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Allarme terre di cava: il rischio alluvionale è aumentato!

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Regione Toscana
–   Presidente, Enrico Rossi
–   Ass. Cave, Vincenzo Ceccarelli
–   Ass. Ambiente e Difesa suolo, Federica Fratoni
–   Direzione Difesa Suolo e Protezione Civile, Giovanni Massini
–   Dir. Settore Assetto Idrogeologico, Gennarino Costabile

Comune di Carrara
–   Sindaco, Francesco De Pasquale
–   Ass. Ambiente, Sarah Scaletti
–   Ass. Politiche Marmo, Alessandro Trivelli
–   Ass. Politiche Territoriali, Maurizio Bruschi
–   Dir. Servizi Ambientali/Marmo, Franco Fini
–   Resp. Protezione Civile, Alessandro Mazzelli

p.c.    Università di Genova, DICCA, Giovanni Seminara

 

Oggetto: Allarme terre di cava: il rischio alluvionale è aumentato!

 

SOMMARIO (link ai paragrafi)

1.   Introduzione
2.   Relazione Seminara: le raccomandazioni per il bacino montano
3.   Se servono nuovi invasi montani, perché colmare quelli esistenti?
      3.1      Buca di Ravaccione: da cava a pozzo, a discarica
      3.2      Colonnata: altri invasi colmati da discariche (Calagio, Trugiano, Scalocchiella)
4.   Se bisogna eliminare le terre dai ravaneti, perché aggiungerne altre?
      4.1     Terre nei ravaneti: Gioia, Polvaccio (e mille altri)
5.   Ripristinare il reticolo idrografico: una sfida immane
      5.1     Il reticolo idrografico minore sepolto dai ravaneti: OK, ma eliminare le terre
      5.2     Alvei di fondovalle: vanno ripristinati, spostando le strade che li occupano
      5.3     Bacini di Torano e di Miseglia: soluzioni semplici (ma interventi imponenti)
      5.4     Bacino di Colonnata: il regno del caos idraulico
6.   Cosa chiediamo: informazione, partecipazione, atti coerenti



 

1.   Introduzione
  

Con la presente, nel prendere atto dei numerosi interventi di sistemazione idraulica effettuati e in corso sull’asta principale del Carrione a valle di Carrara, esprimiamo profonda preoccupazione poiché non cogliamo alcun mutamento nella gestione del bacino montano, quasi mancasse la consapevolezza che il centro città resta sottoposto a un rischio alluvionale molto elevato, essendo il tratto urbano largamente inadeguato al transito della piena trentennale.

Va ricordato che il masterplan (allegato A, pag. 16), fermi restando gli interventi in alveo, sottolinea la priorità della realizzazione degli invasi montani e del by-pass per una efficace mitigazione del rischio idraulico a scala di bacino. Tuttavia, poiché questi interventi devono essere preceduti dall’attuazione delle raccomandazioni della relazione Seminara (rimozione delle terre dai ravaneti e ripristino del reticolo idrografico montano: pag. 95), ogni ritardo nell’attuazione di queste ultime espone l’intera città a nuove alluvioni.

Lanciamo pertanto un vero grido d’allarme sull’attuale gestione delle cave che, andando in direzione contraria a tali raccomandazioni, sta producendo imponenti trasformazioni nel bacino montano, con progressiva e rilevante riduzione della capacità di ritenzione delle acque meteoriche, aumento del trasporto solido e riduzione della capacità idraulica delle aste fluviali. Non lamentiamo dunque lentezze d’at­tuazione ma, al contrario, una gestione che incrementa attivamente il rischio alluvionale, vanificando l’efficacia degli interventi eseguiti a valle.

In questa sede ci limiteremo a segnalare il colmamento di invasi esistenti (cave a fossa, adibite a discarica di detriti) e l’aumento delle terre abbandonate al monte in discariche in rilevato e nei ravaneti, incrementandone la propensione a generare colate detritiche.

Infine, considerato che, a loro volta, il dimensionamento e l’attuazione degli interventi nel bacino montano sono subordinati all’approfondimento delle conoscenze idrologico-idrauliche (masterplan, allegato C, pag. 4) e alle risultanze dello studio ad hoc previsto dalla relazione Seminara (pag. 111) per stimare il contributo dei ravaneti (ripuliti dalle terre) all’attenua­zione dei picchi di piena e rivisitare lo studio idrologico, chiederemo conto dello stato di questi studi, sollecitandone eventualmente il completamento poiché rappresentano il collo di bottiglia che preclude la sistemazione del bacino montano.


 

2.    Relazione Seminara: le raccomandazioni per il bacino montano

 

Considerate le gravi criticità idrauliche del tratto urbano del Carrione, stretto tra gli edifici del centro storico, il massimo ottenibile (con importanti interventi sui ponti e sull’alveo e realizzando una galleria di bypass dal Carrione di Torano al Canale di Gragnana) è la sua protezione della piena trentennale (Q30). La protezione dalla piena duecentennale (Q200) è assegnata pertanto al bacino montano, che dovrà farsi carico di trattenere anche le portate eccedenti la Q30 che il tratto urbano non è in grado di veicolare.

A tal fine, la Relazione Seminara (2016) prevede nel bacino montano una serie di sbarramenti a luce tarata alti 15 m che, in occasione delle precipitazioni più intense, formino invasi temporanei, del volume complessivo di quasi 1 milione di m3 (Tab. 1).
 

Tab. 1. I 16 invasi previsti dalla relazione Seminara e relativo volume (per la loro ubicazione si veda la Fig. 1). Il volume di laminazione complessivo (scartando i 5 invasi in grigio, data la loro scarsa efficacia) sfiora il milione di m3. Si noti inoltre che, per problematicità di varia natura, probabilmente non tutti gli 11 invasi potranno essere realizzati.

