Tavola 13p, Progetto di risistemazione del sito estrattivo Castelbaito-Fratteta a 10 anni–Sezioni.  Ma poi non viene esplicitato quando tutto quanto dichiarato sarà realizzato e non si puntualizza neppure su quali aree del bacino inizieranno gli interventi né si indica una cronologia precisa e verificabile.

 

 

2) Aree demaniali e ripristino

 

Riferimento Studio di incidenza ambientale – Pag. 26. Tavola 5.
Dall’analisi di questa tavola si può vedere come le aree demaniali del Canal Bailo e Perticata non siano più identificabili e per gran parte siano incluse nelle zone di coltivazione. Nelle aree demaniali non sono presenti costruzioni, ma esse sono in parte ricoperte da detriti, che verranno rimossi per il recupero ambientale dell’area. Anche in tal caso tali affermazioni sono solo delle buone intenzioni, senza definire cosa resta al termine dei 10 anni.

 

 

3) Gestione delle acque

 

La gestione delle acque di lavorazione è del tutto analoga a quella delle altre cave, quindi presenta le medesime criticità spesso emerse durante controlli e verifiche: al piede di ogni taglio con filo diamantato le acque sono contenute in un piccolo bacino delimitato da una sponda in marmettola ammassata e da qui, mediante pompa ad immersione, sono inviate a filtri a sacco posizionati sopra serbatoi metallici mobili. L’acqua filtrata viene inviata, per il riciclo, ai serbatoi di accumulo (bozzi). Per le tagliatrici a catena, essendo questa lubrificata da grasso vegetale, viene effettuata una raccolta specifica. I sacchi con marmettola sono stoccati in aree coperte e pavimentate per un determinato tempo, dopo di che la marmettola in parte è utilizzata in cava (per rieste, rampe, letti di ribaltamento) e in parte conferita a ditte autorizzate allo smaltimento.

Considerata l’impossibilità di separare le acque meteoriche dilavanti (AMD) –che attraversano tutte le superfici di cava– da quelle di prima pioggia (AMPP), entrambe sono raccolte in un bacino scavato nel marmo nel punto più basso del cantiere. Queste acque, scorrendo su ampie superfici orizzontali, perdono istantaneamente velocità e depositano già parte del carico solido trasportato e raggiungono il bacino senza metterlo in moto turbolento, evitando il sollevamento del materiale già decantato.   A pag. 5 del Piano di gestione AMD si afferma che “nei versanti che contornano l’area di coltivazione e che quindi scorrono sulle superfici naturali, le acque sono raccolte lungo la viabilità di accesso al cantiere e fatte convogliare nell’alveo del canale Fratteta che passa ad O-NO dell’area di cava. Queste acque non raggiungono l’area di cava e quindi non vengono raccolte e trattate, lasciandole convogliare verso l’impluvio naturale. Le acque che invece ricadono sul versante a nord della zona di coltivazione o sull’area di coltivazione, ma esternamente alla zona di coltivazione attiva vengono fatte confluire in ampi bacini di raccolta ottenuti tagliando la roccia per creare delle zone più depresse, dove possono essere fatte confluire”.

Da quanto affermato, si rileva una forte criticità nella  tutela dell’acquifero dalla marmettola e le  misure risultano assolutamente inadeguate. A tal riguardo si segnala che la ditta è stata oggetto di “diffida” emessa della Regione Toscana D.D. n. 7933/2022.

Dall’esame della documentazione di progetto, emerge chiaramente che la raccolta e il trattamento delle acque inquinate sono effettuati al solo scopo di rispettare gli obblighi di legge (o di recuperare le acque necessarie ai tagli), senza curarsi di quello che dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale:  la protezione dall’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee. Sconcerta che i progettisti, nell’illustrare le misure di gestione delle acque, sembrino inconsapevoli della loro finalità. La finalità della raccolta delle acque immediatamente al piede del taglio è infatti evitare che la marmettola si disperda sulle superfici di cava e, per dilavamento meteorico, si infiltri nelle fratture del marmo andando a contaminare l’acquifero. A che servono allora la raccolta e il trattamento delle acque di lavorazione se poi la gestione complessiva della cava è tale che tutte le superfici sono costantemente invase da fanghi di marmettola? Analogamente, i progettisti sembrano inconsapevoli del fatto che la raccolta e trattamento delle acque meteoriche dilavanti è finalizzata a raccogliere non tanto le acque (di per sé non inquinanti), ma la marmettola (ed eventuali altri inquinanti) da esse trasportata. Così, apparentemente senza rendersi conto della contraddizione, che –grazie allo scorrimento sulle ampie superfici orizzontali di cava– il carico solido (marmettola e terre) trasportato dalle acque dilavanti si depositi su di esse. Lungi dal porsi il problema di ripulire scrupolosamente ripiani e piazzali, ci si compiace di tale deposito, visto che «la marmettola, compattata dal continuo passaggio dei mezzi meccanici, riempie e cementa le fratture presenti rendendo impermeabile l’ammasso roccioso» (si veda il Documento di gestione delle Acque meteoriche dilavanti  a pag. 11 punto 2b  allegato al nuovo Piano di coltivazione) ove si afferma che per la prevenzione dell’inquinamento delle AMD si terranno i piazzali puliti, asportando lo strato di polvere che possono accumularsi, e compattando il sottofondo con il passaggio dei mezzi dopo avere inumidito la superficie, così da creare un substrato compatto e con scarse terre dilavabili).  In altre parole, anziché evitare l’infiltrazione della marmettola nelle fratture carsiche che alimentano l’acquifero, le si riempie fino all’inverosimile confidando che ad un certo punto il compattamento operato dal passaggio delle ruspe sigilli le fessure. Ammessa e non concessa l’efficacia di tale sigillatura, è evidente che, prima del raggiungimento di questo effetto, ingenti quantità di marmettola saranno penetrate nel sistema carsico inquinando l’acquifero. Così come è evidente che ogni taglio al monte e ogni abbattimento di bancata metterà nuovamente alla luce fratture aperte, reiterando ogni volta il ciclo infiltrazione-inquinamento-riempimento-compattazione. In conclusione, tali modalità operative, lungi dal tranquillizzare, testimoniano un deliberato e continuato inquinamento dell’acquifero.

