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Revisione della legge regionale sulle cave: le proposte di Legambiente

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Firenze, 14 ottobre 2014

C.A. Presidente della III Commissione Consiliare
CONSIGLIO REGIONALE della REGIONE TOSCANA
Rosanna Pugnalini

P.C. all’Assessore alle infrastrutture e alle cave
REGIONE TOSCANA
Vincenzo Ceccarelli

 

Oggetto: osservazioni alla PdL n. 356, Norme in materia di cave

Siamo con la presente a presentarvi le seguenti osservazioni sul merito dell’articolato, così come concordate con le nostre articolazioni territoriali (Circoli e membri del Comitato Scientifico Regionale).
 

Art. 6 e 7:
conseguire congiuntamente la compatibilità ambientale e l’occupazione

Le Norme in materia di cave (di seguito: Norme), come esplicitato nei “considerata” e nella relazione illustrativa, si propongono di 1) evolvere e qualificare il settore estrattivo verso la sostenibilità ambientale, economica e sociale e 2) favorire l’occu­pa­zione nella filiera produttiva locale.
Particolarmente mirato al conseguimento di questi intenti è l’art. 35, attraverso l’avviso pubblico e la selezione del progetto preliminare che meglio risponde a tali obiettivi ambientali e occupazionali. Riteniamo questo dispositivo, mirato a dare concreta attuazione agli obiettivi dichiarati, particolarmente centrato ed efficace nell’ambito di ciascuna cava messa a gara, ma largamente insufficiente in quanto rinuncia a potenziare sinergicamente il conseguimento di tali obiettivi attraverso una strategia che comprenda anche la scelta della localizzazione ottimale delle cave (che privilegi cioè i siti a minor impatto ambientale). I punti essenziali della strategia che proponiamo sono:

    • a)      redigere un elenco delle cave a maggior impatto ambientale, finalizzato ad individuare una scala di priorità di quelle da dismettere. I criteri da utilizzare dovrebbero comprendere, tra gli altri: altitudine; localizzazione su creste; ubicazione nelle aree contigue del Parco Regionale delle Apuane; impatto paesaggistico; minaccia al patrimonio speleologico, ai geositi Unesco, alle falde acquifere e alle sorgenti; grado di fratturazione del marmo (produzione di detriti eccessiva rispetto ai blocchi); difficoltà logistiche od economiche nell’utilizzo o nello smaltimento dei detriti d’escavazione;
    • b)      effettuare un censimento ufficiale degli addetti attuali (da considerarsi come occupazione “all’anno zero”), per ogni cava e per ogni azienda di lavorazione lapidea, da aggiornare annualmente;
    • c)       introdurre nella procedura di assegnazione delle concessioni, oltre al canone concessorio posto a base di gara (già previsto all’art. 36), la percentuale minima di blocchi che deve essere lavorata nel distretto marmifero apuano (es. 50%, da elevare gradualmente man mano che si sviluppa la filiera locale). Il risultato auspicato ed atteso è un graduale incremento dell’occupazione nella filiera;
    • d)      annualmente, verificato l’aumento occupazionale rispetto all’anno zero, si programma la dismissione delle cave secondo la graduatoria d’impatto stilata al punto a) per un numero di addetti pari alla metà dell’incremento occupazionale registrato dal censimento (dismissione da attuarsi entro 3 anni o, se precedente, allo scadere della concessione[1]). Possono essere eventualmente previsti sia un indennizzo al concessionario per gli anni di concessione non usufruita, sia accordi sindacali ed incentivi per favorire l’inserimento nella filiera di lavorazione dei cavatori perdenti il posto di lavoro.

L’introduzione del dispositivo proposto, garantendo sia l’aumento dell’occupazione sia la graduale dismissione delle cave a maggior impatto, darebbe piena attuazione agli obiettivi delle Norme dichiarati nella relazione illustrativa.


