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Osservazioni alla cava Pescina: non rilasciare autorizzazioni illegittime

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Al Parco Regionale delle Alpi Apuane

Al Comune di Carrara, Settore Marmo

p.c.

Soprintendenza BAP LU-MS

ARPAT

 
Oggetto: Cava Pescina A n. 13, bacino Pescina-Boccanaglia, Carrara
(Escavazione La Gioia srl): osservazioni al piano di coltivazione

 

Il piano prevede la ripresa della coltivazione a cielo aperto della cava Pescina A, con uso prevalente di tagliatrice a catena a secco e filo diamantato a secco; sarà invece utilizzata acqua per la riquadratura nei piazzali con filo diamantato.

Le presenti osservazioni si focalizzano su due aspetti del piano che non rispettano la normativa ambientale: la gestione delle acque (di lavorazione e meteoriche) e del detrito.

 

La vulnerabilità dell’acquifero

Si premette che, come descritto nelle relazione geologica, l’affioramento marmifero adiacente alla fossa di Pescina presenta una buona fessurazione con fratture quasi sempre aperte che, coadiuvate dal carsismo, drenano le acque convogliandole in profondità ad alimentare la rete idrica sotterranea e le sorgenti del gruppo di Torano. L’assorbimento è così elevato che si ha scorrimento superficiale solo in occasione di piogge molto intense.

La rapida variazione di portata delle sorgenti (Carbonera e Pizzutello), la bassa durezza delle acque sorgive e il loro intorbidamento in seguito a forti precipitazioni testimoniano una circolazione piuttosto veloce entro le macrofessurazioni beanti del marmo.

L’assorbimento delle acque nei ravaneti è ancor più rapido e accentuato (rispetto al marmo); le acque sgorgano poi in parte al piede del ravaneto (alimentando il Fosso Porcinacchia) e in parte penetrano nelle fratture del substrato roccioso, alimentando l’acquifero.

Anche se non è riportato nella documentazione progettuale, è ben noto che prove con spore di licopodio eseguite in alcune cave (Pratazzuolo B, Calacata, Ruggetta B, Crestola C, Piastriccioni C), tutte situate –come quella di Pescina A– nel fianco inverso della sinclinale di Carrara hanno dimostrato la connessione idraulica delle cave con le due sorgenti studiate (Carbonera e Pizzutello).

A dispetto degli elementi sopra citati, la documentazione progettuale adotta un atteggiamento “negazionista” del rischio d’inquinamento delle acque sotterranee (e non cita nemmeno quello delle acque superficiali). Afferma, ad es. che «l’escavazione non interferirà sulle sorgenti esistenti, perché i giunti rilevati e cartografati nella tavola delle fratture non sono interessati, al momento dei rilievi di campagna, né da scorrimento idrico né dalla presenza di umidità» (Relazione geologica, pag. 6).

Un’affermazione palesemente pretestuosa e inconsistente (se il rilievo di campagna viene effettuato in un periodo asciutto, infatti, è ovvio che le fratture non mostreranno scorrimento idrico!), peraltro contrastante con quanto detto alla pagina precedente (la fessurazione «drena le acque superficiali, convogliandole in profondità ad alimentare la rete idrica sotterranea» e nella stessa pagina 6, laddove raccomanda di evitare la dispersione sul terreno di «oli minerali che, penetrando in profondità, potrebbero interessare la rete idrica».

Considerato questo atteggiamento negazionista, contraddittorio e smentito dai dati esistenti, l’intero progetto d’escavazione è da respingere.

Al contrario, considerata la vulnerabilità dell’acquifero, il piano d’escavazione dovrebbe prevedere stringenti misure di prevenzione, a tutela delle acque sotterranee (nonché di quelle superficiali). Come di seguito argomentato, ciò non è avvenuto. In particolare, è evidente che nella mentalità dei progettisti la torbidità delle acque superficiali e sotterranee non è nemmeno considerata inquinamento.

 

La gestione delle acque di lavorazione

Il ciclo delle acque di lavorazione è descritto molto succintamente nel Piano di coltivazione (pag. 6-7 e 18-20). Da questi vaghi accenni si ricava che le acque di taglio di riquadratura, contenute nelle adiacenze da un cordolo in materiale fine, saranno pompate alla vasca di decantazione munita di filtri a sacco, dopo di che saranno inviate alle cisterne di stoccaggio, per il ricircolo.

Tuttavia l’affermazione che i gradoni, pur essendo fratturati, diventano praticamente impermeabili per la costipazione del materiale fine nelle fratture, determinata dal continuo passaggio dei mezzi gommati (pag. 19), fa pensare alla almeno parziale dispersione delle acque di taglio sui gradoni (non adeguatamente contenute nella ristretta area di taglio). Quest’ultima impressione è confermata dal Piano di mitigazione polveri diffuse (pag. 9), laddove si afferma che «dato che le lavorazioni di sezionamento e taglio in piazza verranno eseguite con uso di acqua, le rampe e i piani di lavoro saranno sempre umidificate, per cui non saranno sollevate polveri…».