Invaso Note Volume (m3)
Gragnana 2 non problematica 66.400
Sorgnano 2 richiede stabilizzazione versante 123.800
Pescina 1 non problematica 49.500
Pescina 2 non problematica 40.700
Pescina 3 non problematica 48.200
Torano 4 interferisce con strada, infermeria, casa, laboratorio, piede ravaneto Piastra 173.300
Torano 15 richiede stabilizzazione versante destro (sotto cimitero Marcognano) 89.400
Torano 16 richiede stabilizzazione in sinistra e rimozione discarica a monte ponte Piastra 59.000
Colonnata 21 (cava Ponti Vara) richiede scarico fondo e verifiche piloni e tensione cava 180.800
Colonnata 25 riporti detritici in coda 62.700
Colonnata 29 richiede stabilizzazione in dx; in sx comunica con cava a pozzo La Piana A 103.700
Colonnata 27 efficienza molto bassa 30.300
Colonnata 1 efficienza molto bassa 24.900
Colonnata 4 efficienza modesta, interferisce con strada e manufatti 71.600
Colonnata 6 efficienza modesta, interferisce con segherie, sorgenti, strada 119.600
Colonnata 7 efficienza modesta, interferisce con strada e manufatti 48.200
Totale generale 1.292.100
Totale invasi efficaci (scartando gli invasi Colonnata 1, 4, 6, 7, 27) 997.500

 
La relazione, tuttavia, sottolinea (p. 95) che la realizzazione degli invasi montani «è comunque condizionata alla preventiva implementazione delle raccomandazioni» seguenti:

  • la sistemazione dei ravaneti esistenti, rimuovendo dallo strato superficiale i materiali fini presenti che innescano colate detritiche che, riversandosi negli alvei, ne riducono la capacità idraulica;
  • il ripristino del reticolo idrografico montano e la rimozione delle strade di fondovalle che restringono o occupano gli alvei.

Chiarisce inoltre (p. 111) che la progettazione degli sbarramenti dovrà essere preceduta da un monitoraggio dei deflussi (per ottenere indicazioni sull’effettiva distribuzione delle portate di piena) e dalla necessaria rivisitazione dello studio idrologico (condotto con il modello Mobidic), anche alla luce del ripristino di una maggiore permeabilità degli ammassi detritici (rimuovendo i materiali fini dai ravaneti) che potrà contribuire, in misura da accertarsi attraverso uno studio ad hoc, all’atte­nuazione dei picchi di piena.

Chiarisce infine (p. 5) che dalla realizzazione degli interventi nel bacino montano (volti tra l’altro a ridurre l’eccesso di apporto solido agli alvei) dipenderà anche la stabilità nel tempo degli interventi effettuati nel tratto di valle.


 

3.    Se servono invasi montani, perché colmare quelli esistenti?

 

Considerato che la protezione di Carrara dalla Q200 è affidata alla realizzazione degli invasi montani, non può sfuggire l’importanza di attuare preventivamente, fin da subito, le raccomandazioni e gli studi sopracitati.

Desta perciò grande preoccupazione il fatto che gli uffici comunali, anziché attivarsi per attuare tali raccomandazioni, si muovano in direzione contraria, consentendo l’incremento delle terre abbandonate al monte e, addirittura, il colmamento mediante discarica di invasi già esistenti (Fig. 1, in rosso).
 

Fig. 1. In azzurro: localizzazione degli invasi previsti nella relazione Seminara (previa verifica); in verde quelli scartati per il piccolo volume e la scarsa efficacia di laminazione. Nonostante l’esigenza di invasi, alcuni invasi esistenti (in rosso) sono stati recentemente colmati o sono in via di riempimento con detriti. In giallo, infine, sono segnalate alcune cave a pozzo attive, di cui è opportuno mantenere e migliorare la capacità di laminazione. Grag: Gragnana, Sorg: Sorgnano, Tor: Torano, Col: Colonnata, Cal: Calacata; BRav: Buca di Ravaccione, Str: Strinato, CgrB: Canalgrande B, BCgr: Bocca di Canalgrande, Trug: Trugiano, Clg: Calagio, Sca: Scalocchiella.


 

       3.1         Buca di Ravaccione: da cava a pozzo, a discarica
 

La Fig. 2 mostra le recentissime fasi di colmamento della cava a pozzo “Buca di Ravaccione” (nel bacino di Torano), ancora visibile nel 2016 (Fig. 2A), sebbene già in avanzata fase di riempimento (Fig. 2C e 2D) e, oggi, quasi completamente riempita da detriti e, soprattutto, terre (Fig. 2G).
 

Fig. 2. Colmamento della Buca di Ravaccione (per l’ubicazione, si veda BRav in Fig. 1), visto da nord-est (A-D) e da sud (E-G). A: marzo 2016: la buca, una profonda cava a pozzo dal cui fondo si dipartono gli ingressi delle gallerie (due delle quali visibili in C), è già in parte colmata. B: 2018: gran parte della buca è stata ormai riempita con detriti fini per realizzare il piazzale della cava a cielo aperto Collestretto (visibile in G). C e D (marzo e ottobre 2016): gli ingressi delle gallerie sul fondo della buca, parzialmente ostruiti. E, F e G: fasi del colmamento della buca (marzo 2016, giugno 2016 e marzo 2018). La freccia indica la sommità della parete della cava a pozzo che scendeva alle gallerie: ancora visibile in E, appena visibile in F e completamente sepolta in G. La linea punteggiata perimetra l’area (in buona parte ancora vuota in E) della sommità del piazzale di colmamento attuale. H: la freccia indica il basamento scalzato della cabina elettrica (a sinistra della stazione dell’ex ferrovia marmifera), ancora presente nel 2016 e assente nel 2018 (I) perché crollata nella buca e sepolta dai detriti. La vista mozzafiato della profonda cava a pozzo è stata così sostituita da quella di una discarica, con degrado paesaggistico, perdita di un’indubbia attrazione turistica e di capacità di laminazione delle piene.