Per quanto concerne la Tutela dell’acquifero si assiste a dichiarazioni prive di credibilità (smentite dai fatti). Solo quando sono costretti ad indicare le misure di tutela adottate i progettisti sembrano rammentarsi che occorre mostrarsi molto scrupolosi e attenti a prevenire ogni inquinamento. Così,  dichiarano che «la prevenzione dall’inquinamento è realizzata tramite un’accurata pulizia degli accumuli di marmettola realizzati a contenimento delle acque residue di lavorazione» … «tutto il materiale giacente dopo l’allontanamento delle ultime acque viene raccolto manualmente o con l’aiuto di un piccolo mezzo d’opera». Alla luce della situazione di fatto nonché della precedente ammissione che la marmettola ricopre le superfici di cava e, compattata dal continuo passaggio dei mezzi, svolge la benefica funzione di cementare le fratture del marmo, l’ipocrisia delle affermazioni sulle procedure per prevenire l’inquinamento è lampante. L’incoerenza tra le affermazioni dell’«accurata pulizia» e delle superfici coperte da marmettola è tale da togliere credibilità all’intero piano di coltivazione.

Tutela dell’acquifero: rischio sottaciuto.  Tenendo in considerazione che nella “Carta delle aree di alimentazione dei sistemi idrogeologici del corpo idrico sotterraneo significativo delle Alpi Apuane” redatta dal Centro di GeoTecnologie dell’Università di Siena, per le rocce carbonatiche permeabili per fratturazione e carsismo sono previste solo tre classi di permeabilità (media, medio-alta, alta): per tali rocce la permeabilità bassa-media non è nemmeno contemplata. Per l’area in oggetto la carta riporta una permeabilità medio-alta. Pertanto l’affermazione sulla permeabilità bassa-media è priva di fondamento.

La relazione Geologica, comunque, riporta diversi elementi che dimostrano l’elevata vulnerabilità all’inquinamento: l’elevata permeabilità del giacimento marmoreo per fratturazione e carsismo; la possibilità di formazione di un acquifero per presenza di un livello argillitico; la mancanza di scorrimento superficiale (salvo con piogge molto intense) poiché le acque si infiltrano nel substrato roccioso; la presenza, sul fronte orientale della cava Castelbaito, di un livello argillitico che «costituisce sicuramente una direttrice di infiltrazione profonda delle acque meteoriche».

Come abbiamo già evidenziato più sopra, a causa di tale vulnerabilità sarebbe necessario adottare accorgimenti (in primo luogo il costante mantenimento di una scrupolosa pulizia delle superfici di cava) volti a evitare che le acque meteoriche dilavino marmettola e altri inquinanti e, infiltrandosi nelle fratture carsiche, li trascinino nell’acquifero. Al contrario, come si è visto, l’accorgimento principale adottato è lasciare sui piazzali spessi strati di terre e marmettola che, «compattata dal continuo passaggio dei mezzi meccanici, riempie e cementa le fratture presenti rendendo impermeabile l’ammasso roccioso».  Questa autodenuncia è la prova più evidente che, anziché tenere scrupolosamente pulita la cava, si favorisce la penetrazione della marmettola nelle fratture confidando sul fatto che, prima o poi, queste saranno completamente intasate dalla marmettola stessa e che, comunque, le acque infiltratesi «vanno ad alimentare una circolazione sotterranea di cui si perdono le tracce».

Non si può dunque sostenere che il progetto della cava abbia prestato le dovute attenzioni ad evitare l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee.