In ogni caso tali affermazioni sono un’esplicita ammissione che i gradoni saranno costantemente invasi da materiali fini (terre e marmettola) e che, addirittura, si confida sulla loro azione impermeabilizzate sulle fratture. In altre parole, l’accorgimento che si intende utilizzare per evitare che i materiali fini penetrino nelle fratture (e da lì nel sistema carsico, inquinando le acque sotterranee) è quello di saturare queste ultime con i materiali fini stessi: una vera e propria contraddizione in termini!

Si fa inoltre osservare che l’ordinanza n. 53845 del 16/2/2002 del comune di Carrara prescrive tra l’altro di «provvedere ad attivare modalità di lavorazione tese a ridurre al minimo i rischi di contaminazione ambientale, evitando dispersione di acque di lavorazione sulle superfici di cava, mediante la loro raccolta immediata al piede del taglio e loro invio al trattamento attraverso tubazioni chiuse, oltre al corretto smaltimento della marmettola assieme ai suoi contaminanti».

Le modalità previste dal piano di coltivazione, violano dunque l’ordinanza comunale e, soprattutto, il D.Lgs. 152/2006 (art. 103) che vieta lo scarico sul suolo o nei suoi strati superficiali, consentendolo per gli scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali «purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere».

Un’eventuale autorizzazione che non tenesse conto degli aspetti segnalati sarebbe per-tanto illegittima (come peraltro lo è la stragrande maggioranza di quelle finora rilasciate). Riteniamo perciò doveroso che le modalità previste dal piano di coltivazione siano respinte già nella fase della procedura di VIA.

D’altronde, anche se le acque di lavorazione fossero confinate in un’area ristretta al piede del taglio e inviate ai filtri in tubazione chiusa, si assisterebbe al ridicolo paradosso di evitare l’infiltrazione nell’acquifero delle acque inquinate nella sola area ristretta, mentre tutt’attorno (nei piazzali invasi da fanghi) proseguirebbe l’infiltrazione di materiali fini nell’acquifero (con violazione di legge). In tali condizioni, agli effetti pratici della tutela delle acque sotterranee, la raccolta e il trattamento delle sole acque di lavorazione sarebbero sostanzialmente ininfluenti.

Chiediamo pertanto che l’eventuale autorizzazione sia accompagnata dalla prescrizione di tenere scrupolosamente e costantemente puliti come uno specchio tutti i piazzali di cava, eventualmente ricorrendo a macchine lavanti-aspiranti per grandi superfici (anziché ricorrere ad una pulizia periodica e grossolana con pala meccanica e/o bobcat, come prevede il Piano di mitigazione delle polveri diffuse: pag. 9).

Per assicurare il mantenimento della pulizia dei piazzali anche durante le piogge chiediamo che anche le rampe interne alla cava siano realizzate con sole scaglie pulite, completamente prive di frazioni fini (che, altrimenti, sarebbero dilavate dalle acque meteoriche) e che i cordoli di contenimento delle acque (“rieste”), se realizzati con materiali fini, prevedano il loro insaccamento, in modo da non essere essi stessi fonte di inquinamento.

Tenuto conto della diffusa mentalità, profondamente radicata nei cavatori, che considera del tutto normali i piazzali invasi da fanghi, teniamo a sottolineare che per assicurare l’effettivo rispetto di tale prescrizione, quest’ultima deve essere inserita tra le prescrizioni la cui inosservanza comporta la sospensione immediata dell’autorizzazione (fino al completo adempimento) e, in caso di recidiva, il suo definitivo ritiro.

 

La gestione delle acque meteoriche di prima pioggia

Il piano prevede lo scorrimento di tali acque (primi 5 mm) su tutte le superfici di cava e la loro raccolta nel ripiano inferiore (a quota 363 m), seguita da decantazione, filtrazione e riciclo. Per evitare l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee si confida sull’impermeabilità delle fratture (chiuse dal materiale fine costipato dal passaggio dei mezzi meccanici) e sul prevenire la fuoriuscita di acque dalla cava, grazie ad un cordolo in detriti con materiali fini situato al bordo di valle dei piazzali.

Si prevede che circa la metà delle acque di prima pioggia resterà negli avvallamenti dei piazzali ed evaporerà nel giro di qualche giorno. Ad ogni svuotamento della zona di raccolta si allontanerà la marmettola depositata (previsti circa 5 quintali per ogni pulizia).