 

È andata così perduta una cavità di circa 100.000 m3 che (soprattutto se dotata di scarico di fondo a luce tarata), in occasione di precipitazioni intense avrebbe potuto accogliere le acque, sottraendole alle piene; è evidente che la perdita di aree di laminazione incrementa il rischio alluvionale.

L’effetto, certamente non intenzionale, fa emergere un grave limite di fondo degli uffici comunali: mentre sul Carrione a valle di Carrara fervono i lavori per ridurre il rischio alluvionale, a monte lo si incrementa. Ciò evidenzia la necessità di introdurre le ripercussioni sul rischio idraulico –oggi totalmente trascurate– nella valutazione d’impatto ambientale propedeutica al rilascio delle autorizzazioni alle cave e, più in generale, in tutte le politiche settoriali.


 

      3.2         Colonnata: altri invasi colmati da discariche (Calagio, Trugiano, Scalocchiella)
 

Analoga perdita di invasi che, se ben approntati, avrebbero potuto contribuire alla riduzione dei picchi di piena si è verificata ed è tuttora in atto nel bacino di Colonnata, ai piedi di Gioia dove, nel breve spazio di poche centinaia di metri, sono in avanzato stadio di colmamento le cave dismesse di Calagio, Trugiano e Scalocchiella.

Il riempimento della cava a pozzo Calagio (Fig. 3) adiacente alla strada comunale, profonda 40 m, comporta la perdita di un volume di invaso di circa 370.000 m3, da solo superiore a quello cumulativo dei due invasi più grandi indicati nella relazione Seminara (Torano 4 e Colonnata 21: vedi Tab. 1).

A breve distanza, è quasi completato anche il riempimento con terre della cava a fossa Trugiano che comporta la perdita di un volume d’invaso di circa 160.000 m3 (Fig. 4).

Anche la cava Scalocchiella, ai piedi di Gioia, è stata colmata con terre, approfittando dei lavori di sistemazione della viabilità di arroccamento (Fig. 5).
 

Fig. 3. 2017: la cava a pozzo Calagio, dismessa una decina di anni fa, vista da lontano (A) e da vicino (B). La cava è utilizzata come discarica del cantiere superiore, scaricando dall’alto terre e tout venant, com’è evidente dalle fasce d’abrasione (4 e 5) generate dalla caduta dei detriti che formano i cumuli 2 e 3. Il cumulo 1, invece, è costituito da sole terre, conferite su camion. Oltre al danno paesaggistico, si è perso un potenziale volume d’invaso.

 

Fig. 4. Cava Trugiano. A: ripresa dall’alto (2010): vi si accedeva attraverso un suggestivo passaggio tra due alte pareti di marmo (freccia gialla); in tratteggio turchese l’area oggi colmata. B: ripresa dall’alto nel 2017, a riempimento quasi completato; è visibile l’area residua non ancora colmata. Nell’inserto, scarico di terre fresche da parte di un ribaltabile (nel cerchio). C: ripresa dal suolo della superficie della cava (ormai discarica); l’area residua non colmata è sul fondo, al piede dell’alta parete in ombra. D: ripresa ravvicinata dell’area residua; la freccia indica rifiuti di cava, anche tossici (bidoni, filtri olio, taniche, flaconi, bottiglie, stracci, ecc.).

 

Fig. 5. A: vista panoramica (Google Earth) delle cave di Gioia (in alto) e della cava Scalocchiella dismessa (freccia gialla) nel 2010; l’inserto mostra le scarpate con solchi d’erosione. B: stessa vista nel 2017 (si noti che la risoluzione di Google Earth è molto migliorata). Le scarpate del ravaneto che supporta la via d’arroccamento sono state ricoperte da terre e detrito minuto scaricati dall’alto (frecce azzurre) che hanno quasi completamente sepolto anche la cava. C: cava Scalocchiella nel 2016, riempita solo in parte. D: la stessa nel 2017, quasi completamente riempita (freccia gialla); si noti che il pietrisco di marmo, più pesante, tende ad accumularsi in basso, mettendo allo scoperto (nella parte superiore) l’ingente riempimento di terre (frecce azzurre). Con questa operazione, finalizzato a migliorare la viabilità d’arroccamento ma sfruttato anche per abbandonare grandi quantità di terre, è andato perduto un volume di laminazione, sia pur non rilevante.

 
Riducendo a discariche le cave Buca di Ravaccione, Calagio, Trugiano e Scalocchiella, non solo sono andati perduti il valore paesaggistico, la testimonianza del lavoro umano, l’attrattiva turistica ed entrate comunali (i detriti scaricati al monte non passano dalla pesa, quindi non pagano nulla), ma si è perso anche un volume d’invaso di circa 700.000 m3.

Si tratta di un volume veramente ragguardevole, vicino al milione di m3 dell’insieme di tutti gli invasi previsti dalla relazione Seminara. Se si tiene conto che, per problematiche di varia natura, non sarà possibile realizzare tutti gli invasi previsti, giungiamo all’amara conclusione che, prima ancora di realizzare nuovi invasi, abbiamo perso un volume d’invaso con ogni probabilità superiore a quello che otterremo con essi.

Decisamente, la gestione delle cave non si pone l’obiettivo di ridurre il rischio idraulico, né si fa alcuno scrupolo d’andare in direzione contraria! È un’ulteriore conferma che la dizione di “fabbrica del rischio alluvionale” da noi attribuita alla macchina comunale [Come fermare la fabbrica del rischio alluvionale (7/11/15)] era pienamente azzeccata.

 

4.    Se bisogna eliminare le terre dai ravaneti, perché aggiungerne altre?

 

La relazione Seminara (p. 94), al fine di prevenire le colate detritiche e il conseguente colmamento degli alvei sottostanti, raccomanda la rimozione dei materiali fini dallo strato superficiale dei ravaneti, precisando che l’intervento deve precedere la realizzazione degli invasi montani e condiziona anche l’efficacia (la durata) degli interventi sull’intera asta fluviale.