Chiediamo pertanto di accogliere la proposta sopra illustrata apportando le seguenti integrazioni alle Norme in materia di cave:

  • inserire nella relazione illustrativa la sintesi del dispositivo sopra descritto;
  • inserire nell’art. 6 (Piano Regionale Cave) il seguente comma 2:

–        2. A tal fine il PRC prevede la graduale dismissione dei siti estrattivi a maggior impatto ambientale e paesaggistico, da attuarsi man mano che la conseguente perdita occupazionale sarà più che compensata da un incremento doppio dell’occu­pazione nella filiera corta lapidea.

  • inserire nel comma 1 lett. a) dell’art. 7 (Contenuti del PRC) i seguenti punti:

–         2bis) la graduatoria dei siti estrattivi a maggior impatto ambientale e paesaggistico, da adottare ai fini dell’ordine della dismissione prevista dall’art. 6 comma 2;

–         2ter) il censimento degli occupati in ogni cava e ogni azienda lapidea apuana di lavorazione (da aggiornare annualmente) al fine di individuare i momenti in cui attuare la dismissione prevista dall’art. 6 comma 2;

 

Art. 7:
escludere dai comprensori estrattivi le aree a maggior impatto ambientale

Come richiamato nella relazione illustrativa, il PRC, in quanto strumento di pianificazione territoriale che costituisce parte integrante del PIT, «ha l’obiettivo di evolvere e qualificare il settore estrattivo verso la sostenibilità ambientale, economica e sociale». Nelle considerazioni introduttive al testo delle Norme (All. A alla delibera d’adozione) si esplicita inoltre che «La nuova pianificazione si propone di ricercare una più chiara compatibilità tra attività estrattiva e tutela dell’ambiente e del territorio incentivando anche nuove soluzioni localizzative e l’im­pie­go di nuovi metodi di coltivazione delle sostanze minerali». Anche nel PIT, infine, la tutela delle risorse idriche superficiali e sotterranee e il miglioramento della compatibilità ambientale, idrogeologica e paesaggistica delle attività estrattive sono direttive comuni agli ambiti apuani (1, 2 e 3).

Tali obiettivi, peraltro, essendo elementi centrali degli studi d’impatto ambientale finalizzati all’ottenimento delle autorizzazioni alle attività estrattive, dovrebbero essere già conseguiti da tempo. Purtroppo, invece, l’esperienza dimostra che, nella maggioranza dei casi, le misure volte al loro conseguimento contenute nei piani d’escavazione approvati sono drammaticamente insufficienti.

Ciò testimonia una limitata consapevolezza o considerazione –nei professionisti che predispongono i SIA, negli enti pubblici che rilasciano le autorizzazioni e, ancor più, negli addetti all’esca­vazione– dell’insieme delle cause che possono arrecare danno alle risorse idriche, soprattutto a quelle sotterranee.

Pertanto, pur condividendo appieno gli obiettivi dichiarati, temiamo che la loro genericità, unita agli attuali criteri adottati nelle pratiche autorizzative, conduca a vanificarli poiché gli enti coinvolti nella pianificazione territoriale e nel rilascio di pareri e delle autorizzazioni ritengono di soddisfarli già pienamente.

In particolare, mentre vi è pacifico consenso sulla necessità di evitare l’inquinamento delle acque sotterranee da oli e carburanti di cava, i rischi del loro inquinamento da materiali fini (marmettola e terre di cava) sono largamente sottovalutati. Ciò dà ragione del fatto che situazioni predisponenti all’inquinamento dell’acquifero tramite dilavamento meteorico e infiltrazione nelle fratture del marmo e trasporto nei sistemi carsici siano considerate del tutto normali (mentre sono soltanto usuali) e non suscitino apprensione né la richiesta di provvedimenti correttivi. Ne sono esempi le superfici di cava abitualmente invase da fanghi, i cumuli di terre lasciati esposti al dilavamento meteorico, le ingenti quantità di terre e marmettola impiegate nella realizzazione delle vie d’arroccamento o addirittura scaricate sulle loro scarpate.

