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Le trovate del Parco Apuane: la beffa del frantoio Arnetola-Acquabianca

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Firenze, lì 14 agosto 2015

Al Parco Regionale delle Alpi Apuane
parcoalpiapuane@pec.it

p.c.:

Comune di Minucciano (LU)
comune.minucciano@postacert.toscana.it

Comune di Vagli di Sotto
comune.vaglisotto@postacert.toscana.it

ARPAT
arpat.protocollo@postacert.toscana.it

 

Oggetto: Osservazioni al frantoio mobile Arnetola (Minucciano) e Acquabianca (Vagli di Sotto) (Consorzio Marmi della Garfagnana)

 

Si esprime una radicale opposizione sia al frantoio in oggetto –per l’impatto ambientale che determinerebbe– sia alla delibera n. 5/2015 del Consiglio direttivo del Parco che consente deroghe al divieto di utilizzo di frantoi mobili nelle aree contigue di cava poiché –sulla base di presupposti scientificamente infondati– introduce nel Parco lavorazioni di tipo industriale (che dovrebbero restare all’esterno di esso).

 

La delibera 5/2015: viziata da illogicità manifesta

La ratio della delibera viene motivata dalla considerazione che «la frantumazione delle scaglie all’interno dei siti di cava comporterebbe la possibilità di allontanare una maggiore quantità di tale materiale, a parità di numero di viaggi, facilitando sia la rimozione dei ravaneti esistenti sia l’allontanamento del detrito prodotto durante l’attività di escavazione», contribuendo così a ridurre gli impatti negativi (paesaggistici ed idrogeologici) dei ravaneti e il rischio idrogeologico.

I lodevoli intenti dichiarati sono tuttavia basati su presupposti del tutto infondati, visto che la frantumazione delle scaglie non riduce il volume del materiale ma, al contrario, lo aumenta[1]. Il risultato è l’esatto contrario di quello previsto ed auspicato: a parità di viaggi si allontanerebbe una minore quantità di materiale, aumentando sia gli impatti negativi dei ravaneti sia il rischio idrogeologico. Per una spiegazione più approfondita si rimanda alla nostra dell’11/8/15 (richiesta di revisione delle considerazioni istruttorie sul frantoio mobile Castelbaito-Fratteta).

La gravità della delibera tuttavia non si limita all’infondatezza delle motivazioni dichiarate nella premessa: la delibera, infatti, non vincola affatto l’utilizzo dei frantoi alla rimozione dei ravaneti esistenti ma, in maniera surrettizia (introducendo la congiunzione “o”), ne consente l’utilizzo anche per la sola gestione dei detriti prodotti dall’attività di cava. Il testo della delibera prevede infatti «l’utilizzo di un frantoio mobile finalizzato alla gestione dei detriti prodotti dalla attività di coltivazione di una cava in esercizio o alla rimozione di un ravaneto esistente…». Con questa “o” tutta l’insistenza sui lodevoli intenti (anche se basati su presupposti errati) di rimuovere i ravaneti esistenti rivela la sua funzione di specchietto per le allodole, distraendo l’attenzione da quello che sembra il vero intento: consentire i frantoi mobili per la normale gestione dei detriti prodotti dalle cave. L’intento, peraltro, sembra pienamente confermato dai primi due progetti di frantoi mobili presentati (Castelbaito-Fratteta e Arnetola-Acquabianca), visto che entrambi non comportano la rimozione di ravaneti.

Considerato che all’impatto dei frantoi mobili si aggiungerebbe quello legato all’accresciuto numero di viaggi necessari per l’allontanamento delle scaglie dalle cave, la delibera si tradurrebbe unicamente in un vantaggio economico per le cave che, anziché conferire le scaglie ad un frantoio industriale, potrebbero svolgere in proprio tale attività nelle aree contigue. Pertanto il risultato dell’operazione, comportando l’introduzione di attività di tipo industriale e un aumento dell’impatto ambientale, è contrario alle finalità istituzionali del Parco.

