Dimensione testo » A+ | A–

Alberature stradali di Carrara: un patrimonio da riqualificare

Share
Print Friendly, PDF & Email


Giuseppe Sansoni – biologo
 

 
La proposta che presentiamo nasce da una richiesta del Comune che, considerate le competenze di Legambiente in campo ambientale, ci ha chiesto di suggerire specie arboree adatte qualora fosse stato necessario intervenire sulle alberature cittadine.

Nell’intento di dare un contributo utile alla città, e considerato lo stato precario delle nostre alberature, abbiamo esaminato la situazione delle principali strade.

 

 
Come premessa, va ricordato che il verde urbano non è solo un abbellimento della città, ma svolge funzioni fondamentali, qui schematizzate.

 

 
Per quanto riguarda i pini, in alcune situazioni problematiche abbiamo suggerito la loro sostituzione (ad es. con siliquastri in via Don Minzoni); in altre situazioni, non problematiche, abbiamo suggerito il mantenimento e, in altre ancora, l’impianto di nuovi pini, in sostituzione di quelli abbattuti dal vento nel corso degli anni.

Le proposte di dettaglio sono riportate nella relazione consegnata al comune (Tagliare i pini o riqualificare le nostre alberature stradali?) e pubblicata sul sito Legambiente Carrara, che evidenzia anche la situazione drammatica delle nostre principali alberature urbane.

Oggi esporremo quindi in maniera molto sintetica la situazione di alcune alberature per poi passare a sottolineare la principale urgenza: la necessità di gestire il verde pubblico in modo non estemporaneo e improvvisato, ma sulla base di un vero piano del verde urbano e della formazione professionale degli addetti alla manutenzione.

 

 
Per le strade generiche la scelta delle specie arboree da impiegare deve basarsi prevalentemente su aspetti pratici: il valore ornamentale, la distanza dagli edifici, i costi d’impianto e di manutenzione.

Per le strade di maggior importanza, l’alberatura deve soddisfare anche altri requisiti: il viale XX Settembre, ad esempio, in quanto arteria di collegamento tra il centro storico e il mare, richiede alberature importanti.

Vi sono poi strade le cui alberature devono comunicare un significato particolare: una di queste è la salita di San Ceccardo che, in quanto porta d’ingresso alla città, richiede specie piuttosto imponenti e di alto valore ornamentale.
Il viale Colombo, meta balneare della città e “biglietto da visita” per i turisti europei, richiede i pini domestici, non solo per il loro valore paesaggistico, ma soprattutto perché comunicano un peculiare valore identitario.
E ciò vale anche per la via Aurelia, anche per rispettare la sua unitarietà paesaggistica fino a Roma, consolidatasi nei secoli.

 

 
Partiamo dunque da queste strade prioritarie.

Nella salita di San Ceccardo il pino domestico può svolgere egregiamente la funzione di via d’ingresso alla città, ma l’attuale alberatura è in cattive condizioni: esemplari mancanti, alberi inclinati, marciapiede e asfalto stradale sollevati dalle radici dei pini.

Occorre quindi intervenire sostituendo i pini inclinati o l’intera alberatura.
 

 
Nel primo caso, abbiamo fornito suggerimenti pratici da adottare per evitare o contenere il ripetersi degli inconvenienti (la crescita inclinata e il dissesto dell’asfalto).

Nel caso di sostituzione, invece, abbiamo suggerito di prendere in considerazione la rovere per ottenere (a pieno sviluppo) un’alberatura imponente e bella, ma anche rustica e stabile.
 

L’alberatura sul viale Colombo è costituita da pini maturi (ma non ancora senescenti), in buone condizioni di salute e di stabilità.
Vi è tuttavia il rilevante problema del dissesto del marciapiede e del manto stradale, che il comune intende risolvere una volta per tutte sostituendo i pini con palme Washingtonia (intervento in parte già realizzato e sul quale abbiamo espresso il nostro netto dissenso).
 

 
Il pino, infatti, a differenza della Washingtonia, soddisfa i valori paesaggistico, identitario e ombreggiamento. Solo per l’accessibilità pedonale e per il parcheggio auto, il pino è svantaggioso poiché può ugualmente garantirli, ma solo a costi più elevati.

La vera alternativa da porsi è dunque: l’ombreggiamento e il valore paesaggistico e identitario del pino meritano o no questi maggiori costi?

Per capirlo, dobbiamo chiarire qual è realmente il suo valore identitario.
Ebbene, noi siamo talmente abituati alle pinete da pinoli da considerarle una presenza normale, quasi banale: non siamo consapevoli del valore unico che abbiamo ereditato dalla storia.

Per recuperare questa consapevolezza dobbiamo ricordare che le pinete sono del tutto assenti in Europa (salvo in Spagna e Italia) e che la Toscana ospita i due terzi delle pinete italiane, piantate dai Romani per le costruzioni navali e, poi, mantenute per altri scopi (bonifiche, pinoli).
Perciò Carrara è la prima città in cui il turista europeo incontra le pinete. Il viale Colombo ornato da pini comunica dunque al turista un chiaro messaggio: Caro europeo, benvenuto a Carrara, la prima città in cui incontri le pinete …

Nel viale Colombo, dunque, dato il loro valore identitario irrinunciabile, i pini vanno mantenuti, facendosi carico dei relativi costi e ripiantandone di nuovi al posto delle Washingtonia, che vanno rimosse al più presto.
 

