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La Regione alla prova dei fatti: osservazioni alla cava in galleria Calacata

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Nota: le presenti osservazioni rivestono una particolare importanza visto che, per la prima volta, l’istruttoria di VIA sarà effettuata dalla Regione Toscana (trattandosi di una cava con più di 60.000 t di marmo estraibile) e in base ai criteri della nuova L.R. 35/2015 sulle cave e al PIT con valore di piano paesaggistico.
Si tratta dunque di un test importante: ci attendiamo infatti che la Regione prenda finalmente in seria considerazione le nostre osservazioni (redatte con rigore scientifico e ricche di proposte concrete per ridurre l’impatto ambientale), segnando una netta discontinuità con le istruttorie finora effettuate dal Comune o dal Parco delle Apuane. Se così avverrà, per il mondo delle cave sarà una vera rivoluzione, paragonabile a quella avvenuta nei primi anni ’90 a seguito dell’inquinamento delle sorgenti da oli esausti.

ERRATA CORRIGE: Il Comune, nel ringraziarci per le osservazioni, ci ha gentilmente segnalato che «per la cava n. 10 “Calacatta” è stato correttamente avviato procedimento di VIA presso il Parco Alpi Apuane in quanto la l.r. 35/15 prevede, per le cave inserite nel Parco, lo svolgimento della Valutazione d’Impatto Ambientale in sede regionale in caso di escavazione superiore ai 30.000 mc annui. Nel caso della cava n. 10 il nuovo piano presentato prevede nei 5 anni di progetto una media annua di 29.171 mc abbattuti; è in corso tra l’altro una revisione di tale volumetria in base alla limitazione del 30% imposta dal PIT».
Nel chiedere scusa per l’errore di attribuzione della competenza della VIA, ci auguriamo che, considerato il rigore e la serietà delle nostre osservazioni, il Parco voglia svolgere la sua istruttoria con altrettanto rigore e serietà.
Alla Regione Toscana
Ufficio VIA-VAS cave di marmo
regionetoscana@postacert.toscana.it
 
Al Parco Regionale delle Alpi Apuane
parcoalpiapuane@pec.it
 
Al Comune di Carrara, Settore Marmo
comune.carrara@postecert.it
 
Soprintendenza BAP LU-MS
mbac-sbeap-lu@mailcert.beniculturali.it
 
ARPAT
arpat.protocollo@postacert.toscana.it 

 

Carrara, 29 dicembre 2015

 

Oggetto: Cava Calacata n. 10, bacino Pescina-Boccanaglia, Carrara (Società G.M. Fabbricotti fu B. Succ. s.r.l.): Osservazioni al rinnovo del piano di coltivazione (in sotterraneo) ai sensi della L.R. 35/15 e allegato V del PIT

 

Presa visione della documentazione tecnica relativa alla cava in oggetto, scaricata dal sito del Parco Regionale Alpi Apuane, si osserva che:

  • il piano presentato non prevede misure adeguate a prevenire il rischio di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee da parte della marmettola prodotta in cava e trascura del tutto quello derivante da marmettola e terre contenute nel sito di stoccaggio temporaneo e nei cumuli presenti in cava, nonché di quelle utilizzate nelle rampe di cava, nella via d’arroccamento e nel ravaneto sul quale essa è impostata;
  • le misure previste nella relazione paesaggistica non danno adeguata risposta agli obiettivi del PIT.

 

1.       Premessa generale:
l’inquinamento da marmettola non può più essere ignorato!

Va innanzitutto osservato che l’inquinamento da marmettola che ad ogni pioggia intorbida i corsi d’acqua (Fig. 1) e le sorgenti che alimentano l’acquedotto cittadino è la diretta conseguenza delle attuali modalità di coltivazione delle cave e di gestione dei detriti d’esca­vazione.
 

Fig. 1. Il Carrione torbido da marmettola e terre dopo una breve pioggia (2015). A: nel centro cittadino. B: confluenza dei rami di Torano (marmettola: freccia blu) e di Colonnata (marmettola e terre: freccia rossa). C: ramo di Colonnata, a Mortarola. D: a monte di Torano

 

Lo scenario abituale delle cave, infatti, è quello di piazzali invasi da fanghi di marmettola e terre (Fig. 2). Altre fonti rilevanti di marmettola e terre sono i cumuli di terre esposti al dilavamento meteorico, derivanti dalla vagliatura dei detriti (effettuata al monte, anziché in aree industriali al piano,: Fig. 3) e i ravaneti, sui quali vengono spesso costruite le vie d’arroccamento e che sono frequentemente autorizzati come “stoccaggio provvisorio” per scaricarvi i detriti dall’alto ed allontanarli poi dal basso (Fig. 4).
 

Fig. 2. Fanghi di marmettola e terre, cumuli di terre e detriti. A: cava Ciresuola; B: cava Querciola; C: cava Gioia; D: cava Strinato.

 

Fig. 3. Cumuli di terre di cava esposti al dilavamento meteorico, derivanti dalla vagliatura dei detriti effettuata al monte. A sinistra: Strinato. A destra: Ponti di Vara.

 

Fig. 4. I ravaneti, per dilavamento meteorico, rilasciano ingenti quantità di terre e marmettola che inquinano le acque superficiali e sotterranee. A: Carpevola; nel riquadro, la vagliatura dei detriti effettuata al suo piede. B: Ponti di Vara: accanto al ravaneto recentemente rimosso (tratteggio bianco) crescono due piccoli ravaneti (tratteggio giallo) nei quali si scaricano detriti dall’alto (riquadro) e si prelevano dal basso. C e D: Betogli e Gioia, sede delle rispettive vie d’arroccamento, con evidenti erosioni delle scarpate.

 

Vista la situazione qui brevemente illustrata non può certamente destare stupore l’inquinamento generalizzato da solidi sospesi delle acque superficiali conseguente alle piogge. Merita precisare che analogo inquinamento riguarda le acque sotterranee e, in particolare, la dozzina di sorgenti che alimentano l’acquedotto di Carrara.