 

Il frantoio Arnetola-Acquabianca
Attività industriale: subito e certa. Rimozione dei ravaneti: futura e ipotetica

Il frantoio mobile alternerebbe la propria posizione tra il sito pressola cava Piastrabagnata (Arnetola), dove sarebbero conferiti i detriti delle cave Piastra Bagnata, Colubraia, Penna dei Corvi I-II, Borella, e il sito di Acquabianca (ad una certa distanza dalla cava Scaglia-Bardiglio) che servirebbe le cave Piastramarina, Carcaraia, Scaglia-Bardiglio, F e L di Orto di Donna (Fig. 1). Il progetto prevede inoltre che diverse altre cave, una volta ottenuta l’approvazione del piano di coltivazione, potranno conferire detriti al frantoio stesso e ad altri frantoi successivamente installati.

Fig. 1. Le frecce punteggiate indicano i tragitti supplementari (in linea d’aria) interni al Parco indotti dal frantoio mobile (alternativamente spostato tra i siti A e B) per conferire ad esso i detriti delle cave che, al momento, sarebbero servite.

 

Con questo progetto il Consorzio Marmi della Garfagnana si prefigge di installare frantoi mobili di servizio alla gestione dei detriti prodotti dalle cave per il completo riutilizzo di tutto il materiale estratto: «Lo scopo primario, in caso di verifica positiva del presente progetto pilota e degli altri eventualmente presentati, è quello di poter richiedere in futuro l’installazione di altri frantoi, così da arrivare progressivamente ad eliminare la problematica della gestione dei sottoprodotti, compreso il loro stoccaggio provvisorio nei ravaneti…» (ma non è vietato? N.D.R.). «Scopo secondario ma parimenti importante, l’installazione di questo frantoio consentirà nel breve la gestione diretta del materiale di scarto di alcune cave che per la distanza dai centri di raccolta-trasformazione risultano fortemente penalizzate» … «il tutto si potrà tradurre in una più rapida azione di allontanamento dei sottoprodotti dalle cave e rimozione di vecchi e nuovi ravaneti» … «tali strutture, dotate di vaglio, consentiranno di selezionare il materiale e rendere più mirata la loro collocazione sul mercato…».

Come si deduce da queste dichiarazioni progettuali, il Consorzio si prefigge di installare nel Parco vere e proprie attività industriali a servizio di numerose cave per meglio collocare sul mercato i loro sottopro­dotti. La rimozione dei ravaneti è citata solo come ipotetica («si potrà tradurre…»), ma il progetto non prevede alcun intervento in tal senso. Riferendosi al sito di Piastrabagnata, il progetto precisa scaltramente che «tale ubicazione è finalizzata allo sviluppo di un fattivo progetto di rimozione progressiva dell’ampio ravaneto, che si prevede di iniziare dalla parte sommitale del cumulo» … «il frantoio permetterà di strutturare un progetto esecutivo per la progressiva rimozione del detrito del ravaneto che potrà essere anche una fonte di alimentazione diretta del macchinario» (Relazione tecnica, par. 7.1), ma si guarda bene da prendere impegni, nemmeno futuri. Anche nel par. 9.0 della Relazione tecnica l’uso dei verbi conferma i reali intenti: «il frantoio sarà alimentato con il sottoprodotto derivante dalla lavorazione delle cave…», mentre «una parte potrà man mano essere prelevata dai ravaneti…».

Nel concreto, passando dalle lusinghe ai fatti, il progetto non solo non prevede alcuna rimozione di detriti dai ravaneti, ma propone (come intervento di mitigazione!) di eliminare irregolarità morfologiche del ravaneto di Piastrabagnata e di stabilizzarlo realizzando alla sua base un argine in terra armata (lungo 370 m, largo 10 m alla base e 3,5 m alla sommità), utilizzando parte del materiale prodotto dal frantoio. Di fatto, con tale intervento, il ravaneto, anziché diminuire, aumenterebbe di circa 21.000 m3 (circa 42.000 t).

Il materiale detritico allontanato dalle cave diminuirebbe dunque di circa 42.000 t, alle quali vanno aggiunte le 59.400 t annue provenienti dal prevaglio del frantoio (si veda più avanti).