In più occasioni [Carrara, a tre anni dall’alluvione: il punto delle idee (5/11/17); Incontro Legambiente-Sindaco su cave e rischio alluvionale (20/7/17); Gestire in sinergia cave, ambiente e rischio alluvionale (2° contributo alla VAS dei piani attuativi estrattivi) (24/9/16); Carrione: le proposte di Legambiente per il piano di gestione del rischio alluvioni (7/7/15); Alluvione Carrara: analisi e proposte agli enti (11/10/03)] abbiamo motivato come sia preferibile rimuovere tali materiali dall’intero spessore dei ravaneti (rimuovendoli fino al substrato roccioso e ricostruendoli con le sole scaglie pulite) al fine di conseguire contestualmente più obiettivi: la protezione dell’acquifero e delle sorgenti da marmettola e terre, una maggiore ricarica dell’acquifero stesso (con acque pulite!), la riduzione del rischio alluvionale (grazie all’assorbimento di acque nei ravaneti e al rallentamento dei deflussi) e, infine, un maggior fattore di sicurezza verso le stesse colate detritiche in particolari condizioni (quando una precipitazione eccezionale segue un periodo piovoso con imbibizione degli strati profondi del ravaneto, infatti, la colata detritica può interessare non solo lo strato superficiale ma l’intero suo spessore, come già avvenuto a Bettogli).

Purtroppo, a giudicare dai fatti, le raccomandazioni del prof. Seminara sembrano cadute nel vuoto. È vero, infatti, che negli ultimi mesi, a seguito dell’attività ispettiva e prescrittiva dell’ufficio marmo, sono aumentati i quantitativi di terre portati a valle, ma è altrettanto vero che essi sono ancora molto inferiori a quelli di anni fa [Il bacino estrattivo di Torano. Spunti per una pianificazione integrata (3/5/18); Audizione alla commissione marmo: le proposte di Legambiente (20/11/17); Piani attuativi dei bacini estrattivi: una proposta di buonsenso (quindi rivoluzionaria) (10/8/16); Le nostre proposte per il Piano Regionale Cave (10/10/16); Cave apuane: un decennio di illegalità (1/6/16); I dati 2006 sulle cave fuorilegge confermano quelli 2005: blocchi 17%, detriti 83% (27/2/07)] e, soprattutto, che in molti casi lo scarico di ingenti quantità di terre al monte è autorizzato dall’ufficio stesso. Tale scarico è talmente diffuso che ci limitiamo a segnalarne solo un paio di casi, a titolo d’esempio.


 

      4.1         Terre nei ravaneti: Gioia, Polvaccio (e mille altri)
 

Un esempio appena visto è quello della parte alta del ravaneto Gioia-Scalocchiella (Fig. 5). Nella Fig. 6 vediamo il suo piede: un’imponente discarica di terre. Data la suscettibilità all’erosione e alle frane, le sue scarpate sono state consolidate con bastioni in blocchi laddove supportano le rampe della via d’arroccamento (Fig. 6A, a destra). Dove il bastione si interrompe si verificano inizi di frana (Fig. 6B), mettendo a nudo la natura del ravaneto: un’immensa discarica di terre!

Un altro approccio per valutare i quantitativi di terre abbandonati al monte è esaminare l’andamento nel tempo delle terre portate a valle (noto perché registrato alla pesa comunale). La Fig. 7 mostra tale andamento per le 5 cave del gruppo Gioia nel periodo 2005-2017: nel 2005 le terre conferite a valle provenienti da tali cave erano 113.423 t (pari al 18% delle 631.623 t di materiale estratto), mentre nel 2017 sono crollate a 3.807 t (pari all’1,2% delle 330.725 t di materiale estratto. La spiegazione di tale crollo è sotto gli occhi di tutti: basta uno sguardo alle Fig. 5 e 6 per comprendere che le terre non trasportate a valle sono state scaricate nel ravaneto.

Considerato che l’immensa discarica di terre non può certo sfuggire alla vista e che i quantitativi citati sono quelli ufficiali del comune, le responsabilità degli uffici comunali sono palesi e non consentono attenuanti. Non sappiamo se lo scarico di terre nel ravaneto sia stato autorizzato o se si siano chiusi gli occhi ma, in entrambi i casi, la scelta di consentire la discarica è stata indubbiamente consapevole.
 

Fig. 6. A: foto panoramica del piede del ravaneto Gioia-Scalocchiella (2011): a destra la parte consolidata da bastioni in blocchi per sostenere le rampe della via d’arroccamento. B: vista ravvicinata (2016) di un breve tratto non consoli-dato: la piccola frana fa emergere le terre che costituiscono l’immensa discarica.

 

Fig. 7. Andamento della percentuale di terre portate a valle (rispetto al materiale totale estratto) nelle cave del complesso di Gioia dal 2005 (anno d’inizio delle registrazioni alla pesa pubblica) al 2017. Nonostante l’andamento irregolare, la tendenza a una forte diminuzione (cui, ovviamente, corrisponde un aumento delle terre abbandonate al monte) è evidente. Nel 2005 le percentuali di terre delle cave considerate variavano dal 3,8% al 24,6%; nel 2017 variano dallo 0% al 2,8%. (Fonte dei dati: Comune di Carrara; elaborazione Legambiente).

 
Come altro esempio, si riporta quello della cava Polvaccio, nel bacino di Torano, anch’essa completamente sepolta da terre (circa 600.000 t) e tuttora utilizzata come discarica (Fig. 8). Ci limitiamo a questi due esempi, ma potremmo citarne decine: il paesaggio montano, infatti, sta caratterizzandosi sempre più come un’immensa discarica di terre a cielo aperto.
 