Si tratta di un inquinamento ancor più grave di quello delle acque superficiali, anche se meno avvertito dalla popolazione sia perché non è direttamente visibile (salvo agli addetti agli impianti di trattamento delle acque potabili), sia perché le sorgenti con torbidità contenuta sono potabilizzate da filtri a sabbia ed a carboni attivi e, infine, perché quelle con torbidità elevata vengono escluse dalla rete acquedottistica, che viene alimentata dalle restanti sorgenti. L’ordinanza di acqua non potabile per torbidità viene pertanto emanata solo quando tutte le sorgenti sono contemporaneamente torbide.

È però possibile, ricorrendo ad uno stratagemma, vedere direttamente quali acque alimentino le sorgenti dopo piogge intense: basta guardare le acque che, dopo essersi infiltrate in un ravaneto, sgorgano al suo piede. Le acque che riemergono dal corpo del ravaneto, infatti, sono identiche alla restante parte che si infiltra nelle fratture del marmo e nel reticolo carsico alimentando l’acquifero sotterraneo (Fig. 5).
 

Fig. 5. A: sezione idrogeologica schematica dal Carrione al M. Serrone. In grigio: ravaneti; in bianco: zona vadosa; in azzurro: zona satura. Le acque piovane penetrano direttamente nel reticolo carsico attraverso le fratture del marmo (frecce blu); quelle cadute sui ravaneti percolano al loro interno (frecce rosse) fino ad incontrare fratture nel substrato, alimentando anch’esse il sistema carsico (frecce verdi), mentre una parte di esse riemerge in superficie al piede dei ravaneti (frecce fucsia). B: piede del ravaneto Ponti di Vara, al cui contatto col substrato roccioso (cerchio) riemerge parte delle acque meteoriche che vi si sono infiltrate. C: le acque che riemergono al piede del ravaneto, fortemente torbide e lattescenti per l’elevato contenuto di marmettola, sono identiche a quelle che, infiltrandosi nelle fratture del substrato (frecce verdi nello schema A), raggiungono le sorgenti delle Canalie.

 

La situazione di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee qui brevemente illustrata rende insostenibili le attuali modalità di conduzione dell’escavazione e testimonia l’assoluta inadeguatezza delle prescrizioni espresse nei pareri di VIA e inserite nelle autorizzazioni alle attività estrattive: ina­deguatezza in parte intrinseca alle citate prescrizioni e in parte alla mancata previsione di sanzioni efficaci e dissuasive nel caso di inadempienza.

Poiché le attuali modalità devastanti d’escavazione non sono il frutto di abusi, ma sono abituali ed autorizzate, se ne deve concludere che fino ad oggi i funzionari e i tecnici addetti all’esame degli studi di VIA e al rilascio delle autorizzazioni hanno espresso pareri inadeguati a garantire la tutela delle acque.

Le motivazioni di tale comportamento ci sono ignote. Può trattarsi dell’assuefazione ad una situazione talmente generalizzata da essere avvertita come del tutto normale, senza suscitare alcuna indignazione. O forse –pur nella consapevolezza del danno ambientale– questo viene accettato, nella convinzione che esso sia largamente compensato dai benefici economici e occupazionali, oppure (non riuscendo ad immaginare modalità d’escavazione rispettose degli aspetti ambientali) nella rassegnazione che sia comunque inevitabile.

Scopo di questa premessa, pertanto, è richiamare i tecnici e i funzionari alle proprie responsabilità morali, visto il danno ambientale accertato derivante dai pareri finora espressi.

A nostro parere, infatti, lo sfruttamento razionale delle cave nel rispetto delle risorse pubbliche (ambientali e paesaggistiche) è possibile e perfino semplice, ma richiede un radicale cambiamento di rotta nelle modalità d’escavazione. A tal fine occorre inserire prescrizioni rigorose e cogenti nelle autorizzazioni all’esca­vazione, prevedendo espressamente la revoca dell’autorizza­zione in caso d’inadem­pienza.

Coerentemente a questa premessa, le presenti osservazioni si focalizzano sull’individuazione delle molteplici vie di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee da materiali dilavabili, suggerendo per ciascuna di esse misure efficaci a prevenirlo.

 

2.       Premessa specifica:
vulnerabilità idrogeologica dell’area interessata

Si sintetizza di seguito l’argomento, traendolo dallo studio d’impatto ambientale. I litotipi marmorei presenti nell’area in esame favoriscono una circolazione carsica, profonda; si può avere infatti scorrimento superficiale solo con precipitazioni molto intense, durante le quali le acque scorrono nel Fosso Calacata e all’interno del ravaneto che ne ha sepolto il tratto terminale; raggiungono così il Fosso di Bucceta (o Boccanaglia) che, proseguendo col nome di Canale Porcinacchia (o Fosso di Curtana), raggiunge il Carrione di Torano in prossimità del gruppo delle sorgenti di Torano (Carbonera, Pizzutello, Gorgoglio, Tana dei Tufi).

A causa della rapida infiltrazione nell’acquifero della quasi totalità delle acque piovane, la classe di vulnerabilità all’inquinamento dell’acquifero è “alta”, sia col metodo SINTACS (Civita et al., 1991), sia con quello COP (Centro Geotecnologie Univ. Siena, 2007).

La Carta delle aree di alimentazione degli acquiferi mostra una direttrice di deflusso sotterraneo certa verso le sorgenti Carbonera e Pizzutello, confermata da prove con traccianti (spore di licopodio) eseguite in cave limitrofe e nella stessa cava Calacata.

Contraddicendo queste premesse, lo studio d’impatto ambientale (par. 15: Analisi degli impatti) afferma che «per quanto riguarda gli impatti sull’idrogeologia» … «si prevedono, generalmente, impatti nulli o di lieve entità». Tale valutazione si basa sulle misure di prevenzione previste e sulle considerazioni del geol. R. Andrei, secondo il quale la connessione idraulica tra la cava Calacata e la sorgente Carbonera non sarebbe diretta, ma indiretta: le acque penetrate nel sistema carsico attraverso un’importante discontinuità scorrerebbero cioè verso il Can. Boccanaglia e raggiungerebbero la sorgente solo tramite il suo subalveo.