Dalla lettura della storia delle Cave Castelbaito-Fratteta risulta in modo lampante ed evidente che i concessionari fino ad oggi abbiano gestito le lavorazioni con grande superficialità contravvenendo alle minime indicazioni e prescrizioni emesse dagli organi competenti e mettendo spesso in atto azioni che hanno portato a estese e gravi inadempienze che sono culminate con evidenti danni all’ambiente e alla biodiversità.  Oltre alla più volte richiamata “diffida” emessa della Regione Toscana D.D . n. 7933/2022, sono numerosi i provvedimenti emessi dalle autorità competenti che rilevano gravi e perpetrate azioni ai danni dell’ambiente, richiamati anche nella citata DD.

Per quanto concerne l’importante e critica connessione cava-sorgenti si rileva che il rischio è sottaciuto.  Per esempio già nella Relazione integrativa al S.I.A. del marzo 2014 (paragrafo 2.4.2 Vulnerabilità degli acquiferi) si riportava una prova di monitoraggio idrogeologico effettuata nel novembre 2011 immettendo spore di licopodio colorate in una frattura della cava e monitorando le sorgenti Carbonera, Pizzutello, Ravenna (comune di Carrara) e la sorgente Vinca-Risottano (comune di Fivizzano). La relazione riportava che dai risultati «è stato possibile evidenziare l’assenza di una connessione idraulica tra la cava Castelbaito-Fratteta e le sorgenti monitorate». Non abbiamo nulla da obiettare a queste conclusioni, ma facciamo osservare che esse –sottacendo la possibilità di connessioni con altre sorgenti– appaiono tendenziose, nel senso che lasciano sottintendere l’assenza del rischio di inquinamento delle sorgenti. Dalla già citata “Carta delle aree di alimentazione dei sistemi idrogeologici … delle Alpi Apuane”, infatti, si desume che la cava si trova in una zona in cui i limiti delle aree di alimentazione dei sistemi idrogeologici sono solo presunti (si veda la Carta delle aree di alimentazione dei sistemi idrogeologici del corpo idrico sotterraneo significativo delle Alpi Apuane – Univ. Siena). L’incertezza di tali limiti comporta la possibilità che la cava sia potenzialmente connessa a sorgenti del sistema idrogeologico del Lucido (circa 20 sorgenti), Gorgoglio-Pizzutello (7 sorgenti), Canalie (circa 25 sorgenti), Cartaro (circa 15 sorgenti). Pertanto un esame completo e obiettivo  in merito alla  “Vulnerabilità degli acquiferi” avrebbe dovuto essere: data la permeabilità medio-alta del marmo e la diffusa presenza di marmettola, la contaminazione dell’acquifero è certa; le 4 sorgenti monitorate sono risultate non connesse alla cava; è tuttavia possibile (anzi certa) la connessione della cava con una o più delle altre sorgenti alimentate dall’acquifero.

Tutela dell’acquifero: rischi non considerati. Se i rischi dell’infiltrazione della marmettola nelle fratture presenti nei gradoni e nei piazzali di cava hanno ricevuto ben scarsa considerazione, quelli di infiltrazione di marmettola e terre dall’intero complesso dell’area estrattiva non sono stati considerati per nulla.

Non si è cioè tenuto conto che sono fonte di tali inquinanti particolati anche i cumuli di terre e detriti nelle aree di stoccaggio provvisorio, le rampe d’arroccamento e le loro scarpate, la stessa marmettola utilizzata per realizzare le sponde al piede dei tagli, i detriti per i letti di ribaltamento e ogni superficie contenente terre o marmettola (compresi gli attuali ravaneti).   Anche i cumuli di detriti e i ravaneti sono una fonte rilevante di marmettola e terre che, dilavate dalle acque meteoriche, inquinano l’acquifero. Pertanto le acque meteoriche dilaveranno da tali superfici marmettola e terre, trascinandole nell’acquifero ad ogni frattura incontrata. Va infatti precisato che l’infiltrazione nel sistema carsico non avviene soltanto all’interno dell’area di cava, ma anche attraverso le fratture presenti nel substrato roccioso dei ravaneti e quelle presenti nell’alveo dei corsi d’acqua (che sono quasi perennemente asciutti proprio perché le acque dilavanti si infiltrano nel substrato fratturato). Ed infatti nella citata Diffida “diffida” emessa della Regione Toscana D.D. n. 7933/2022 era ben evidenziato il grave stato di compromissione del Fosso Fratteta invaso da marmettola.