 

Ciottoli e ghiaie: collocati sul mercato. Materiali fini: dispersi nell’ambiente

Si noti che il progetto non prevede l’allontanamento di tutti i detriti prodotti dalle cave, bensì la loro gestione; in particolare, i materiali fini (non commerciabili) sarebbero dispersi nell’am­biente.

Il frantoio previsto, infatti, è dotato di un prevaglio per la rimozione dei materiali fini e, in funzione dell’apertura delle mascelle, produce materiali inferiori a 5,1 cm o inferiori a 15,7 cm. Il progetto conferma la nota consuetudine delle cave di lasciare in loco i materiali fini poiché, sebbene siano più inquinanti per l’acquifero (in quanto dilavabili dalle acque), non sono commerciabili e comporterebbero pertanto costi di smaltimento. Il progetto, infatti, compiacendosi del fatto che «la ridotta produzione di materiale fine consentirà … di limitare la porzione di materiale da reimpiegare all’interno dei siti o da smaltire» (Relazione tecnica, par. 10.1), precisa che «il materiale cosiddetto “fine” sarà impiegato all’interno degli stessi bacini, pertanto il traffico creato dalla sua movimentazione sarà assorbito come normale attività di cava/cantiere» (par. 10.4).

Venendo ai quantitativi in gioco, il progetto stima una produzione annua di materiale fine di 59.400 t (20%) e una produzione standard (granulometria scelta da 0-51 mm a 0-157 mm, cioè da ghiaie a ciottoli) di 237.600 t (80%).

 

Produzione mensile del frantoio

ore di lavoro mensili

Materiale mensile fine 0-35 mm in uscita da prevaglio

Produzione mensile frantoio standard scelta da 0-51mm a 0-157mm

Materiale annuale* fine 0-35mm in uscita da prevaglio

Produzione annuale* frantoio standard scelta da 0-51mm a 0-157mm

33.000 t

110 h

6.600 t

26.400 t

59.400 t

237.600 t

*    La produzione annua non è 12 volte quella mensile, visto il fermo attività di tre mesi invernali.

 

Per il materiale fine in uscita dal prevaglio si prevede l’impiego per i ripristini delle strade sterrate che dalle varie cave raggiungono il frantoio. Visto il loro sviluppo (8-9 km), la larghezza media (4,5 m) e considerando che dopo una pioggia il fondo debba essere ripristinato con un’altezza media di circa 10 cm almeno una volta al mese, il progetto stima la necessità di un quantitativo mensile di 3.825 m3, pari a 6.885 t (peso di volume 1,8 t/m3) e ne conclude che il materiale fine potrà essere impiegato per ripristinare almeno una volta tutto il tracciato viario sterrato di servizio e collegamento alle varie cave dei due bacini. Osserva inoltre che «l’attività del frantoio e la necessità di portare materiale da processare determina a carico della viabilità la necessità di una manutenzione più frequente, il che si traduce in una maggiore richiesta di materiale per il ripristino del fondo stradale» (Relazione tecnica, par. 9.0).

In poche parole, con l’introduzione del frantoio mobile, 59.400 t di materiale fine, anziché essere allontanate dal Parco, sarebbero ogni anno distribuite sulle strade sterrate e sarebbero da queste asportate ad opera delle acque meteoriche. Considerando un coefficiente di deflusso[2] del detrito compattato pari a 0,3 (Relazione integrativa al piano di gestione delle AMD, par. 7.1), ciò significa che il 70% delle acque meteoriche (in un’area a così elevata piovosità!) si infiltrerebbe nel fondo stradale e, penetrando nelle fratture del substrato carbonatico sottostante, raggiungerebbe l’acqui­fero con il suo forte carico di materiali fini in sospensione (terre e polvere di marmo). Anche il restante 30%, peraltro, scorrendo in superficie e poi lungo i versanti, subirebbe analogo destino.

 

Altri impatti: acque, paesaggio, polveri, rumore

Come appena visto, l’introduzione del frantoio comporterebbe l’incremento dell’inquinamento dell’ac­qui­fero da parte dei materiali fini distribuiti sulle strade sterrate e dilavati ad ogni pioggia.