Ritenendo che, in tal modo, il SIA sottovaluti fortemente l’impatto idrogeologico, riportiamo di seguito i dati sperimentali e le nostre considerazioni, che ci inducono a valutazioni opposte:

  • la connessione idraulica tra la cava Calacata e la sorgente Carbonera è dimostrata; anche qualora essa fosse indiretta il risultato pratico (inquinamento) non cambierebbe;
  • nello stesso sottobacino in esame (Pescina-Boccanaglia), nei primi anni ’2000 sono state compiute prove immettendo traccianti in cinque cave e tutte sono risultate connesse a sorgenti: le cave Calacata e Pratazzuolo B alla sorgente Carbonera; la cava Piastriccioni C alle sorgenti Carbonera e Pizzutello; le cave Ruggetta B e Crestola C alla sorgente Pizzutello;
  • prove con traccianti nello stesso sottobacino hanno dimostrato la connessione idraulica tra l’alveo del canale Boccanaglia e le sorgenti Carbonera e Pizzutello (nonché con le sorgenti Pero superiore e Ospedale 1, appartenenti al gruppo delle Canalie e situate nel bacino di Miseglia);
  • anche il vicino Can. di Sponda è risultato connesso alle sorgenti Pizzutello, Pero sup. e Ospedale 1;

Questi dati, lungi dal tranquillizzare al punto da prevedere impatti idrogeologici “nulli o di lieve entità”, concorrono concordemente a confermare l’alta vulnerabilità all’inquinamento dell’inte­ro complesso carbonatico appartenente al fianco rovescio della sinclinale di Carrara. Gli inquinanti di cava (marmettola, terre, idrocarburi), infatti, possono compromettere l’acqui­fero:

  • per penetrazione diretta in cava, in fratture connesse al sistema carsico;
  • per dilavamento meteorico delle superfici di cava e delle loro pertinenze (piazzali, cumuli di detrito, rampe, ravaneti, ecc.) e successiva penetrazione nelle fratture del substrato durante il loro percorso verso valle, siano esse presenti:

–         sui versanti;

–         nell’alveo o nel subalveo dei corsi d’acqua;

–         nel substrato dei ravaneti;

In altre parole, dato l’alto grado di fratturazione e carsismo del complesso carbonatico, TUTTE le sue superfici sono vie di penetrazione degli inquinanti nell’acquifero; pertanto marmettola o terre, OVUNQUE siano esposte al dilavamento (in cava, nei ravaneti, cumuli, rampe, piazzali), durante il successivo scorrimento orizzontale e verticale inquineranno sia le acque superficiali che quelle sotterranee.

Ne deriva che il piano d’escavazione presentato, trascurando gran parte delle succitate vie di penetrazione degli inquinanti nell’acquifero, è assolutamente inadeguato alla protezione delle acque sotterranee e superficiali.

Tenuto conto delle molteplici vie di penetrazione degli inquinanti, l’accorgimento chiave per la protezione delle acque è molto semplice: non esporre idrocarburi, marmettola o terre al dilavamento idrico. Utilizzando tale principio ispiratore passiamo ad avanzare osservazioni puntuali al piano d’escavazione, accompagnandole con i relativi accorgimenti da adottare.

 

3.       Lavorazione in galleria (e nel piazzale antistante il suo ingresso)

Gli accorgimenti previsti nel piano di coltivazione possono essere così riassunti: 1) verificare che il pavimento della galleria sia privo di litoclasi e fratture e, in caso contrario, tamponarle per riempimento (non è precisato con quale materiale); 2) contornare la zona nelle immediate adiacenze delle macchine da taglio realizzando un cordolo con “materiale pelitico calcareo residuo delle operazioni di taglio” (cioè con marmettola); 3) porre la massima cura ad evitare la rottura del cordolo; 4) raccogliere le acque reflue con pompa ad immersione, convogliarle nei filtri a sacco e trasportare la marmettola nei depositi autorizzati; 5) mantenere puliti i piani di lavoro in sotterraneo, sia per limitare l’ingresso della marmettola nelle comuni fratture, sia per avere una visione più chiara del quadro fessurativo; 6) qualora le lavorazioni dovessero incontrare grosse cavità carsiche, sospendere il taglio, realizzare una barriera protettiva con marmettola, segnalare agli enti di controllo, valutare le caratteristiche della cavità (speleologo e geologo) e, in base ad esse, adottare misure adeguate; 7) qualora la cavità intercettata fosse priva di interesse speleologico e poco significante a livello idrogeologico, proteggerla con una barriera in marmettola e/o sigillarla con cemento a presa rapida 8) per l’importante discontinuità con elevata apertura presente nel sotterraneo, mantenere sotto costante controllo i tagli in modo da poter valutare preventivamente la possibilità che possa evolvere in cavità carsica di un certo rilievo.

I primi 5 accorgimenti, corrispondenti a quelli abitualmente dichiarati per le cave in galleria, sono parzialmente inadeguati dal punto di vista tecnico, ma ancor di più lo sono in quanto sistematicamente non rispettati nella pratica quotidiana. La stessa documentazione fotografica allegata al piano d’escavazione, peraltro, mostra lo stato desolante attuale dei pavimenti della galleria, completamente invasi da acque e fanghi di marmettola, nonché da cumuli di terre e scaglie: una situazione che stride fortemente con gli accorgimenti dichiarati (Fig. 6). In analoga situazione si trova il piazzale esterno antistante la galleria (si veda la foto 4 della relazione Documentazione fotografica).
 

Fig. 6. Stato attuale della galleria Calacata: a sinistra presso l’ingresso, a destra camera interna. Si notino i pavimenti completamente invasi da marmettola, fanghi, terre, detriti. La freccia tratteggiata indica la tagliatrice a catena, la freccia continua il cordolo in marmettola. Si noti che il cordolo non raccoglie le acque entro un’area ristretta attorno al taglio, ma è posto al perimetro del pavimento; ne deriva che l’intero pavimento della galleria è invaso da marmettola e acque. (Foto tratte dalla documentazione del piano d’escavazione).