Fig. 8. A: La cava Polvaccio (bacino di Torano) nel 2009; la linea punteggiata contorna l’area oggi colmata. B: la stessa nel 2018, completamente sepolta poiché è stata –ed è tuttora utilizzata– come discarica di terre. Molto grossolanamente, il volume di terre può essere stimato in oltre 300.000 m3, pari a circa 600.000 t.


 

5.    Ripristinare il reticolo idrografico: una sfida immane

 

       5.1         Il reticolo idrografico minore sepolto dai ravaneti: OK, ma eliminare le terre
 

Nei bacini marmiferi il reticolo idrografico è stato completamente sconvolto: a titolo d’esempio, nell’alto bacino di Torano tutti gli alvei del reticolo minore sono stati sepolti dai ravaneti, per spessori di una o più decine di metri, fino a 100 m. Perfino il fondovalle è privo di alveo: al suo posto vi è la strada asfaltata (costruita sul tracciato dell’ex ferrovia marmifera), sopra uno spessore di 20-40 m di detriti (Fig. 9).
 

Fig. 9. Nell’alto bacino di Torano, non un solo alveo si è salvato: sono tutti sepolti sotto uno strato (circa 20-100 m) di detriti di ravaneto. Anche l’alveo di fondovalle è sepolto da 20-40 m di detriti, sui quali corre la strada asfaltata. Avvertenza: vista la finalità del messaggio da comunicare, gli alvei sono stati tracciati sbrigativamente, in maniera molto approssimativa.

 
Sebbene lo sconvolgimento idraulico e territoriale (realizzato in gran parte oltre un secolo fa) fosse la conseguenza diretta di modalità operative rispondenti all’unica finalità di assecondare le esigenze dell’escavazione (l’abbandono delle immense quantità di detriti grossolani), va osservato che, per quanto riguarda il reticolo minore (asciutto per la quasi totalità dell’anno), gli effetti idraulici sono positivi.

Infatti, data l’elevata pendenza degli alvei, lo scorrimento delle acque sulla nuda roccia sarebbe stato estremamente rapido: l’intero volume di acque meteoriche caduto nel corso di una precipitazione molto intensa avrebbe quindi raggiunto Carrara in breve tempo, provocando un picco di piena molto elevato.

La presenza di forti spessori di detriti, invece, favorisce un consistente assorbimento di acque e un notevole rallentamento dei deflussi (costretti a scorrere tra gli interstizi dei detriti): il risultato è una rilevante riduzione dei picchi di piena a Carrara.

Con ogni probabilità, dunque, nel secolo scorso, quando l’estensione e lo spessore dei ravaneti (costituiti da sole scaglie) erano molto maggiori di oggi, il rischio alluvionale è stato ridotto (sebbene l’effetto non fosse intenzionale).

Va però riconosciuto che, con l’abbandono delle ‘varate’ con esplosivo, sostituite dal taglio col filo elicoidale e, poi, col filo diamantato, è radicalmente cambiata la composizione dei ravaneti.

Se i ravaneti di un secolo fa erano costituiti da scaglie grossolane (in nessuna foto storica si osservano terre: si veda Il bacino estrattivo di Torano: spunti per una pianificazione integrata, maggio 2018), con le tecniche odierne che producono meno scarti e –anche a seguito del prelievo di scaglie di marmo per la produzione del carbonato di calcio in polvere– i ravaneti sono ormai costituiti principalmente da terre (per la tolleranza del comune che ne consente l’abbandono).

Oggi pertanto, nel corso delle precipitazioni, l’imbibizione delle terre riduce fortemente la permeabilità dei ravaneti: si è ridotta dunque la loro funzione di ‘spugna’ e di rallentamento dei deflussi, mentre sono aumentate sia la frazione di acque che scorre in superficie (spesso su ripide strade asfaltate) sia la sua velocità. Ne risulta un aumento del rischio alluvionale, accentuato in modo parossistico quando, sempre a causa delle terre imbibite, nei ravaneti si innescano colate detritiche che colmano gli alvei sottostanti.

In poche parole, nel corso di un secolo i ravaneti si sono trasformati da fattore di sicurezza idraulica in fattore di pericolo.

Da queste considerazioni nasce la nostra proposta di rimuovere integralmente le terre dai ravaneti, ricostruendoli con sole scaglie pulite (e, ovviamente, stabilizzandoli). Ne discende la necessità di un radicale cambiamento delle autorizzazioni, che dovrebbero consentire solo una limitata asportazione di scaglie e obbligare ad allontanare tutte le terre (comprese quelle abbandonate in passato).

In questo modo l’impatto paesaggistico dei ravaneti sarebbe almeno compensato da una riduzione del rischio alluvionale.


 

       5.2         Alvei di fondovalle: vanno ripristinati, spostando le strade che li occupano
 

Le aste principali dei corsi d’acqua di fondovalle, invece, vanno ripristinate con alvei il più possibile larghi, sinuosi e dotati di elevata scabrezza. Ciò comporta la necessità di spostare, lateralmente e a quote più elevate, le strade che le occupano interamente o parzialmente.

Avendo avanzato da tempo questa proposta, evitiamo di ripeterne i dettagli e ci limitiamo a illustrarla solo graficamente (Fig. 10).
 

Fig. 10. A: situazione attuale del canale di Sponda, con l’alveo ristretto dalla strada per Ravaccione e confinato in un canale in cemento che accelera i deflussi. B: simulazione grafica di un intervento di rinaturalizzazione, con restituzione all’alveo dell’intero spazio di fondovalle e ricostruzione della strada ad una quota più elevata (freccia, a destra). Estendendo questo approccio a tutti gli alvei montani oggi sepolti da strade si otterrebbe una notevole riduzione del rischio alluvionale a valle (oltre alla riqualificazione degli ecosistemi fluviali alterati).