 

 

4) Impatto paesaggistico sottovalutato e Misure di mitigazione e compensazione

  

Secondo i proponenti, «l’attività della cava Castelbaito-Fratteta si svolge in questo sito sin dalla seconda metà del 1800 e l’impatto ambientale generato dalla stessa, specialmente a carico del suolo e sottosuolo e della vegetazione, si è ormai assestato nel corso degli anni». Il piano di coltivazione, oltre a collocarsi a quote prossime a 1200 m s.l.m. e a comportare un ampliamento verso il basso, prevede la fusione dei cantieri di cava in un’unica cava con un impatto paesaggistico rilevante ed innegabile (si veda relazione paesaggistica e tavole allegate). È evidente un rilevante impatto paesaggistico che, peraltro, aumenterà ulteriormente con i successivi piani di coltivazione già previsti. Va infatti considerato che il piano prevede fin d’ora che sarà seguito da altri piani di coltivazione del bacino del Sagro-Borla (effetto cumulativo), visto che «la potenza del giacimento marmoreo è tale da consentire la coltivazione per un periodo assai più lungo di quanto è stato previsto con il presente progetto. Gli elaborati grafici che identificano il più probabile stato finale sono al tempo stesso rappresentativi anche del più probabile Stato Attuale nel successivo piano». Ne consegue che con i futuri piani di coltivazione l’impatto paesaggistico risulterà ulteriormente aggravato. A tal proposito riteniamo molto deprecabile che gli Enti preposti al rilascio dell’autorizzazione accettino di valutare gli impatti (compreso quello paesaggistico) in maniera così frammentaria (un piano di coltivazione per volta) anziché esigere, per la valutazione, la presentazione del piano complessivo a lungo termine. La frammentazione in tanti piani di coltivazione successivi (ciascuno con impatti ovviamente limitati rispetto al precedente), infatti, non consente di valutare adeguatamente il loro impatto cumulativo.

Nessun impegno è stato speso per individuare utili e reali misure di compensazione, da attuare nell’immediato, rimandando ad un futuro “ripristino ambientale”. Nelle varie relazioni tecniche/paesaggistiche/valutazione incidenza, infatti, si limitano ad affermare intendimenti generici e che saranno ipoteticamente attuati interventi di ripristino ambientale dei luoghi al termine del progetto di coltivazione, specificando poi che l’eventuale ripristino ambientale “potrà essere attuato al termine del progetto di coltivazione oggetto di rinnovo autorizzativo qualora la ditta intendesse chiudere il sito estrattivo”.

Il progetto di coltivazione prevede l’asportazione controllata del detrito posto nell’area sottostante la cava Castelbaito (vedere elaborati progettuali), comportando la diminuzione dell’impatto visivo generato dall’attività di cava. Tali misure suonano come una presa in giro. Infatti, per quanto riguarda il ripristino ambientale al termine della coltivazione, si è già osservato che –essendovi il fermo proposito di proseguire per lungo tempo la coltivazione– il ripristino sarà rinviato di piano in piano. Per quanto riguarda la mitigazione degli impatti pregressi, il confronto degli elaborati progettuali mostra che “l’asportazione controllata del detrito” riguarda in realtà quello che deve essere necessariamente rimosso per consentire l’ampliamento e la fusione in un’unica cava dei tre cantieri, rimanendo parte dei grandi ravaneti che impattano a Sud Est, in particolare sul Fosso Fratteta occupando in parte il Sito della rete Natura 2000.  Eppure, visti gli estesi e deturpanti ravaneti della cava, non è certo difficile individuare nella loro rimozione una concreta misura di mitigazione.

Nello Studio di Impatto Ambientale – Sintesi non tecnica – Elaborato  N,  presentato dal proponente (Pag. 32-33) è ben riportato il contenuto della Scheda 4 dell’Allegato 5 del PIT, in cui è esplicitato che “il Bacino Monte Sagro Morlungo, presenta diversi elementi di criticità legati alla perdita dei valori estetico-percettivi, geomorfologici e naturalistici dell’alto bacino 33 glacio-carsico compreso tra il Monte Borla e il Monte Sagro per l’estesa presenza di cave e discariche di cava (ravaneti)”.  Inoltre nel PIT è sottolineato l’elevato impatto paesaggistico determinato dall’alta densità della rete stradale di servizio alle cave e nelle aree contermini (area Parco). Gli obiettivi indicati dal PIT sono la tutela del valore paesaggistico, geomorfologico e naturalistico dell’alto bacino 22 glacio-carsico compreso tra il Monte Borla e il Monte Sagro anche con misure atte a migliorare la compatibilità paesaggistica della attività di coltivazione delle cave.

Ma le uniche parole che i proponenti riescono a contrapporre sono che “Al fine di valutare l’evoluzione futura dell’ambito territoriale in assenza del progetto è necessario premettere che l’attività della cava Castelbaito-Fratteta si svolge in questo sito sin dalla seconda metà del 1800 e che l’impatto ambientale generato dalla stessa, specialmente a carico del suolo e sottosuolo e della vegetazione, si è ormai assestato nel corso degli anni”.  Quindi se ne deduce che  i proponenti nello Studio di Impatto Ambientale – Sintesi non tecnica – Elaborato  N, pur riconoscendo che l’apertura della cava Castelbaito-Fratteta ha modificato le caratteristiche geomorfologiche e paesaggistiche del versante nord del M. Borla, caratterizzandone fortemente la percezione visiva anche attraverso i ravaneti, si premurano di precisare che «tale assetto paesaggistico si è quindi consolidato entrando a far parte delle caratteristiche intrinseche (“genius loci”) della zona e conferendo i caratteristici connotati dell’ambiente apuano». In pratica, dunque, la relazione sostiene implicitamente che anche le brutture, in quanto caratterizzanti il paesaggio, sono ormai diventate un genius loci da mantenere.