 

Alla luce di questa situazione, dunque, l’affermazione che il progetto si propone semplicemente il «proseguimento della coltivazione con le modalità fino ad oggi messe in atto ed esclusivamente in sotterraneo» (Relazione paesaggistica, par. 8) è tutt’altro che rassicurante: o le prescrizioni erano inadeguate o la loro inosservanza non comportava sanzioni sufficientemente dissuasive.

Si chiede pertanto innanzitutto che gli accorgimenti da adottare a tutela delle acque siano inseriti tra le prescrizioni il cui mancato rispetto comporta sanzioni severe, stabilendo perciò espressamente un periodo di sospensione della coltivazione (di durata adeguatamente dissuasiva) e, in caso di recidiva, la revoca definitiva dell’autorizzazione.

Venendo agli aspetti tecnici degli accorgimenti, riteniamo che debbano essere previste le seguenti prescrizioni:

  • debba essere definito il materiale da utilizzare per il riempimento di litoclasi e fratture o, almeno, le sue caratteristiche: non dilavabile, non soggetto a fratturazione, preferibilmente elastico e con tendenza ad espandersi (in modo da sigillare meglio le fratture);
  • per i cordoli di contenimento delle acque al piede dei tagli siano vietati materiali sciolti dilavabili dalle acque (in primo luogo marmettola e terre) e siano individuate altre soluzioni (compresi gli stessi materiali, ma contenuti entro lunghi e robusti sacchi tubulari, se necessario coperti da telo plastico o da teli a maglie molto fini). I cordoli, inoltre, confinino le acque di taglio in un’area il più possibile ristretta, in modo da mantenere pulita la restante superficie del pavimento;
  • la pulizia dei piani di lavoro debba essere scrupolosa e costantemente mantenuta (ne gioverebbe molto, peraltro, anche la sicurezza); a tal fine, a nostro parere, appaiono indispensabili macchine lavanti-aspiranti del tipo per vaste pavimentazioni;
  • in tutta la galleria debbano essere assenti terre e detriti (se non stoccati entro contenitori a tenuta stagna). Per i letti di ribaltamento delle bancate si debba invitare la cava a cercare soluzioni alternative (tipo “materassi” in gomma o materiali elastici con adeguata resistenza al carico); nelle more di tali soluzioni, i letti di ribaltamento in detrito di cava siano approntati con sole scaglie di granulometria adeguata (senza terre) e, dopo il ribaltamento, l’area sia subito contornata da un cordolo di contenimento non dilavabile (come quelli sopra citati);
  • qualora le lavorazioni dovessero incontrare cavità carsiche, ferme restando la segnalazione agli enti di controllo e le indagini speleologiche e geologiche, NON sigillarle, ma sospendere il taglio e arretrarlo di alcuni metri tutt’attorno alla cavità (lasciando cioè un pilastro indisturbato); se il taglio arretrato continua ad intersecare cavità, abbandonare la coltivazione nell’area. L’obiettivo da perseguire deve essere quello di non disturbare il reticolo carsico, né occludendolo né asportandone parte;
  • vista l’importante cavità carsica già presente nel sotterraneo (Fig. 7), appartenente alla “fascia cavernosa”, si accerti se essa sia isolata; qualora dovessero esserne presenti altre, soprattutto se aventi diversa direzione (configurandosi pertanto come l’inter­seca­zione di un sistema carsico reticolare), si neghi l’autorizzazione a proseguire l’esca­vazione della galleria, a tutela sia delle acque sotterranee, sia dell’inte­grità del sistema carsico.

 

Fig. 7. Frattura particolarmente persistente nei pressi dell’imbocco del sotterraneo; a destra: particolare. Sebbene la cavità tenda a chiudersi in basso (come sottolineato nel SIA, par. 16), è molto probabile che essa sia in continuità laterale con il reticolo carsico.

 

4.       Stoccaggio provvisorio e piano di gestione del detrito

Il piano di gestione dei rifiuti d’estrazione argomenta che il detrito di cava non è un rifiuto (ai sensi del D.Lgs 117/2008), bensì un sottoprodotto (ai sensi del D.Lgs 152/2006, art. 184 bis e s.m.i., come modificato dal D.Lgs 205/2010 e ai sensi del regolamento d’attuazione del DM 161/2012) in quanto viene interamente ceduto ad una ditta autorizzata (non è chiaro se alla Versiliana Marmi, citata a pag. 9, riga 17 del piano di gestione, o alla Ediltecnica srl, citata alla riga 20, stessa pagina).

Il piano prevede che il materiale di scarto (ben 109.000 m3 di terre e scaglie di marmo, pari a circa 295.000 t) sia trasportato nell’area di stoccaggio provvisorio, costituita dalla Fossa di Calacata, dalla quale sarà prelevato settimanalmente e trasportato all’esterno dalla ditta autorizzata.

Il piano, dopo aver argomentato che tale area di stoccaggio temporaneo non si configura come una “struttura di deposito” (ai sensi del D.Lgs 117/1008, art. 3, lett. r) in quanto il periodo di deposito è inferiore ad 1 anno e non sono previste opere di contenimento degli scarti, sostiene che tale stoccaggio non è soggetto agli specifici adempimenti delle strutture di deposito poiché soddisfa tutti i requisiti dell’art. 10, comma 1 e, in particolare, poiché «è impedito l’inquinamento del suolo e delle acque di superficie e sotterranee ai sensi dell’art. 13, commi 1 e 4 del D.Lgs 117/2008».

Pertanto il piano «non prevede di dover allestire particolari strutture di deposito» … «vista anche la natura chimico-fisica di questa tipologia di rifiuto, esente da rischi di percolazione o di infiltrazione di sostanze pericolose o tossiche nell’ambiente».