Non essendo questa la sede per approfondire le pratiche che compromettono le risorse idriche superficiali e sotterranee (nonostante la loro grande diffusione e rilevanza), si invita alla lettura del nostro documento allegato (“La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo, 17/3/2014) in quanto la sintetica ma rigorosa trattazione scientifica, il ricco corredo fotografico e la puntuale descrizione sia dei meccanismi inquinanti sia delle misure preventive da adottare, dimostrano la fondatezza dei quotidiani insulti arrecati alle acque sotterranee –spesso inconsapevolmente– e, al tempo stesso, illustrano l’approccio culturale e le misure concrete che dovrebbero essere adottate per tutelare le acque sotterranee.

Vi sono tuttavia situazioni particolari in cui il rischio d’inquinamento delle sorgenti è talmente elevato che nemmeno l’adozione di misure preventive in cava è sufficiente ad evitarlo. Ne è un esempio il bacino estrattivo di Pescina-Boccanaglia (Carrara) le cui cave, per le dimostrate connessioni idrogeologiche dirette con le sorgenti del gruppo di Torano, rappresentano un rischio inaccettabile per l’approvvigionamento idropotabile della città (Fig. 1). In situazioni come questa la misura da adottare è di tipo localizzativo-pianificatorio: l’esclusione del bacino dai comprensori estrattivi del Piano Regionale Cave.

Fig. 1. Stralcio della Carta delle Aree di Alimentazione dei Sistemi Idrogeologici – Corpo Idrico Significativo delle Alpi Apuane. Allegato 9a. Tav. A dello Studio idrogeologico prototipale del corpo idrico significativo dell’acquifero carbonatico delle Alpi Apuane, Monti d’Oltre Serchio e S. Maria del Giudice. Regione Toscana, Università degli Studi di Siena. Le cave del bacino Pescina-Boccanaglia comportano un elevato rischio d’inquinamento delle principali sorgenti che approvvigionano l’acquedotto di Carrara.

 


Chiediamo pertanto che:
la lett. b) dell’art. 7 comma 1 che recita «(il PRC definisce…) i giacimenti in cui possono essere localizzate le aree a destinazione estrattiva nonché le prescrizioni dirette a garantire la gestione sostenibile della risorsa» sia integrato come segue: «(il PRC definisce…) i giacimenti in cui possono essere localizzate le aree a destinazione estrattiva (tenendo conto delle aree da precludere all’attività estrattiva per l’elevato rischio di inquinamento dell’acquifero e delle sorgenti o l’elevato impatto paesaggistico) nonché le prescrizioni dirette a garantire la gestione sostenibile della risorsa marmo e delle risorse idriche».

 

 

Art. 33:
ridurre la durata delle concessioni

L’art. 33 comma 4 stabilisce una durata delle concessioni «non superiore a venti anni». Riteniamo che una durata così lunga vada a scapito del dinamismo industriale, della concorrenza, dell’innovazione, dello sviluppo nella filiera locale di nuove professionalità (anche creative), nuove tecnologie e nuovi impieghi del marmo e, dunque, del valore aggiunto e della stessa occupazione.

D’altronde gli imprenditori dell’escavazione motivano la richiesta di concessioni di lunga durata con la necessità di ammortizzare i consistenti investimenti nei macchinari. Va tuttavia osservato che, molto opportunamente, l’art. 38 comma 8 delle Norme in materia di cave prevede espressamente che allo scadere delle autorizzazioni il Comune individui i beni strumentali funzionali all’esercizio dell’attività estrattiva (stipulando una convenzione col concessionario uscente, determinando il valore residuo dell’investimento non ammortizzato) e che il nuovo bando di gara preveda l’obbligo all’acqui­sizione di tali beni. L’obbligo all’acquisto dei macchinari del concessionario precedente rende dunque inconsistente e del tutto pretestuosa la motivazione dell’ammor­tamento degli investimenti.

Una seconda motivazione addotta dagli imprenditori è il timore che concessioni di breve durata inducano ad una escavazione “da rapina”, sfruttando al massimo il filone del marmo senza curarsi dei lavori preparatori alla razionale apertura di nuovi fronti di cava. Anche questa motivazione è pretestuosa, visto che: 1) il concessionario è tenuto a rispettare il piano di coltivazione, comprese le sue fasi temporali; 2) un piano di coltivazione poco razionale avrebbe ben poche probabilità di essere selezionato nella gara d’assegnazione della concessione.