 
Anche lungo l’Aurelia l’alberatura a pini assume un valore identitario irrinunciabile, visto che l’intera statale fino a Roma è da secoli fiancheggiata da pini.

Abbiamo quindi proposto il reimpianto, a debita distanza dalla carreggiata, dei numerosissimi pini mancanti (abbattuti dal vento negli scorsi decenni: ben il 50-70%).

È doveroso, tuttavia, dare una risposta alle preoccupazioni, pienamente giustificate, sul dissesto del manto stradale e dei marciapiedi causato dai pini. Per farlo, dobbiamo considerare la loro anatomia e fisiologia.
 

 
Va innanzitutto precisato che i pini piantati in un suolo ben areato non provocano alcun dissesto; il sollevamento del terreno, infatti, è una risposta fisiologica delle radici alla compattazione del suolo, in particolare alla pressione esercitata su di esse dal traffico intenso o dalle auto in sosta.

Soggette a pressione, le radici corda superficiali producono caratteristici noduli che, fisiologicamente, hanno la funzione di ancorare meglio l’apparato radicale al suolo, ma che, in queste condizioni, sollevano il terreno e la pavimentazione che lo ricopre.
 

 
Anche l’opinione diffusa sulla propensione ad essere abbattuti da forti venti è infondata: i pini, infatti, hanno un apparato radicale progettato per assicurarne la stabilità nei terreni sabbiosi incoerenti.

Tale apparato è costituito da un poderoso fittone verticale (si veda la foto) con numerose radici fascicolate orizzontali dalle quali partono nuovi fittoni verticali.

Si viene così a creare un sistema di più palchi orizzontali, a diversa profondità, rinforzato da fittoni verticali. Le radici corda, infine, più sottili e numerose, vanno in tutte le direzioni, completando il consolidamento del volume di terreno interessato.
 

 
In natura, dunque, i pini sono stabili e non sollevano il suolo: i problemi creati dai pini in città derivano dai maltrattamenti che infliggiamo loro.

A partire dall’allevamento in vivaio, in cui ad ogni trapianto si perdono gran parte delle radici fascicolate (che ricresceranno, ma disorganizzate) e l’estremità del fittone (che non ricresce: si riduce così la stabilità).

Con l’allevamento in contenitore, poi, le radici sono costrette a curvarsi lungo le pareti, formando radici avvolgenti che, prima o poi, diverranno strozzanti.

Anche nella messa a dimora, solitamente si prepara solo la buca d’impianto, anziché rendere sciolta una zolla molto ampia, per favorirne la colonizzazione radicale.

Altri problemi derivano dalla compattazione del suolo (conseguente alle pavimentazioni, al transito e alla sosta dei veicoli) e dai lavori di scavo per la posa di fognature, cavi, tubazioni.
 

 
Per evitare o ridurre al minimo il dissesto delle pavimentazioni è possibile ricorrere a diversi accorgimenti.

Questo è un sistema interrato di cupole che mantiene il terreno sciolto, proteggendolo dalla compattazione. Richiede lo scavo del terreno, la messa in posto dei pilastri di sostegno, il riempimento con terra e la copertura con le cupole, sulle quali viene realizzata la pavimentazione.

Un altro sistema, basato sullo stesso principio ma molto più economico, è l’uso di un substrato d’impianto strutturato, costituito da terra vegetale e da ciottoli grossolani (5-17 cm) che, appoggiandosi l’un l’altro, sopportano il peso evitando la compattazione del suolo che riempie gli interstizi tra i ciottoli.
 

 
Il sollevamento del terreno sottostante a un marciapiede (a sinistra) può essere impedito da una barriera metallica verticale antiradici (a destra).

Altri accorgimenti utili sono l’impianto in aiuole continue e larghe (3-4 metri), evitare la sosta delle auto, stipulare contratti con il vivaio per piantare pini molto giovani (non cresciuti in contenitore e senza mutilazioni dell’apparato radicale), da allevare sul posto già oggi per sostituire quelli che tra una ventina d’anni saranno senescenti.

Ricorrendo a uno o più di questi accorgimenti è dunque possibile avere alberature magnifiche di pini ed evitare i dissesti del terreno: occorre però un’attenta pianificazione.
 

 
Ma passiamo alle altre alberature. Il tratto sul viale XX Settembre, dalla via Carriona a Tramonti, è ornato da ippocastani, alberi di per sé maestosi, ma piantati troppo ravvicinati e, pertanto, soggetti a ripetute potature energiche che li indeboliscono.

Circa la metà degli ippocastani è già stata sostituita da tigli e tutti i restanti sono molto sofferenti.
 