Così, ricorrendo ad arditi passaggi logici, il piano di gestione parte dall’affer­ma­zione (infondata) che le condizioni di stoccaggio temporaneo impediscono l’inquinamento delle acque, per attribuire poi a questa autodichiarazione il valore di descrizione fedele e assodata della situazione reale e utilizzarla infine come “solida” argomentazione per aggirare gli adempimenti previsti dal D.Lgs 117/2008 per le strutture di deposito. In tal modo il piano fornisce una risposta elusiva alle seguenti lettere del comma 3, art. 5 D.Lgs 117/2008:

 

Lettera Contenuto Risposta del piano di gestione
d) descrizione delle modalità in cui possono presentarsi gli effetti sull’ambiente … e delle misure preventive da adottare al fine di ridurre al minimo l’impatto ambientale …, compresi gli aspetti di cui all’art. 11, comma 3, lettere a), b), d), e) Non essendo l’area di stoccaggio temporaneo configurabile come struttura di deposito, tale argomento di legge non risulta applicabile in questo contesto.
L’operatore garantisce comunque che l’area è progettata e sarà gestita in modo da prevenire l’inquinamento delle acque sotterranee o di superficie nelle prospettive a breve e lungo termine …
e) procedure di controllo e monitoraggio proposte Non essendo l’area di stoccaggio temporaneo configurabile come struttura di deposito, tale argomento di legge non risulta applicabile in questo contesto.
f) piano per la chiusura e successivo monitoraggio Non essendo l’area di stoccaggio temporaneo configurabile come struttura di deposito, tale argomento di legge non risulta applicabile in questo contesto.
g) misure per prevenire il deterioramento dello stato dell’acqua Non essendo l’area di stoccaggio temporaneo configurabile come struttura di deposito, tale argomento di legge non risulta applicabile in questo contesto.
h) descrizione dell’area che ospiterà la struttura di deposito, comprese le sue caratteristiche idrogeologiche Non viene data risposta, sebbene (o forse perché?) le caratteristiche idrogeologiche siano di alta vulnerabilità all’inquinamento delle acque sotterranee.

 

In realtà, come abbiamo argomentato nelle nostre premesse (generale e specifica: paragrafi 1 e 2 delle presenti osservazioni), tutti i dati disponibili configurano un alto rischio di inquinamento da materiali fini delle acque sotterranee e superficiali.

Ciò è pienamente valido anche per l’area di stoccaggio temporaneo, essendo questa costituita dal substrato carbonatico (fratturato e carsico) della cava a pozzo all’aperto (peraltro già oggi utilizzata come discarica incontrollata di terre e scaglie) che, oltretutto, intercettala Fossa Calacatae viene pertanto invasa dalle sue acque, sia pure solo in occasione di piogge particolarmente intense (Fig. 8).
 

Fig. 8. A: nelle tavole progettuali l’area di stoccaggio temporaneo del detrito e le vasche di raccolta delle acque dell’area servizi (tratteggio giallo) e delle acque meteoriche di dilavamento (perimetro azzurro) danno l’impressione di aree appositamente attrezzate. La realtà, ben diversa, è mostrata nelle foto B e C (che riprendono l’area in tratteggio rosso). B: l’area prevista per lo stoccaggio temporaneo dei detriti; in pratica i detriti sarebbero scaricati alla rinfusa nella cava all’aperto, su substrato molto permeabile: perciò le terre, dilavate dalle acque meteoriche, inquinerebbero le acque sotterranee. La linea a “V” punteggiata (in alto) indica la valle della Fossa Calacata, intercettata dalla cava: con forti piogge anche le acque della Fossa invadono la cava, dilavano terre e, infiltrandosi nelle fratture, inquinano l’acquifero. La freccia azzurra indica acque cariche di terre; la buca indicata dalla freccia gialla indica la vasca di raccolta (si spera ancora in fase di allestimento!) delle acque meteoriche di dilavamento dell’area servizi. C: è meglio visibile la valle della Fossa Calacata (linea punteggiata), troncata dalle pareti di cava; la linea continua azzurra indica la vasca di raccolta delle acque meteoriche dilavanti che, in realtà, è semplicemente il fondo della cava a pozzo.

 

Si noti che l’area di stoccaggio temporaneo, sebbene nella Tav. C (Fig. 8A) possa dare l’impressione di un piazzale attrezzato, è solo una scarpata della cava nella quale il detrito verrebbe scaricato alla rinfusa dall’alto e periodicamente ripreso e allontanato dal basso. Anche le vasche di raccolta delle acque di dilavamento della cava e dell’area servizi non sono appositamente attrezzate, ma semplici cavità.

Il piano di gestione del detrito, dunque, non prevenendo in alcun modo l’inquinamento delle acque sotterranee (uno dei requisiti fondamentali del D.Lgs 117/2008, in esso ripetutamente richiamato) non può essere approvato.

Si chiede pertanto che siano previste le seguenti prescrizioni (con revoca dell’autorizzazione nel caso di inadempienza):

  1. l’area destinata allo stoccaggio temporaneo sia accuratamente ripulita dai detriti esistenti; si estenda tale pulizia all’intera cava a pozzo;
  2. i detriti dell’escavazione siano immediatamente vagliati raccogliendo le terre in cassoni a tenuta stagna e ripulendo immediatamente il pavimento;
  3. le terre siano allontanate dalla cava: l’eventuale stoccaggio temporaneo avvenga unicamente in contenitori a tenuta stagna;
  4. le scaglie siano collocate a stoccaggio temporaneo solo dopo essere state lavate (confinando le acque di lavaggio e sottoponendole allo stesso trattamento delle acque di taglio).

In questo modo, ripulendo l’intera area di cava e collocando a stoccaggio temporaneo solo scaglie lavate, il piano di gestione del detrito soddisferebbe i requisiti del D.Lgs 117/2008.

 

5.       Acque meteoriche dilavanti (AMD), area servizi, rampe

Le acque derivanti dalle strade interne di cava, dalle rampe e dal piazzale che contorna l’area servizi scorreranno per la pendenza sul fondo della cava a pozzo, la cui estremità nord funge da vasca di raccolta e prima sedimentazione (delimitata in azzurro nella Fig. 8). Da qui saranno pompate, inviate a filtri a sacco e riutilizzate nel ciclo produttivo.

Si tratta della procedura abitualmente seguita dalle cave, ma tutt’altro che esente da rischi d’inquinamento delle acque sotterranee. Va infatti osservato che gran parte dell’area di cava all’aperto è coperta da detriti scaricati sui pendii e utilizzati nelle rampe (Fig. 9); lo stesso piazzale dell’area servizi è realizzato su uno strato di detrito dello spessore di diversi metri (Fig. 8).
 