Chiediamo perciò che, nel comma 4 dell’art. 33, la frase «la concessione ha una durata non superiore a venti anni» sia sostituita con «la concessione ha una durata non superiore a dieci anni».

 

 

Art. 35:
bando di gara pubblica per la concessione più rigoroso e cogente

Il comma 3 affida al comune il compito di selezionare il miglior progetto preliminare valutando prioritariamente: a) le ricadute ambientali; b) le ricadute socioeconomiche, anche in una logica di filiera sul territorio; c) gli effetti occupazionali; d) il piano economico-finanziario; e) il possesso di certificazioni che qualificano il processo produttivo, la gestione ambientale e sociale dell’impresa; f) il canone concessorio proposto.
Tuttavia il comma 2 non prescrive che tali elementi debbano essere contenuti nei progetti preliminari (fa eccezione il piano economico-finanziario).

La mancata coerenza tra il comma 2 e il comma 3 mette il comune nell’ardua posizione di dover selezionare il miglior progetto preliminare senza disporre degli indispensabili elementi di giudizio, esponendolo così al duplice rischio di scelte errate e di eccesso di arbitrio.


Ciò considerato, riteniamo indispensabile che gli elementi di valutazione elencati nel comma 3 debbano far parte anche dei contenuti obbligatori del progetto preliminare previsti nel comma 2.

Inoltre, considerato che la scelta viene fatta proprio sui progetti preliminari, riteniamo che il comma 2 debba richiedere ai concorrenti di quantificare al meglio l’entità della loro offerta per ogni singolo elemento del comma 3, esplicitandone le garanzie offerte.

Infine, onde evitare il rischio che sia selezionato un progetto preliminare solo grazie a sue “facili promesse” (poi non mantenute), è necessario garantire il rispetto degli elementi che sono risultati determinanti per la selezione del progetto. Riteniamo perciò necessario che la concessione richiami esplicitamente tali elementi inserendoli tra le prescrizioni fissate a pena di decadenza della concessione stessa(ai sensi dell’Art. 37).

Riteniamo infine che, oltre al canone concessorio posto a base di gara (già previsto all’art. 36), debba essere esplicitamente fissata anche la percentuale minima di blocchi che deve essere lavorata nel distretto marmifero apuano (ad es. 50%, da elevare gradualmente man mano che si sviluppa la filiera locale).

 

Art. 38:
la gara pubblica rinviata di 20-30 anni a favore della rendita di posizione

L’art. 38 è di interpretazione piuttosto faticosa e dubbia; basiamo perciò questa osservazione sulla nostra interpretazione delle scadenze, schematizzata di seguito (ipotizzando l’approvazione delle Norme nel 2015).

 

A nostro parere gli aspetti più innovativi e qualificanti delle Norme sono due: l’assegnazione delle concessioni mediante procedura di selezione ad evidenza pubblica e l’incentivo alla filiera di lavorazione cortaattraverso l’impegno a lavorare in loco una percentuale rilevante dei blocchi estratti.Tali aspetti qualificanti rispondono pienamente ai principi fondamentali esposti nel Documento di Piano del PIT (al quale la pianificazione di settore deve essere coerente) che –indi­viduando nella capacità di esportare beni e servizi di intrinseco ed elevato valore (perseguita con crescente intensità e dinamismo competitivo) un elemento centrale della crescita qualitativa– si pone l’opzione strategica del progressivo superamento dei fenomeni di rendita connessi all’uti­liz­zo del patrimonio territoriale.

Finora, invece, le autorizzazioni all’escavazione sono state rilasciate al richiedente (senza gara) e senza incentivi alla filiera: la conseguente rendita di posizione ha permesso ai titolari di cava di vendere intere partite di blocchi a compratori stranieri, riducendo il comparto estrattivo apuano alla stregua di un distretto minerario per l’esportazione, con ricadute occupazionali nella filiera corta estremamente limitate. Il territorio ha subito impatti ambientali e paesaggistici senza adeguate contropartite socio-economiche.