Anche i piazzali di collocamento del frantoio, costituiti da detriti compattati (permeabili), contribuirebbero con analogo meccanismo (dilavamento, infiltrazione, percolazione) all’inquina­mento dell’acquifero; il carico di solidi sospesi sarebbe ancor più elevato, vista la presenza dei cumuli di detriti da trattare e di quelli prodotti dal frantoio (prevaglio e produzione standard), facilmente dilavabili anche in profondità poiché rimaneggiati di recente (scarico, frantumazione, vagliatura).

È appena il caso di notare che le strutture previste dal progetto per la raccolta ed il trattamento delle acque di prima pioggia svolgerebbero la loro azione solo su quel 30% di acque meteoriche che scorre in superficie, ma sarebbero ininfluenti sul restante 70% che si infiltra sui piazzali permeabili. Ne deriva la necessità di prescrivere l’impermeabilizzazione delle superfici coperte da detriti (piazzali e strade d’arroccamento sterrate).

Per quanto riguarda le misure di mitigazione dell’impatto sulle acque si fa osservare che il «monitoraggio continuo dei cumuli al fine di evitare fenomeni di lisciviazione del materiale fine a seguito di piogge intense» previsto dal progetto (Studio d’impatto ambientale e Studio d’incidenza, par. 4) si traduce in parole prive di effetti pratici. Il monitoraggio, infatti, non può certo impedire la lisciviazione meteorica del materiale fine dai cumuli; l’unico modo efficace per evitarla è quello di non creare cumuli all’aperto, immagazzinando in contenitori a tenuta stagna sia i detriti da trattare sia i materiali prodotti dal frantoio.

Per quanto riguarda i trasporti, è ovvio che l’installazione del frantoio comporterebbe l’intensifi­cazione del traffico pesante. Il progetto si limita a considerare i viaggi necessari per l’allontanamento del materiale prodotto dal frantoio (ghiaie e ciottoli), stimati in 48 viaggi giornalieri (96 passaggi). A questi vanno aggiunti i viaggi per il trasporto del materiale fine del prevaglio che il progetto non stima, considerandoli «assorbiti come normale attività di cava/cantiere»: poiché questo materiale è il 20% di quello totale, si tratta mediamente di ulteriori 19 passaggi giornalieri.

Merita inoltre tener presente che la necessità di conferire i detriti di varie cave al frantoio (anziché allontanarli direttamente sulla normale viabilità asfaltata) comporta un notevole allungamento del percorso sulle strade sterrate situate all’interno del Parco, aggravando gli impatti paesaggi­stico, acustico e da sollevamento di polveri.

L’incremento del traffico, unito all’impatto paesaggistico ed acustico del frantoio stesso, comporterebbero infine un’alterazione del paesaggio tipico del Parco, avvicinandolo ad un paesaggio di tipo industriale.

 

Conclusioni

Si chiede di respingere il progetto del frantoio mobile poiché:

  • non prevede la benché minima rimozione dei ravaneti esistenti;
  • prevede, al contrario, l’ulteriore deposito di 21.000 m3 di detriti (circa 42.000 t) al piede del ravaneto di Piastrabagnata, sotto forma di argine paramassi;
  • prevede una riduzione di 56.400 t annue dei detriti allontanati dalle cave interessate (costituiti dal materiale fine del prevaglio) e la dispersione nell’ambiente di questi materiali fini (per il ripristino delle strade sterrate);
  • comporta l’aumento dell’inquinamento dell’acquifero e degli impatti da polveri e rumore;
  • comporta un impatto paesaggistico (da frantoio, traffico pesante, polveri) che deteriorerebbe il paesaggio del Parco avvicinandolo ad un paesaggio di tipo industriale.