Fig. 9. A sinistra: terre e scaglie scaricati nella cava a pozzo dal piazzale superiore meridionale (antistante l’imbocco della galleria). A destra: rampa costruita con terre e scaglie, sostenuta al piede da un bastione in blocchi.

 

Data la notevole permeabilità di tali detriti, la maggior parte delle acque meteoriche (orientativamente il 70%) non raggiungerà la vasca di raccolta, ma si infiltrerà nel detrito e, raggiunto il substrato roccioso, nelle sue fratture, trascinando nell’acquifero i materiali fini dilavati.

Un’altra preoccupazione desta la vaghezza relativa al destino dei sedimenti (marmettola e terre) periodicamente asportati dalla vasca di raccolta; il piano d’escavazione, infatti, ne prevede la raccolta con i normali mezzi di cava e lo smaltimento «secondo gli accordi già in essere in cava per i cantieri esistenti». Quali siano tali accordi non è specificato, ma il fatto che attualmente le rampe di cava siano costruite con una miscela di terre e scaglie e che lo stesso piano d’escavazione preveda di realizzarle «con materiale derivante dall’escavazione» autorizza a pensare che si intenda utilizzare a questo fine anche i sedimenti fini della vasca di raccolta delle AMD, esponendoli pertanto nuovamente al dilavamento e all’infiltrazione nelle acque sotterranee.

In ogni caso, l’abituale costruzione delle rampe di cava con terre e scaglie (prevista anche nel piano d’escavazione) comporta gli stessi inconvenienti appena descritti, vista la permeabilità di tali materiali.

Analoga indeterminatezza e preoccupazione riguarda le procedure di prevenzione dell’inquinamento delle acque meteoriche di dilavamento derivanti dalla manutenzione dei mezzi meccanici: nella relazione AMD ci si limita a dire che la manutenzione sarà svolta «su un’area del piazzale di cava privo di litoclasi, scelto dal sorvegliante in funzione delle lavorazioni», affermazione contraddetta dalla relazione “Progetto opere a tutela interessi collettivi” nella quale si dettaglia meglio che essa sarà eseguita «nell’area dedicata denominata “Area servizi B”. Nel caso di sversamenti accidentali … le acque saranno convogliate nell’apposita vasca di contenimento, evitando così la dispersione nell’ambiente».

Ciò desta serie preoccupazioni, visto che l’area servizi è un piazzale di detrito, quindi molto permeabile (e si prevede di rialzarla di ulteriori 3 metri «con un riporto di terra e detriti riutilizzati derivati dall’escavazione). Tali preoccupazioni sono confermate dalla scelta di realizzare l’area servizi «in maniera tale da avere una pendenza di scolo verso la vasca» (riferendosi alla vasca V1, appositamente dedicata alla raccolta delle AMD dell’area servizi: Fig. 8B, a sinistra). È evidente, infatti, che le AMD contaminate da materiali fini (e, potenzialmente, da oli o carburanti), prima di raggiungere la vasca, si infiltreranno nel detrito dell’area servizi inquinando le acque sotterranee.

Considerato dunque che le modalità di raccolta delle AMD sia dell’area servizi che della restante area di cava all’aperto non garantiscono in alcun modo la prevenzione dell’inquinamento delle acque, si rendono necessarie precise prescrizioni:

  • tutta l’area della cava a pozzo sia completamente ripulita dai detriti; eventualmente possono esservi reintrodotte le sole scaglie (dopo vagliatura e lavaggio), mentre i materiali fini vanno allontanati (con eventuale stoccaggio temporaneo esclusivamente in contenitori a tenuta stagna);
  • anche le rampe di cava siano realizzate con sole scaglie lavate, di granulometria adeguata;
  • l’intero piazzale dell’area servizi sia impermeabilizzato (ad es. con asfaltatura), così come la vasca di raccolta delle sue AMD (ci auguriamo vivamente che la buca visibile in Fig. 8B a sinistra non sia la “vasca” definitiva di progetto, ma solo una sua fase di allestimento!);
  • i sedimenti fini delle vasche di raccolta siano allontanati, vietandone il reimpiego sia in cava che nelle sue pertinenze (ravaneti, vie d’arroccamento); l’eventuale stoccaggio sia consentito solo in contenitori a tenuta;
  • anche nella risistemazione finale della cava si eviti ogni impiego di terre.

 

6.       Valutazione di compatibilità paesaggistica

I contenuti della relazione paesaggistica sono riassunti nella seguente tabella, in relazione agli elementi necessari alla verifica di compatibilità paesaggistica indicati nelle Linee guida del PIT (Allegato 4).

 

All. 4 Linee guida PIT: elementi richiesti Relazione paesaggistica
a) Individuazione del contesto paesaggistico; “Studio delle componenti del paesaggio” (struttura idro-geomorfologica, ecosistemica, antropica, elementi della percezione, caratteri di degrado e criticità) Risponde riportando stralci del PIT, del PTC, della relazione tecnica e del SIA
b) e c) Individuazione degli effetti degli interventi proposti sulle componenti del paesaggio. Individuazione degli effetti cumulativi sul paesaggio Risponde che non viene modificata la qualità del paesaggio e riporta un allegato fotografico con riprese da vari punti d’osservazione
d) Motivazioni delle soluzioni progettuali in riferimento: 1) alle caratteristiche valoriali o di degrado del contesto desunte dallo “studio delle componenti del paesaggio” e 2) agli obiettivi di conservazione/riquali­fi­ca­zione e alle misure di tutela individuate dal Piano Paesaggistico Fraintende la richiesta.
Riporta infatti le motivazioni produttive del piano d’escavazione, anziché relazionare ai punti 1) e 2) le soluzioni progettuali scelte
e) Sostenibilità paesaggistica in considerazione della migliore integrazione paesaggistica del ripristino finale Risponde che, non essendo stati individuati impatti critici sul paesaggio, non sono necessarie misure di mitigazione o compensazione.
Come misure di prevenzione riporta quelle di tutela delle acque (da noi già criticate nelle presenti osservazioni). È presente la relazione “Perizia di stima” del progetto di risistemazione finale.
f) Coerenza del progetto di recupero/risiste­ma­zio­ne e di riqualificazione con le caratteristiche valoriali o di degrado descritti nello “Studio delle componenti del paesaggio” e con le misure di tutela e gli obiettivi del Piano Paesaggistico Risposta ottimistica: trattandosi di escavazione in sotterraneo, il progetto non aggraverebbe le criticità esistenti e si allineerebbe con gli obiettivi di qualità del PIT; a sostegno, viene riportata una rassicurante sintesi dell’analisi degli impatti (tratta dal SIA).