 

 

5)  Asportazione dei detriti e ravaneto esistenti

 

I detriti d’escavazione sono accumulati nei piazzali, in aree di stoccaggio temporaneo, nelle quali viene effettuata una grigliatura per separare le scaglie dalle terre e in ampie distese che lambiscono i Siti natura 2000 ed in parte li intercettano.

L’asportazione del detrito non è affatto così semplice da attuarsi. A parte la problematica connessa all’installazione di un frantoio mobile (di cui trattiamo successivamente nella presente nota), resta la problematica dell’enorme mole di lavoro che tale rimozione (ribadiamo parziale) dei ravaneti determina. Secondo i calcoli del proponente, solo una volta che sarà transitabile l’arteria stradale gestita dalla provincia di Massa-Carrara, attraverso i paesi di Tenerano-Monzone potrà iniziare tale rimozione.  Sono stimati giornalmente n. 4 camion per trasporto del marmo in blocchi in direzione di Carrara e 12 per il trasporto dei detriti attraverso i paesi di Tenerano-Monzone. Quindi la strada comunale (del Comune di Carrara) che si sviluppa da Foce di Pianza-Campocecina fino al congiungimento con la provinciale Carrara-Fosdinovo sarà sottoposta al transito di 16 camion per un totale di 32 viaggi giornalieri.

Se a questi si aggiungono i futuri transiti nel caso di riapertura delle altre cave del bacino del Monte Sagro si arriva ad un numero di transiti che potrebbe facilmente raddoppiare il numero di 32 viaggi, arrivando approssimativamente ed indicativamente a 64 viaggi. Non si comprende in qual modo una infrastruttura pensata anche per il turismo verso Campocecina, possa sostenere una tale mole di viaggi di camion. Esiste a tal proposito una indagine sull’impatto sulla tenuta delle infrastrutture, oltre che sull’impatto delle polveri e del rumore attraverso le aree del Parco delle Apuane attraversate?

Non risulta uno studio in tal senso. Qual è l’impatto cumulato sull’ambiente dei camion che da Foce di Pianza giungono a fino a valle? Quale sulle componenti aria, acqua, rumore?

Dallo studio di incidenza si rileva solamente in modo assolutamente limitato che: le viabilità di cava rimangono identiche a quella precedente, modificando solo una rampa tra la quota 1126,0 m e quella del piazzale finale di quota 1115,60 m. Possibili impatti indiretti possono riguardare gli habitat più prossimi all’attività estrattiva e viabilità che sono i più prossimi all’area estrattiva; gli habitat qui presenti sono per loro natura stabili e non mostrano particolari criticità rispetto all’attività estrattiva a meno che questa non comporti la distruzione dell’habitat stesso. E viene scritto: “TIPO DI IMPATTO: INDIRETTO, A BREVE TERMINE, PROBABILE!”

A pag. 127 dello Studio di Incidenza si afferma che “Bisogna inoltre considerare che le emissioni maggiori legate al trasporto su strada sterrata comportano un allontanamento all’area di progetto, in quanto i camion vanno verso la Foce di Pianza e quindi si allontanano dalla cava e dai siti Natura 2000, e data l’operatività a meno di forte vento le polveri rimangono all’interno del bacino estrattivo. Per ulteriori informazioni si rimanda al documento Elaborato Q “Valutazione delle emissioni in atmosfera”, allegato alla documentazione di progetto”. Quindi non viene effettuata  una valutazione cumulativa sugli effetti determinati dagli altri Siti che entreranno in attività (Bacino del M. Sagro)  e non si considerano incidenze ed impatti in relazione all’attraversamento dei mezzi pesanti lungo tutta la strada da Foce di Pianza fino alla Strada Provinciale Carrara-Fosdinovo ove insistono Siti Natura 2000 e aree del Parco regionale delle Alpi Apuane. Senza considerare che non viene affettuata alcuna valutazione in merito agli impatti sull’attraversamento dei centri abitati interessati dal flusso dei mezzi pesanti (Marciaso, Tenerano in prima istanza).