Si chiede inoltre di ritirare la delibera n. 5/2015 del Consiglio Direttivo del Parco per:

  • illogicità manifesta poiché: 1) le motivazioni tecniche addotte (a parità di viaggi, la frantumazione consentirebbe di allontanare una maggior quantità di detriti) non sono solo infondate, ma addirittura l’opposto della realtà e, come aggravante, 2) la mancata consequenzialità logica tra obiettivi esposti nella premessa e misure effettivamente deliberate, visto che la misura (lasciapassare per i frantoi) non è strettamente vincolata alla rimozione dei ravaneti esistenti;
  • contrasto con le finalità istituzionali del Parco visto che, oltre all’incremento dell’impatto ambientale, comporta l’introduzione di attività di tipo industriale (peraltro già vietate da precedenti delibere del Parco stesso in quanto riconosciute ad elevato impatto);
  • mancata adozione di strumenti già disponibili e ben più efficaci, quali la prescrizione di rilevanti rimozioni di ravaneti esistenti (come misura di compensazione, quindi senza concedere alcuna contropartita) nell’ambito delle pronunce di compatibilità ambientale e delle autorizzazioni ai piani di coltivazione delle cave. Per il futuro, s’invitano pertanto gli enti in indirizzo a condizionare esplicitamente la prosecuzione di codeste attività estrattive a questa prescrizione (pena la revoca dell’autorizzazione).

 

L’occasione m’è gradita per porgere Loro i miei più
Distinti saluti

il Presidente di Legambiente Toscana
Arch. Fausto Ferruzza

 


[1]   Considerando le seguenti classi di granulometria e la relativa porosità (frazione dei vuoti), la seguente tabella fornisce il volume finale in mucchio risultante dalla frantumazione di un blocco di marmo di 1 m3 (pari a 2,7 t).

Granulometria Frazione vuoti (porosità) Frazione pieni Peso di volume in mucchio* Volume finale (m3)
Blocchi 0 1 2,70 1
Scaglie (256-500 mm) 0,17 0,83 2,24 1,20
Ciottoli (64-256 mm) 0,22 0,78 2,09 1,29
Ghiaia grossolana (16-64 mm) 0,28 0,72 1,94 1,39
Sabbia grossolana (1-2 mm) 0,39 0,61 1,65 1,64
Limo (marmettola: 1/256-1/16 mm) 0,46 0,54 1,46 1,85


*      Il peso di volume in mucchio (t / m3) si ottiene dal prodotto 2,7 · (frazione pieni)

[2] Nella relazione è definito coefficiente di afflusso, riferendolo alla frazione di acque meteoriche che affluisce all’impianto di raccolta e trattamento; qui viene definito più tradizionalmente coefficiente di deflusso, riferendolo alla frazione di acque meteoriche che defluisce in superficie dall’area interessata.

 



Per saperne di più:

Sulle cave nel Parco Apuane:

Presupposti infondati: il Parco ritiri la delibera che introduce i frantoi nelle cave  (11/8/2015)

Come tutelare le Apuane? La ricetta del Parco: non bastano le cave, aggiungiamo i frantoi  (14/7/2015)

Come si progetta l’inquinamento delle sorgenti? Osservazioni alle cave Tagliata e Strinato  (14/6/2015)

Esplosivo dossier sulle cave apuane: le osservazioni di Legambiente  (18/11/2014)

Revisione della legge regionale sulle cave: le proposte di Legambiente  (14/10/2014)

Osservazioni al piano paesaggistico: più paesaggio, più filiera, più occupazione, meno cave, meno impatto, meno rendita  (29/9/2014)

Piano paesaggistico e cave nel Parco: allargare il confronto  (12/3/2014)

Legambiente chiede le dimissioni del presidente del Parco: difende le cave, non le Apuane! (16/2/2014)

Sulle problematiche tra cave e inquinamento delle sorgenti:

La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (27/3/2014)

Cosa (non) si fa per la protezione delle sorgenti? (16/1/2010)

Nubifragio: sorgenti torbide per lo smaltimento abusivo delle terre (11/7/2009)

Gestire le cave rispettando l’ambiente e i cittadini: le proposte di Legambiente (11/1/2007)

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 Come le cave inquinano le sorgenti. Ecco le prove. Come evitarlo (Conferenza, relazione di Giuseppe Sansoni, 17/3/2006: PDF, 3,2 MB)

 Conferenza Cave e inquinamento sorgenti       (17/3/2006) (pps: 11,2 MB)

Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)

 Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (1991: 340 KB)

Sulle problematiche tra cave, dissesto idrogeologico ed alluvione:

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Cave, ravaneti, alluvione: che fare? (Conferenza su alluvione: Relazione Piero Sacchetti, 11/10/2003: PDF, 37 KB)

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