 

I limiti riscontrabili nella valutazione paesaggistica sono “figli” della stessa visione culturale che orienta l’intera documentazione progettuale, probabilmente derivata da quell’assuefazione da lungo tempo a modalità operative così generalizzate nelle attività estrattive da offuscarne la piena percezione dell’impatto ambientale.

Così la relazione paesaggistica, da una parte richiama le criticità individuate dal PIT (vie d’arroccamento, ravaneti, marmettola nei corsi d’acqua) e i conseguenti obiettivi di qualità, volti al recupero ambientale e alla riqualificazione di tali elementi di degrado, nonché le esigenze di: conseguire le migliori soluzioni progettuali nella realizzazione delle aree e della viabilità di cava; risistemare i ravaneti nell’ottica del mantenimento di specifici equilibri idrogeologici e paesaggistici; adottare tecniche di escavazione e di risistemazione volte a tutelare quantità e qualità delle acque sotterranee.

Sorprendentemente, tuttavia, non ritiene necessario individuare soluzioni progettuali, misure di tutela e di compensazione volte a conseguire tali obiettivi e a soddisfare tali esigenze.

Abbiamo già messo in evidenza l’insufficienza delle misure di tutela delle acque superficiali e sotterranee e proposto al riguardo misure concrete di prevenzione. Affrontiamo di seguito il problema della riqualificazione paesaggistica e funzionale del ravaneto sul quale è impostata la via d’arroccamento (comprensoriale) per le cave Calacata e Piastriccioni, proprio nell’ottica di migliorarne gli equilibri idrogeologici e paesaggistici.

Va premesso che, anche se il piano d’escavazione non prevede modifiche del ravaneto, quest’ultimo ne costituisce parte funzionale essenziale (per il raggiungimento della cava) e le sue condizioni di degrado sono comunque conseguenti all’attività della cava stessa.

In sintesi, per le ingenti quantità di terre scaricatevi (che hanno colmato la Fossa Calacata), il ravaneto induce diversi problemi ambientali:

  • compromissione della qualità paesaggistica, per l’aspetto fortemente degradato (Fig. 10);
  • per l’elevata permeabilità, le acque piovane vi si infiltrano e, penetrando poi nelle fratture del substrato, trascinano marmettola e terre nell’acquifero che alimenta il gruppo di sorgenti di Torano;
  • il dilavamento meteorico della superficie del ravaneto provoca intorbidamento delle acque superficiali (il Can. Porcinacchia e il T. Carrione, suo recettore);
  • con precipitazioni intense il ravaneto, per l’imbibizione e la liquefazione delle terre, è soggetto a frane (debris flow) che apportano notevoli quantità di detriti al Carrione, riducendone progressivamente la capacità idraulica e accrescendone così il rischio alluvionale.

 

Fig. 10. Il ravaneto Calacata costituisce un forte elemento di degrado e contiene ingenti quantità di terre. A: visto dall’alto (2009); B: visto dal basso (2015). C e D: terre e marmettola trascinate al piede della via d’arroccamento (e, subito dopo, nell’adiacente tratto alto del canale Porcinacchia), riprese in condizioni meteorologiche asciutte (C) e piovose (D).

 

È dunque evidente la necessità di affrontare tali criticità nell’ottica della riqualificazione paesaggistica e idrogeologica richiesta dal PIT. Proponiamo di seguito una soluzione volta ad affrontare contestualmente le problematiche sopra individuate, basata su due principi ispiratori:

  • rimuovere dal ravaneto tutte le frazioni fini, al fine di prevenire l’inquinamento delle acque e di ridurre la propensione alle colate detritiche;
  • ricostruire il ravaneto con le sole scaglie, rimodellandolo e stabilizzandolo, per evitare gli apporti detritici agli alvei, ridurre il rischio alluvionale e migliorare l’inserimento paesaggistico.

Il primo punto è già stato abbondantemente trattato; di seguito viene brevemente illustrato il secondo punto.

Merita premettere un concetto fondamentale: per ridurre il rischio alluvionale occorre rallentare i deflussi nel bacino montano. Se infatti tutta l’acqua di una precipitazione molto intensa sul bacino montano scorre velocemente, raggiungerà in breve tempo Carrara, dove darà luogo ad un picco di piena catastrofico. Se invece la velocità di deflusso è lenta, la stessa quantità di acqua scorrerà distribuendosi su un tempo maggiore: il picco di piena arriverà a Carrara con maggior ritardo e, soprattutto, sarà più ridotto e transiterà pertanto senza esondare (Fig. 11).
 

Fig. 11. I due grafici schematizzano concettualmente l’idrogramma di piena a Carrara in condizioni di deflusso rapido e lento. A sinistra: se le acque di una precipitazione eccezionale cadute nel bacino montano del Carrione scorrono molto velocemente, colpiscono Carrara con un picco di piena distruttivo (anticipato, improvviso e molto elevato). A destra: se le stesse acque scorrono più lentamente si distribuiscono in un tempo maggiore: il picco di piena a Carrara è ritardato e più basso e transita perciò senza esondare.

 

Ciò considerato, un ravaneto costituito di sole scaglie ridurrebbe il rischio alluvionale attraverso un duplice meccanismo:

  1. interrompendo l’apporto di detriti agli alvei (che attualmente ne incrementa progressivamente il rischio);
  2. comportandosi come una grande spugna che assorbe le acque meteoriche e le rilascia poi lentamente, attenuando in tal modo i picchi di piena a valle.