Occorre ben considerare quanto scrive in modo superficiale ed elusivo il proponente; a Pag. 130 – tag. 35 si afferma che “Il Bacino Monte Borla presenta un’unica cava attiva ovvero Cava Castelbaito-Fratteta. Tale unità estrattiva è ubicata in prossimità del Bacino Monte Sagro Morlungo, dove attualmente è prevista la riattivazione di una cava attualmente dimessa (Vittoria) ed è presente una cava attiva (Crespina II) anche se non operativa, ed è prevista da PABE la rimozione degli estesi ravaneti che da tempo occupano gran parte della superficie del bacino. Gli effetti cumulativi potrebbero pertanto essere di tipo “on site”, interni al bacino stesso in esame, ma anche off-site per i trasporti che utilizzano la stessa via di arroccamento, sia per detriti e blocchi prodotti durante l’attività, sia per la rimozione dei detriti in fase di riqualificazione del Bacino Monte Sagro Morlungo. L’impatto cumulativo può essere contenuto se verrà adeguata la strada comunale che scende sul versante nord delle Alpi Apuane verso Monzone ed ulteriormente, al momento del passaggio alla coltivazione in sotterraneo nella cava Castelbaito-Fratteta”. Non si capisce come possa venire ridotto l’impatto cumulativo quando su tale strada si avranno i passaggi di ben 32 mezzi pesanti solo dal bacino Fratteta-Crespina a cui in un prossimo futuro se ne potrebbero aggiungere altrettanti. Tale affermazione non risponde al vero e non affronta le problematiche sopra esposte.

 

 

6)  Frantoio mobile

  

La ditta, nel proporre l’installazione di un frantoio mobile si basa sul presupposto infondato che la frantumazione delle scaglie consenta di ridurne il volume e, perciò, a parità di viaggi di camion, di allontanare una maggior quantità di detriti (favorendo così la rimozione dei ravaneti esistenti e riducendone l’impatto paesaggistico e idrogeologico).

In realtà un determinato volume di scaglie grossolane, se sottoposto a frantumazione, non si riduce di volume ma, al contrario, AUMENTA il proprio volume (in misura tanto maggiore quanto più finemente viene macinato); perciò per essere trasportato richiede un numero MAGGIORE di viaggi; il frantoio dunque non solo non favorisce il raggiungimento dell’obiettivo dichiarato, ma è addirittura contrastante con esso.

A tale conclusione si può arrivare anche in maniera intuitiva considerando che un blocco di 1 m3 (privo di vuoti), se frantumato in scaglie, occupa un volume maggiore (a causa dei vuoti che si vengono a creare tra una scaglia e l’altra); pertanto procedendo con la frantumazione a granulometrie inferiori, aumenta progressivamente il volume occupato. D’altronde, nel campo dell’idrogeologia e dei materiali da costruzione, è ben noto che riducendo la granulometria aumenta la porosità (cioè la % di vuoti); ecco ad es. la porosità di alcuni materiali: ghiaia grossa 28%, ghiaia media 32%; ghiaia fine 34%; sabbia grossa 39%; sabbia media 41%; sabbia fine 43%; silt 46%.

Vediamo, quindi, un esempio: un blocco di 1 m3 (peso 2,7 t), se macinato in ghiaia grossa cresce di volume ancora di più, occupando ben 1,39  m3.  Infatti, considerato che nel cumulo di ghiaia grossa il 28% è costituito da vuoti e il 72% da pieni, il peso specifico del cumulo di marmo diventa 2,7 x 0,72 = 1,94 t/m3; il volume finale del cumulo (restando il peso invariato: 2,7 t) diventa perciò 2,7 / 1,94 = 1,39 m3. Analogamente, il volume finale diventa 1,64 m3 se il blocco è ridotto a sabbia grossa e 1,85 m3 se ridotto a silt (cioè limo).

È presumibile che le «elementari regole geometriche» (sebbene non esplicitate) si riferiscano ai grossi vuoti presenti tra le scaglie caricate nel cassone del camion e alla convinzione errata che, frantumando le scaglie, tali vuoti sarebbero riempiti dai risultanti elementi di minor granulometria, riducendo così il volume totale del materiale in cumulo. Tale considerazione, a prima vista ragionevole, non tiene però conto del fatto che dalla frantumazione di ogni scaglia (priva di vuoti) si generano molti frammenti, tra i quali vengono a crearsi numerosi nuovi vuoti. Resta dunque da stabilire se il volume dei nuovi vuoti (piccoli ma numerosi) è inferiore o superiore a quello dei vuoti presenti tra le scaglie di partenza (grossi ma pochi).

A tal fine, considerato che la porosità è un parametro essenziale e ben studiato nell’idrogeologia, utilizziamo i dati di letteratura esistenti[1]. La tabella 1 riporta, per mezzi di diversa granulometria, la porosità (il rapporto tra il volume dei vuoti e quello del mezzo poroso), cioè la frazione (o la percentuale) del mezzo occupata da vuoto (che può essere riempito da aria od acqua).

 

Tab. 1. Relazione indicativa tra classi di granulometria e porosità di diversi sedimenti, mediamente classati (Fonte: corso idrogeologia, A. Fileccia, lezione n. 5). I valori in grassetto, assenti nella fonte citata, sono stati estrapolati (i primi due) o interpolati (i due successivi) dai valori adiacenti.