 

       5.3         Bacini di Torano e di Miseglia: soluzioni semplici (ma interventi imponenti)
 

Gli interventi principali per il risanamento idrogeologico del bacino di Torano sono quelli citati nei due paragrafi precedenti: eliminazione delle terre dai ravaneti e ripristino degli alvei di fondovalle (spostando le strade). Ad essi va aggiunto lo svuotamento delle cave a fossa che sono state riempite di detriti (es. Buca di Ravaccione).

Una situazione leggermente più complicata si ha nel bacino di Miseglia (Fig. 11).
 

Fig. 11. Il bacino di Miseglia, con l’indicazione degli elementi che richiedono interventi (descritti nel testo).

 
In questo bacino appaiono necessari i seguenti interventi:

  • smantellare i ravaneti, eliminare le terre e ricostruirli con solo scaglie (con costi a carico delle cave); ciò vale anche per gli imponenti ravaneti di Fantiscritti e di Canalgrande, che supportano una larga strada camionabile asfaltata (Fig. 12);
  • al fine di evitare il rapido deflusso delle acque lungo le canaline stradali in cemento, nella ricostruzione della strada asfaltata sui ravaneti ripuliti, aver cura di realizzare canaline stradali assorbenti (scavando un solco nei detriti, senza cementificarle) e, al piede di ogni curva di tornante, una capiente vasca, anch’essa assorbente;
  • ripristinare l’alveo di fondovalle, spostando a maggior quota la strada che lo occupa (Fig. 13);
  • presso i Ponti di Vara (Fig. 14): smantellare il canale in cemento (recentemente realizzato) che raccoglie le acque stradali (tratto giallo) e scorre poi a lato della scarpata del ravaneto, convogliandole al Carrione con una pendenza elevatissima, aggravando pertanto il rischio idraulico. Anche questo ravaneto va smantellato e ricostruito con sole scaglie;
  • convogliare nella cava Vara Bassa (individuata come bacino di laminazione) le acque stradali e quelle che sgorgano al piede del ravaneto Canalgrande;
  • prescrivere, infine, il costante mantenimento di una radicale pulizia in tutte le cave (non vi devono essere né marmettola né terre), per non vanificare l’insieme degli interventi.

 

Fig. 12. A: la via d’arroccamento Canalgrande supera con numerosi tornanti un dislivello di circa 400 m, correndo interamente su un imponente ravaneto di notevole spessore. B e C: nella sua metà inferiore la strada è una larga camionabile asfaltata; le frecce indicano le sue scarpate, chiaramente costituite dai detriti del ravaneto, talora stabilizzati da un bastione di blocchi (C e D). D: le elevate pendenze e la scarsa scabrezza dell’asfalto e delle canaline laterali in cemento conferiscono alle acque meteoriche elevate velocità; pertanto, a seguito di piogge intense, la strada si comporta da torrente (E).

 

Fig. 13. La strada Ponti di Vara-Fantiscritti è stata realizzata sui detriti del ravaneto del fondovalle (visibili ai lati: frecce), occupando interamente l’alveo preesistente. Per ridurre la velocità delle acque e, di conseguenza, il rischio alluvionale, occorre ricostruire la strada a quota più elevata e ripristinare l’alveo (largo e con buona scabrezza).

 

Fig. 14. Situazione presso i Ponti di Vara: le lettere indicano l’area ripresa nelle foto B-H. A: oggi le acque meteoriche non infiltratesi nel ravaneto Canalgrande (di cui è visibile la scarpata verticale al piede) scorrono lungo la strada; nel punto B vengono raccolte dal canale in cemento recentemente realizzato che, scorrendo a lato del ravaneto-piazzale (lungo la linea gialla, tracciata un po’ a sinistra perché non coprisse il canale) e poi lungo la sua ripida scarpata, le recapita al Carrione. Lo scorrimento su asfalto e cemento, con ripide pendenze, accentua il rischio alluvionale. Dopo la realizzazione dell’invaso Col21 nella cava Vara Bassa, le acque saranno recapitate a quest’ultimo (linea azzurra tratteggiata). B, C, D, E: il canale (in costruzione) di raccolta delle acque della strada Vara-Fantiscritti (B), rivestito in pietre affogate nel cemento (E), scende con notevole pendenza (C e D) nel sottostante piazzale (F), ottenuto spianando la sommità del ravaneto. F: vista del piazzale (in pratica una discarica di terre: frecce gialle) e del canale (freccia turchese). G: la ripida scarpata del ravaneto, recentemente regolarizzata con riporti di terre. H: la cava a fossa Vara Bassa, in via di dismissione, nella quale si prevede di realizzare un invaso per laminare le piene.


 

       5.4         Bacino di Colonnata: il regno del caos idraulico
 

Nel bacino di Colonnata è ancor più evidente l’asservimento totale degli assetti territoriali e idraulici alle esigenze dell’attività estrattiva; il dissesto idraulico conseguente è stato affrontato di volta in volta in maniera estemporanea e fantasiosa, per risolvere problemi locali, senza una visione d’insieme.

Salendo verso Colonnata, in prossimità della cava Calagio sono stati sepolti l’alveo del Carrione e perfino tratti del suo fondovalle. La strada comunale per Colonnata è stata costruita proprio nell’alveo del Carrione (Fig. 15A, tratto 1-2); non stupisce pertanto che, a seguito di piogge intense, la strada riprenda a funzionare da torrente.

Perfino il fondovalle del Carrione è stato colmato da imponenti spessori di detriti, in due tratti: il primo riempimento, che supporta la strada in località Bacchiotto-Tarnone, sbarra la valle costringendo il Carrione a superare, intubato, lo sbarramento (tratto 4-5); il secondo, poco più a monte (tratto 2-3), che ospita l’ampio piazzale a servizio della cava Olmo, ha sepolto la valle costringendo le acque a scorrere tra gli interstizi dei detriti e, con le piogge intense, a scorrere sull’adiacente asfalto stradale.
 