«Quando le precipitazioni sono copiose, parte delle acque che cadono sulle strade e rampe scendono verso il sottostante compluvio del fosso di Pescina e vanno ad alimentare il canale di Porcinacchia» (Piano gestione acque meteoriche, pag. 4) e, aggiungiamo noi, la restante parte si infiltra nel substrato alimentando l’acquifero. Con le piogge intense si verifica pertanto l’inquinamento (intorbidamento) sia delle acque superficiali sia di quelle sotterranee.

Dovrebbe essere superfluo, ma è purtroppo essenziale ricordare che lo scopo della raccolta e trattamento delle acque meteoriche di dilavamento è quello di evitare l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee; la VIA non deve pertanto accontentarsi dell’esistenza formale di un piano di gestione, ma deve assicurare la sua adeguatezza al raggiungimento delle finalità di legge. In caso contrario, l’autorizzazione rilasciata sarebbe illegittima.

A tal fine devono essere adottati accorgimenti volti a ridurre al minimo tale inquinamento, puntando ad eliminare all’origine le fonti inquinanti più che a convogliarle e trattarle (in parte e solo per i primi 5 mm di pioggia).

Gli accorgimenti da prescrivere sono quelli già indicati nel paragrafo sulle acque di lavorazione: scrupolosa e costante pulizia dei piazzali, rampe prive di frazioni fini e insaccamento dei materiali fini per la realizzazione dei cordoli.

 

Piano di gestione del detrito

Il deposito temporaneo del detrito (68 t/giorno) è previsto nel vecchio piazzale presso la rampa di accesso alla cava e, eventualmente, nell’area adiacente all’imbocco della rampa di accesso al piazzale superiore. Nel piazzale inferiore citato sono previsti la riduzione di dimensioni delle scaglie con martellone, la separazione delle terre mediante grigliatura e il carico su camion per l’allontanamento.

Una parte del materiale terroso sarà riutilizzata in cava per la manutenzione e rifinitura periodica delle rampe interne e nella realizzazione di rieste.

Le modalità di gestione previste pertanto espongono in permanenza terre e marmettola (contenute nei cumuli di detrito e nelle rampe) al dilavamento meteorico, con conseguente inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, soprattutto negli eventi piovosi intensi.

Per tali motivi le modalità previste dal piano di gestione violano la disciplina di settore (il D.Lgs. 117/2008, nemmeno citato nel progetto) che, all’art. 3, condiziona i depositi temporanei dei rifiuti d’estrazione alla mancanza di rischi per le acque e all’adozione delle miglior tecniche disponibili. Il piano di gestione, peraltro, non contiene nemmeno gli elementi previsti dall’art. 5 (caratterizzazione dei rifiuti, ecc.). Il piano pertanto deve essere respinto.

Si precisano fin d’ora gli accorgimenti che a nostro parere dovrà prevedere il piano, qualora sia ripresentato:

  • assenza di cumuli all’aperto contenenti materiali fini;
  • appena prodotti, i detriti vanno portati a valle o trasferiti in un locale coperto, ripulendo la superficie di cava che li conteneva;
  • dopo la vagliatura (da effettuare al coperto), le terre vanno depositate in contenitori a tenuta stagna;
  • solo le scaglie pulite possono essere esposte al dilavamento meteorico;
  • per la stessa ragione, le rampe di cava vanno realizzate con sole scaglie, senza frazioni fini.

Come si vede, si tratta di accorgimenti semplici, economici, che non richiedono particolari tecnologie, ma solo una gestione attenta e rispettosa delle risorse idriche. Non essendovi alcun motivo ostativo, chiediamo che tali accorgimenti siano inseriti (come “migliori tecniche disponibili”) tra le prescrizioni la cui inosservanza comporta la sospensione immediata dell’autorizzazione (fino al completo adempimento) e, in caso di recidiva, il suo immediato ritiro.

Anche in questo caso, un’autorizzazione che non tenesse conto dello spirito e della lettera della normativa sarebbe illegittima.

Si fa infine presente che una rilevante fonte di inquinamento delle acque è lo stesso ravaneto sul quale si inerpica la via d’arroccamento di Pescina-Crestola. Considerato che la via serve più cave, si chiede fin d’ora di prevedere nei piani attuativi di bacino estrattivo il completo smantellamento del ravaneto e la sua ricostruzione con sole scaglie pulite.

Si chiede cortesemente di ricevere per posta elettronica (info@legambientecarrara.it o legambiente.carrara@pec.it) gli atti dell’esito del pronunciamento di compatibilità ambientale e del procedimento autorizzatorio. Ringraziando si porgono distinti saluti.

Legambiente Carrara
 

Cava Pescina A: situazione attuale.
Cava Pescina A: situazione dopo la prima fase di coltivazione (simulazione grafica progettuale).
Cava Pescina A: situazione dopo la seconda fase di coltivazione (simulazione grafica progettuale).

 



Per saperne di più:

Osservazioni alle cave:

Cave apuane: stop al disastro ambientale e all’illegalità  (G. Sansoni, 14/5/2016)

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