Materiale Granulometria (mm) Log10 diametro Porosità
Massi (scaglie) > 256 2,7093 0,165
Ciottoli 64 – 256 2,1072 0,223
Ghiaia grossolana 16 – 64 1,5051 0,28
Ghiaia media 8 – 16 1,0536 0,32
Ghiaia fine 4 – 8 0,7526 0,34
Ghiaia molto fine 2 – 4 0,4515 0,36
Sabbia grossolana 1/2 – 2 0,0000 0,39
Sabbia media 1/4 – 1/2 -0,4515 0,41
Sabbia fine 1/8 – 1/4 -0,7526 0,43
Sabbia molto fine 1/8 – 1/16 -1,0536 0,44
Limo 1/16 – 1/256 -1,8062 0,46

 

Va precisato che i valori in grassetto non sono forniti dall’autore citato, ma sono stati estrapolati o interpolati dai dati adiacenti: il grafico della Fig. 1 mostra tuttavia che le stime calcolate per questi dati sono del tutto ragionevoli, ponendosi in continuità con gli altri dati nel grafico semilogaritmico.

 

Fig. 1. Relazione grafica tra granulometria (suo logaritmo naturale) e porosità di diversi sedimenti, ricavata dai dati della Tab. 1. I cerchi vuoti indicano valori interpolati o estrapolati dai valori adiacenti. Sono riportati anche la formula della regressione polinomiale di secondo grado e il coefficiente di determinazione R2, il cui valore molto elevato (prossimo a 1) testimonia l’ottimo adattamento della curva ai punti.

 
Basta uno sguardo alla Tab. 1 o alla Fig. 1 per rendersi conto che la porosità aumenta progressivamente al diminuire della granulometria, passando da circa il 17% per le scaglie (di granulometria analoga a quella dei massi) a circa il 46% per i limi (con granulometria analoga a quella della marmettola). Abbiamo già dunque la risposta qualitativa al nostro quesito: il volume dei nuovi vuoti generati dalla frantumazione delle scaglie è superiore a quello dei grossi vuoti presenti tra le scaglie di partenza.

Quindi, concludendo, la risposta quantitativa è mostrata nella Tab. 2. La colonna 7 mostra che, frantumando i blocchi, il volume in mucchio aumenta tanto più quanto minore è la granulometria del prodotto: di circa il 20% per le scaglie, 29% per i ciottoli, del 39% per la ghiaia grossolana, ecc., fino all’85% per i limi. I dati più pertinenti all’attività del frantoio di progetto sono quelli della colonna 9 che mostra l’incremento % del volume derivante dalla frantumazione delle scaglie in mucchio: regolando le mascelle del frantoio per ottenere ciottoli, questi occuperanno un volume superiore del 7,5% a quello delle scaglie di partenza; per il prodotto “ghiaie grossolane” l’incremento di volume sarà del 16%; per le ghiaie medie sarà del 22,8%.

 

Tab. 2. Calcolo del peso di volume in mucchio delle varie classi granulometriche e del volume in mucchio derivante dalla frantumazione. Più si riduce la granulometria, più aumenta il volume del prodotto.

 
 
 
1

Materiale

 
 
 
2

Classi granulom. (mm)

 
 
 
3

Porosità
(frazione
dei vuoti)

 
 
 
4

Frazione dei pieni  (a)

 
 
 
5

Peso di volume in mucchio (t/m3)(b)

Dopo frantumazione
di 1 m3 di blocchi
Dopo frantumazione
di 1 m3 di scaglie
6

Volume in mucchio (m3)(c)

7

Incremento
% del
volume

8

Volume in mucchio (m3)(d)

9

Incremento
% del
volume

Blocchi 0 1 2,700
Massi
(scaglie)
> 256 0,165 0,835 2,241 1,20 19,8
Ciottoli 64 – 256 0,223 0,777 2,093 1,29 28,7 1,07 7,5
Ghiaia
grossolana
16 – 64 0,28 0,720 1,944 1,39 38,9 1,16 16,0
Ghiaia media 8 – 16 0,32 0,680 1,836 1,47 47,1 1,23 22,8
Ghiaia fine 4 – 8 0,34 0,660 1,782 1,52 51,5 1,27 26,5
Ghiaia molto fine 2 – 4 0,36 0,640 1,728 1,56 56,3 1,30 30,5
Sabbia
grossolana
1/2 – 2 0,39 0,610 1,647 1,64 63,9 1,37 36,9
Sabbia
media
1/4 – 1/2 0,41 0,590 1,593 1,69 69,5 1,42 41,5
Sabbia fine 1/8 – 1/4 0,43 0,570 1,539 1,75 75,4 1,46 46,5
Sabbia
molto fine
1/8 – 1/16 0,44 0,560 1,512 1,79 78,6 1,49 49,1
Limo 1/16-1/256 0,46 0,540 1,458 1,85 85,2 1,55 54,6

(a)  calcolato come: (1 – frazione dei vuoti);
(b)  calcolato come: (frazione dei pieni) · (peso di volume del marmo in blocchi) = (frazione dei pieni) · 2,7;
(c)  calcolato come: [peso di volume in mucchio del marmo in blocchi (pari a 2,7)] / (peso di volume in mucchio del materiale derivante dalla frantumazione);
(d)  calcolato come: [peso di volume in mucchio delle scaglie (pari a 2,241)] / (peso di volume in mucchio del materiale derivante dalla frantumazione).