Fig. 15. A: vista satellitare ortogonale dell’area Tarnone-Calagio che ha subito, ieri e oggi, profonde trasformazioni morfolo-giche. Nel tratto 1-2 l’alveo del Carrione è stato sepolto dalla strada per Colonnata (che diviene un torrente durante le precipitazioni intense). Scendendo verso valle (tratto 2-3), non solo l’alveo, ma l’intero fondovalle del Carrione è stato sepolto dai detriti (spessore circa 40 m) per realizzare il piazzale della cava Olmo (vedi schizzo F). Nel tratto 3-4 l’alveo del Carrione è a cielo aperto, ma poco dopo incontra un nuovo sbarramento della valle (sul quale è stata realizzata la strada per l’ex stazione marmifera del Tarnone) che supera, tombato, nel tratto 4-5 per poi riemergere in superficie (5-6). B: idem, ma vista satellitare prospettica, da valle. C: il piazzale della cava Olmo che ha colmato il fondovalle del Carrione, visto da monte. D: la ripida scarpata del piazzale, vista da valle: le linee punteggiate indicano i versanti sul cui fondo (non visibile perché più basso) c’è l’alveo del Carrione (freccia). E: sommità della scarpata. F: schizzo della sezione geologica in corrispondenza della linea bianca tratteggiata della figura A; sulla destra, la cava Calagio (Corsi); sulla sinistra il fondovalle sepolto dai detriti (disegno di D. Raggi, 2000).

 
Solo 200 metri a monte del piazzale, si può assistere a una soluzione raffazzonata che rende bene l’idea dell’approccio utilizzato negli interventi al monte. Per evitare che ingenti quantità di terre e marmettola dilavate dalla discarica Gioia-Scalocchiella (Fig. 5B, 5D) e dalla via d’arroccamento invadessero la strada comunale (sollevando poi polveri, al transito dei veicoli), al piede della via d’arroccamento è stata realizzata una rudimentale vasca di sedimentazione (Fig. 16).

Tuttavia la vasca, assolutamente insufficiente, si colma rapidamente di sedimenti; ne escono acque torbide che, attraversata la strada, sono convogliate verso un cosiddetto pozzo assorbente, cioè una cavità scavata nei detriti di ravaneto (indifferenti al fatto che, in questo modo, le acque torbide, raggiunto il substrato roccioso, si infiltrino nelle fratture carsiche inquinando l’acquifero).

Come peraltro prevedibile, la marmettola ha intasato ben presto il pozzo assorbente; perciò con le precipitazioni intense, le acque (torbide) scorrono nuovamente sull’asfalto.
 

Fig. 16. Soluzioni rudimentali adottate al piede della via d’arroccamento Gioia. Non volendo affrontare il problema alla radice (rimuovendo terre e marmettola da cave, vie d’arroccamento e ravaneti), ci si è arrabattati con soluzioni di ripiego temporanee e inefficaci: terre e marmettola, infatti, continuano a inquinare l’acquifero e i corsi d’acqua. A: la via d’arrocca¬mento è coperta da ingenti quantità di marmettola che, con le piogge, sono trascinate a valle, sulla strada comunale per Colonnata (assieme alle terre dilavate dalla discarica Gioia-Scalocchiella: Fig. 5B e 5D). B: dopo disseccamento, questi fanghi generavano nuvoloni di polvere al transito dei veicoli. C: la vasca di sedimentazione, colma di fanghi, realizzata al piede della via d’arroccamento per contenere tale inconveniente. D e E: dalla vasca, che si colma rapidamente, fuoriescono fanghi che, attraversata la strada, raggiungono la canalina laterale (freccia tratteggiata). F: le acque torbide sono immesse in un pozzo assorbente, realizzato scavando una buca nei detriti grossolani di ravaneto (ancora ben visibili) che hanno colmato il fondovalle (sui quali corre la strada asfaltata). G: com’era prevedibile, ben presto il pozzo è stato intasato dai sedimenti e non assorbe più: durante le piogge le acque riprendono a scorrere sulla strada. H: dopo ogni pioggia, il Carrione veicola consistenti portate solide: confluenza del ramo di Torano (freccia gialla, acque biancastre per marmettola) con quello di Colonnata (freccia turchese, miscela di marmettola e terre). I: la piazza di Marina inondata nell’alluvione del nov. 2014. Si noti che le acque sono ricche di terre provenienti dalle cave (già presenti a Carrara centro: vedi riquadro): con le piogge eccezionali, infatti, il trasporto di terre e marmettola dalle cave diviene parossistico.

 
Proseguendo verso monte si incontrano altre sorprendenti singolarità, scorrendo le acque alternativamente sulla strada e in ‘alvei’ di fortuna (Fig. 17).

In tutto il bacino a monte di Colonnata l’alveo è stato interamente occupato dalla strada, asfaltata o sterrata, sulla quale scorrono le acque: non sorprende pertanto che, con le piogge intense, il trasposto solido renda la strada intransitabile (Fig. 17B).

Per mitigare tale inconveniente, alla curva in loc. La Fontana (punto 1 in Fig. 17), le acque sono state deviate dalla strada e, compiendo un salto, scorrono nell’area sottostante, periodicamente svuotata dai detriti (Fig. 17C); poi, attraverso un tratto intubato per consentire l’accesso a una proprietà (o tornando sulla strada quando questo si occlude: Fig. 17D), raggiungono il punto 2 confluendo con un ripido impluvio dall’elevato trasporto solido.

Nel tratto 2-3 la maggior parte delle acque scorre in un alveo parallelo alla strada, scavato artificialmente nei detriti (Fig. 17E), per poi tornare sulla strada (Fig. 17F). Dal punto 4, infine, si immettono in un canale a fondo cieco (Fig. 17G), essendosi occlusa la galleria della ferrovia marmifera che, passando sotto il piazzale della cava Olmo, tornava all’aperto nel piazzale dell’ex stazione di Colonnata. Insomma, anche volendo trascurare altri inconvenienti (Fig. 17H e 17I), l’area tra Colonnata e il Tarnone è il regno del caos idraulico.