Completando l’intervento con il rimodellamento del ravaneto e la sua stabilizzazione (con la tecnica dei muretti a secco o con gabbionate di scaglie o con bastioni in blocchi: Fig. 12) si conseguirebbe il suo inserimento paesaggistico (decisamente più decoroso) e si risolverebbero contestualmente tutte le criticità sopra citate, dando piena risposta allo spirito e alla lettera del PIT.
 

Fig. 12. Esempi di tecniche utilizzabili per migliorare l’inserimento paesaggistico dei ravaneti. A e B: tecnica dei muretti a secco, largamente impiegata in passato anche per altezze ragguardevoli; C: gabbionate in rete metallica riempita di scaglie; D: bastioni in blocchi.

 

Merita evidenziare che la proposta contribuirebbe a ricostruire una nuova e più rispettosa identità dei luoghi, in contrapposizione alla barbara “identità” attuale (delle discariche alla rinfusa a cielo aperto) che, sebbene largamente diffusa, è da bandire definitivamente dalle nostre montagne.

Naturalmente, anche la via d’arroccamento impostata sul ravaneto deve essere realizzata con sole scaglie, utilizzando una miscela granulometrica adeguata per lo strato superficiale.

Tenuto conto che la via d’arroccamento impostata sul ravaneto non è ad esclusivo servizio della cava Calacata (servendo anche le sovrastanti cave Piastriccioni), riteniamo che debba essere prescritto congiuntamente alla cava Calacata e alle cave Piastriccioni l’impegno a presentare e ad attuare un piano di riqualificazione del ravaneto e della via d’arroccamento secondo i principi sopra esposti.

 

7.       Conclusioni

Teniamo ad evidenziare che le nostre proposte, sebbene siano agli antipodi rispetto alle modalità presentate nel piano di coltivazione, sono sostanzialmente riassumibili in un solo e semplice principio ispiratore: in tutte le fasi del processo lavorativo si eviti la dispersione nell’am­biente di marmettola e terre.

La loro applicazione pratica è dunque molto semplice: una volta acquisita la consapevolezza e la condivisione di tale obiettivo basterà adottare nuove procedure di lavoro per farle diventare ben presto talmente abitudinarie da non comportare alcuna difficoltà.

È quanto infatti si è già verificato nei primi anni ’90 con le ordinanze che hanno introdotto l’obbligo di misure di prevenzione dell’inquinamento da idrocarburi: anche allora il mondo delle cave manifestò una strenua opposizione a modificare le procedure lavorative, ma poi si accorse che l’istituzione del servizio di raccolta degli oli esausti, l’obbligo di serbatoi idonei a consentire l’uso di oli e di carburanti in condizioni di sicurezza, la detenzione di materiali oleoassorbenti, ecc. erano perfettamente inseribili in nuove procedure che, di fatto, sono diventate abitudinarie senza comportare alcuna difficoltà ed hanno notevolmente migliorato la compatibilità ambientale dell’escavazione (Fig. 13).
 

Fig. 13. Esempi di moderni serbatoi di oli (A) e carburanti (B) che hanno sostituito le incivili modalità precedenti (anni ’90), causa di inquinamento delle acque sotterranee. C e D: vecchie modalità di stoccaggio ed erogazione di oli esausti. E e F: vecchie modalità di stoccaggio ed erogazione di carburanti.

 

Oggi è più che maturo il momento di fare un ulteriore salto di qualità adottando analoghe misure per prevenire l’inquinamento da materiali fini (marmettola e terre). È questo un motivo in più per inserire nell’atto autorizzativo le prescrizioni proposte nelle presenti osservazioni, dando concreta attuazione alla direttiva 1.3 del PIT (scheda d’ambito n. 2 – Versilia e costa apuana) «tutelare le risorse idriche superficiali e sotterranee e il patrimonio carsico epigeo ed ipogeo», alla direttiva 1.8 «migliorare i livelli di compatibilità ambientale e paesaggistica delle attività estrattive» e all’obiettivo di qualità «riqualificare le aree interessate da ravaneti che presentano fenomeni di degrado» (Allegato 5b, scheda 14, Bacino Piscinicchi e bacino Pescina-Boccanaglia bassa).

Tenuto conto, infine, che dall’escavazione in sotterraneo ci si dovrebbero aspettare rese in blocchi elevate (dato l’uso delle tagliatrici a catena e non essendo presente il cappellaccio), si invita, nell’istruttoria del piano di coltivazione, a valutare se sia davvero opportuno autorizzare una cava in sotterraneo avente un tale grado di fratturazione del marmo da dare una resa in blocchi del solo 25% (295.000 t di detriti!).

Legambiente Carrara
 



Per saperne di più:

Sull’impatto delle cave e sulla normativa permissiva:

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Come tutelare le Apuane? La ricetta del Parco: non bastano le cave, aggiungiamo i frantoi  (14/7/2015)

Esplosivo dossier sulle cave apuane: le osservazioni di Legambiente  (18/11/2014)

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Sulle problematiche tra cave e inquinamento delle sorgenti e dei corsi d’acqua:

Come si progetta l’inquinamento delle sorgenti? Osservazioni alle cave Tagliata e Strinato  (14/6/2015)

La Regione protegga le sorgenti dalle cave di marmo (27/3/2014)

Cosa (non) si fa per la protezione delle sorgenti? (16/1/2010)

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Gestire le cave rispettando l’ambiente e i cittadini: le proposte di Legambiente (11/1/2007)

Come le cave inquinano le sorgenti (conferenza, illustrata) (17/3/2006)

Inquinamento delle sorgenti. Mancano i filtri? No, manca la prevenzione! (4/12/2005)

Frigido: vent’anni di indagini chimiche, biologiche ed ecologiche  (Arpat, 2003)

Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (1991)

Impatto della marmettola sui corsi d’acqua apuani  (volume 1983)

Sulle problematiche tra cave, dissesto idrogeologico ed alluvione:

Come fermare la fabbrica del rischio alluvionale  (7/11/2015)

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