Proprio perché condividiamo appieno i principi qualificanti delle Norme, esprimiamo un radicale dissenso sui meccanismi previsti dall’art. 38 che dilazionano in maniera esagerata la concreta applicazione delle Norme. Vanno perciò radicalmente riviste le proroghe di durata veramente eccessiva, nonché le previsioni di rinviare la gara pubblica dopo il lungo periodo transitorio di 7 anni (del tutto immotivato) e dopo la scadenza delle attuali autorizzazioni. Infatti, se la nostra interpretazione delle scadenze (illustrata nello schema sopra riportato) è corretta, la combinazione dei rinvii appena indicati farà sì che le gare di assegnazione delle concessioni si svolgeranno al più presto nel 2022, in gran parte nel 2035 e in qualche caso addirittura dopo il 2050! Sembrano disposizioni appositamente concepite per sterilizzare i principi qualificanti, garantendo per altri 20-30 anni la rendita di posizione degli attuali titolari di cava.


Ritenendo inaccettabile (nonché contrastante col PIT e con le norme europee sulla concorrenza) procrastinare in tale misura l’introduzione della gara pubblica chiediamo di adeguare le scadenze e le proroghe previste dall’art. 38 in modo tale da:

  • ridurre il periodo transitorio da 7 a 2 anni (periodo più che sufficiente a predisporre la gara);
  • espletare la gara pubblica dopo 2 anni dall’approvazione delle Norme anche per le autorizzazioni con scadenza più lunga;
  • ridurre a 3 anni (anziché i 5 previsti nella proposta di legge del luglio 2014, portati a 11 nella versione adottata l’8 agosto!) la proroga per chi sottoscriva una convenzione con l’impegno a lavorare in loco almeno il 50% dei blocchi (mantenendo l’ulte­riore proroga di 2 anni per le certificazioni EMAS).

Nutriamo invece forti perplessità sulla proroga prevista dal comma 5 per la parte della convenzione che impegna «all’utilizzo del bene quale patrimonio indisponibile comunale». Interpretiamo questa clausola come un “baratto” con i titolari di beni estimati che, in cambio della rinuncia ad aprire contenziosi legali, si assicurerebbero una proroga di 11 anni.

Deprecando il fatto che la relazione illustrativa e la delibera d’adozione tacciano completamente su un aspetto di tale importanza, facciamo osservare che:

  • l’appartenenza al patrimonio indisponibile comunale dei beni estimati è espressamente sancita dall’art. 32; non c’è pertanto alcuna necessità di concedere 11 anni di proroga a chi rinunciasse a contestarla;
  • la concessione di tale proroga, anzi, indebolirebbe la statuizione dell’art. 32 e potrebbe pertanto essere utilizzata dai titolari dei beni estimati che, respingendo lo “scambio”, intendessero aprire un ricorso legale.

Riteniamo pertanto che nel comma 5 sia da eliminare la parte della convenzione che prevede l’impegno «all’utilizzo del bene quale patrimonio indisponibile comunale».

 

L’occasione è gradita per porgere
Distinti saluti.

Il Presidente di Legambiente Toscana
Fausto Ferruzza


Note:

  1. È questo un ulteriore motivo che suggerisce l’opportunità di ridurre la durata massima delle concessioni da 20 a 10 anni. [torna al testo]

 



Per saperne di più:

Sul piano paesaggistico e sulla nuova legge regionale sulle cave:

Osservazioni al piano paesaggistico: più paesaggio, più filiera, più occupazione, meno cave, meno impatto, meno rendita  (29/9/2014)

Le nostre osservazioni preliminari alla proposta di legge regionale sulle cave  (sintesi, 18/7/2014)

 Le nostre osservazioni alla proposta di legge regionale sulle cave (testo integrale, 17/7/2014, 236 KB)

Sul nuovo Regolamento degli agri marmiferi proposto da Legambiente al consiglio comunale:

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La deliberazione su cave, beni estimati, regolamento agri marmiferi proposta da Legambiente al consiglio comunale (9/2/2013)

 

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