È indispensabile che il ripristino degli alvei, così come la risistemazione dei ravaneti e gli altri interventi nei bacini montani, seguano un piano coerente, abbandonando la logica degli espedienti e scrollandosi di dosso ogni subalternità alle esigenze delle attività estrattive.
 

Fig. 17. A: singolarità idrauliche presso Colonnata: i numeri delimitano i tratti considerati, le lettere si riferiscono alle foto. B: detriti su via Canaloni nel 2009, dopo la pulizia di una corsia per ripristinare la transitabilità; la freccia indica (come in D) l’imbocco ostruito del tratto intubato. C: breve tratto di alveo scavato nei detriti, a lato della strada. D: al termine del breve tratto C, le acque dovrebbero imboccare il tratto intubato (freccia); trovandolo occluso, riprendono a scorrere sulla strada. E: vista dall’alto dell’alveo scavato artificialmente nei detriti, a lato della strada. F: la acque provenienti da E si immettono nella via per i Campanili e scendono, ricongiungendosi a quelle che scorrono su via Canaloni. G: il recapito delle acque finora viste era l’uscita della galleria della ferrovia marmifera. Essendo oggi completamente ostruita da detriti grossolani e sigillata da fanghi (freccia), le acque, colmato il fosso a fondo cieco, tracimano nuovamente sulla strada; talora la pressione dell’acqua interstiziale è tale da far esplodere l’asfalto (H) a pochi metri dal canale. I: apporto turbolento di acque su via Canaloni, fuoriuscite dall’alveo artificiale.

 

6.    Cosa chiediamo: informazione, partecipazione, atti coerenti

 

L’alluvione del novembre 2014 ha rappresentato per molti carraresi un momento di rottura traumatica della fiducia nelle istituzioni. Gli incontri pubblici di presentazione del quadro di interventi individuati nella relazione Seminara sono stati una giusta risposta non solo per informare la popolazione delle soluzioni tecniche, ma anche per ricucire un rapporto di fiducia, costruttivo e partecipato, tra i carraresi e le loro istituzioni locali e regionali. È opportuno che questo percorso venga proseguito e coltivato.

Esprimiamo perciò il nostro rammarico non solo per l’interruzione di questo approccio, ma anche perché non sono state date risposte alle argomentazioni da noi espresse nel documento del 31/3/16 (Carrione: rivedere i calcoli, intervenire sui ravaneti, ripristinare gli alvei soffocati da strade) nel quale chiedevamo alla Regione, tra l’altro, di:

  • verificare l’attendibilità dei valori (a nostro parere errati) attribuiti ad alcuni parametri introdotti nel modello Mobidic (capacità idrica totale, conducibilità idraulica a saturazione, celerità del deflusso superficiale di versante, celerità del deflusso sub-superficiale di versante, percolazione dal suolo verso le falde e assorbimento capillare) relativi alle aree coperte da ravaneti (considerate impermeabili, contro ogni evidenza) e ricalcolare le portate di piena previste;
  • affidare uno studio ad hoc sul comportamento idrologico dei ravaneti, finalizzato alla valutazione della riduzione del rischio alluvionale conseguibile con il loro smantellamento e la loro ricostruzione con sole scaglie (senza terre).

A nostro parere, infatti, data la grande estensione dei ravaneti e i loro notevoli spessori, la loro radicale ripulitura dalle terre, se inserita tra gli interventi da attuare nel bacino montano del Carrione, potrebbe dare un contributo non trascurabile alla riduzione del rischio alluvionale (e, contestualmente, a ridurre l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, nonché –grazie alla maggior ricarica della falda– alla riduzione delle crisi idriche estive).

Riprendendo quanto detto nell’introduzione sull’urgenza dello studio ad hoc previsto dalla relazione Seminara per stimare il contributo dei ravaneti (ripuliti dalle terre) all’attenua­zione dei picchi di piena e rivisitare lo studio idrologico –urgenza dettata dal fatto che gli interventi nel bacino montano sono subordinati ai risultati di tale studio– chiediamo alla Regione informazioni su di esso.

In particolare, se lo studio è stato effettuato, chiediamo alla Regione l’accesso ai suoi risultati; in caso contrario, chiediamo al Comune di sollecitare la Regione o, se necessario, di farsene carico in proprio.

Chiediamo infine al Comune di assumere iniziative concrete ed efficaci volte a:

  • porre fine al rilascio di autorizzazioni che –consentendo il riempimento di cave a fossa e l’ab­bandono di terre nel bacino montano, sotto qualsiasi forma– incrementano il rischio alluvionale vanificando gli interventi di sistemazione già effettuati e quelli previsti;
  • ordinare il completo svuotamento delle cave a fossa e a pozzo dai detriti che le hanno colmate;
  • ordinare la completa rimozione delle terre abbandonate al monte negli anni passati (anche qualora l’abbandono fosse stato autorizzato).

Ringraziando anticipatamente per una vostra cortese risposta, porgiamo distinti saluti.

Legambiente Carrara
26 luglio 2018

 



Per saperne di più:

Sulle problematiche tra cave, dissesto idrogeologico ed alluvione:

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Gestire in sinergia cave, ambiente e rischio alluvionale (2° contributo alla VAS dei piani attuativi estrattivi)  (24/9/2016)

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Sulle problematiche tra cave e inquinamento delle sorgenti e dei corsi d’acqua:

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Frigido: vent’anni di indagini chimiche, biologiche ed ecologiche  (Arpat, 2003)

Impatto ambientale dell’industria lapidea apuana (1991)

Impatto della marmettola sui corsi d’acqua apuani  (volume 1983)

 

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