 

In poche parole, presumendo che il frantoio produca materiali compresi tra la classe granulometrica dei ciottoli e quella delle ghiaie medie, il prodotto risultante avrà un volume superiore (dal 7% al 23% circa) a quello delle scaglie di partenza e il suo trasporto richiederà pertanto un maggior numero di viaggi.

Va precisato che i valori da noi ottenuti non hanno alcuna pretesa di previsione esatta, ma sono da ritenersi indicativi poiché anche altri fattori influiscono sulla porosità (il fattore di forma dei granuli, la loro classazione granulometrica, etc.). Tuttavia la direzione univoca delle variazioni di porosità (incremento progressivo dei vuoti con la riduzione della granulometria del prodotto frantumato) è indubbia e smentisce la convinzione che la frantumazione consentirebbe una riduzione del volume totale e pertanto, a parità di viaggi, permetterebbe di allontanare dalla cava una maggior quantità di detriti.

 

 

7) Bilancio d’impatto ambientale

 

Nella relazione Studio d’Incidenza è stata utilizzata per la valutazione degli impatti la metodologia della check list matrice componenti ambientali-azioni ponderazione delle componenti, delle azioni, degli impatti significativi matrice di valutazione degli impatti critici. Si tratta di una metodologia che, pur nella sua schematicità, consente una sufficiente individuazione degli impatti più critici. Contestiamo, invece, il passo successivo –la metodologia impiegata per il Bilancio d’impatto ambientale– in quanto calcola la media degli impatti di tutte le azioni di progetto su tutte le componenti ambientali considerate. È evidente che si tratta di una metodologia concettualmente inaccettabile. Lo si capisce facilmente facendo un esempio estremo: supponiamo che una data azione di progetto produca un grave danno su una o più specie di anfibi, tale da essere registrato come impatto critico (valore = -18). Se le altre 11 azioni (supponendo che in tutto vi siano 12 azioni) non esercitano sugli anfibi alcun impatto (valore = 0), il bilancio d’impatto ambientale, mediando i 12 impatti (- 18/12 = -1,5), fornirebbe il valore rassicurante di -1,5 (impatto di lieve entità). In altre parole, il grave danno sulle specie di anfibi interessate resterebbe inalterato, ma il bilancio d’impatto ambientale lo maschererebbe come impatto di lieve entità. Mediando ulteriormente con gli altri impatti su invertebrati, rettili, uccelli, mammiferi, il bilancio d’impatto ambientale potrebbe fornire un impatto sulla componente “fauna” ancora inferiore (salvo il caso che una o più azioni siano altrettanto o più devastanti su tutti gli animali). In sintesi, la metodologia di bilancio d’impatto ambientale adottata –mediando l’impatto di tutte le azioni su tutte le componenti ambientali della fauna, della flora e degli habitat– produce l’effetto di mascherare gli impatti critici fornendo invariabilmente un impatto globale rassicurante (salvo casi del tutto eccezionali). Non desta perciò alcuna sorpresa che la relazione concluda «si tratta comunque di valori estremamente modesti e ricadenti nell’ambito degli impatti sostenibili». In conclusione, si tratta di una metodologia da respingere, a favore di altre che tengano in adeguato conto gli impatti critici. Per inciso, si fa osservare che le relazioni di progetto precisano a più riprese che la società Walton (che coltiva le due cave già da molti anni) intende proseguirne la coltivazione per un periodo assai più lungo di quello finora autorizzato, tanto che «pertanto gli elaborati grafici che identificano il più probabile Stato Finale sono al tempo stesso rappresentativi del più probabile Stato Attuale nel successivo piano e programma di lavoro». Considerata tale previsione non è corretto inserire nel bilancio d’impatto ambientale anche l’effetto delle azioni della fase di ripristino finale che, avendo impatti generalmente positivi o solo debolmente negativi, maschera ulteriormente gli impatti critici sebbene essa, con ogni probabilità, non sarà mai attuata (se non tra molti anni, alla dismissione definitiva della cava).

 

 

Conclusioni

 

Chiediamo pertanto di respingere il Piano di coltivazione poiché la documentazione di progetto è infarcita di affermazioni talmente inconsistenti da rivelare una ben scarsa considerazione della competenza e della stessa intelligenza dei funzionari preposti al rilascio dell’autorizzazione.

Carrara, 26 agosto 2022
Legambiente Carrara

 

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