 
Il tratto a lecci, da S. Antonio a via Covetta, è in condizioni drammatiche: le chiome sono rarefatte, un gran numero di esemplari sono scheletriti e altri sono morti.

Anche in questo caso, un ruolo causale (assieme ai danni radicali da lavori stradali) l’ha svolto la distanza d’impianto ravvicinata, che non lascia spazio sufficiente al pieno sviluppo delle chiome e impone potature drastiche.
Non è un caso che l’unico leccio sano sul viale XX Settembre sia quello nel giardino dietro l’Esselunga, non appartenente all’alberatura stradale.
 

 
Va detto che le distanze d’impianto troppo ravvicinate (forse l’errore più diffuso in tutte le alberature d’Italia) sono un’eredità del passato, dovuta alla ricerca del “verde a pronto effetto”, al quale è stato sacrificato il futuro sviluppo degli esemplari, costringendoci ancora oggi a potarne in larghezza la chioma.

Tuttavia dovremmo correggere gradualmente l’errore: qui, ad es. in sostituzione dei due lecci morti, sarebbe stato più opportuno reimpiantarne uno solo, da lasciar sviluppare a piena chioma.
 

 
Veniamo ai tigli (tra S. Ceccardo e Fossola e da via Covetta a Marina).
Il fogliame lussureggiante dà l’impressione di piante in ottima salute, ma la realtà è ben diversa.
L’impianto troppo ravvicinato (6-7 m) ha costretto a restringerne lateralmente la chioma: dalla forma sferica del portamento naturale a quella cilindrica.
 

 
Gli alberi, così, sono ridotti a un grosso scheletro a candelabro rivestito solo da rami sottili, molto giovani e sistematicamente potati.

L’apparato fogliare, così ridimensionato, produce risorse insufficienti a reagire efficacemente alle ferite e ad altre avversità.

 

 
In questo modo i tigli, progressivamente indeboliti, deperiscono e muoiono.

 

 
Qui vediamo tre tigli sofferenti e tre giovani, piantati in sostituzione di esemplari morti.

Poteva essere l’occasione per piantarne uno solo, da allevare a piena chioma: adottando questo criterio si potrebbe ottenere gradualmente il rinnovo dell’intera alberatura con tigli sani e ben sviluppati.

Sotto, invece, ci sono tre tigli adeguatamente distanziati, ma ormai non riconvertibili a piena chioma: è la condanna della potatura a candelabro! Un altro buon motivo per evitarla.
 

 
A proposito di potature ci sarebbero moltissime cose da dire, ma dobbiamo limitarci a pochi spunti. La potatura più importante è quella di allevamento, per ottenere fin dall’inizio una buona conformazione della pianta.

In seguito, tenendo presente la massima “la miglior potatura è quella che non si vede”, si potranno adottare le potature di mantenimento, come il taglio di ritorno.
 

 
La regola fondamentale nelle potature è tagliare immediatamente sopra il collare, senza inciderlo e senza lasciare monconi: questi, infatti, sono una via privilegiata di penetrazione di infezioni.

In questa tamerice, il rilascio di molti monconi ha causato gravi conseguenze, testimoniate dai funghi a mensola e da un marciume interno evolutosi in una profonda fenditura del tronco.
 

 
Così, a causa di potature maldestre, l’intera alberatura a tamerici di viale Vespucci è ridotta a un’esposizione di scheletri: una vera mostra degli orrori che testimonia la grossolanità dei nostri interventi.

 

 
È un vero peccato, perché le tamerici, per la loro tolleranza alla salsedine, sono particolarmente adatte sui lungomare, e sono anche belle e resistenti (se trattate come si deve).
Ne abbiamo pertanto proposto il reimpianto su tutto il viale Vespucci e sul lato mare di viale Colombo, dal Carrione alla sede dell’Autorità Portuale.

 

 
Le figure in alto mostrano le modalità di taglio corrette, immediatamente al di sopra del collare.

È quindi evidente la scorrettezza di potature brutali, che trinciano la siepe lasciando monconi sfibrati, via di penetrazione di patogeni.

Insomma, così come noi per sottoporci a un’operazione, pretendiamo un chirurgo, anche l’albero deve essere potato da un professionista che ne conosca l’anatomia e la fisiologia. Vediamo qualche principio elementare.
 

 
Tutti sappiamo che ogni anno l’albero produce un nuovo anello di legno.

Dobbiamo quindi imparare a pensare l’albero come una pianta multipla: in un certo senso, ogni anno un nuovo albero avvolge quello dell’anno precedente (tronco e rami). L’accrescimento in diametro si verifica in corrispondenza del cambio (subito sotto la corteccia).

 

 
Ora prendiamo uno spicchio di tronco. Le pareti interna ed esterna di ogni anello, i raggi midollari e le pareti superiore e inferiore delle cellule dei vasi conduttori, intersecandosi tra loro, formano milioni di minuscoli compartimenti.

La diffusione di funghi e batteri penetrati da una ferita è così ostacolata da 4 tipi di barriere (verticale, interna, laterale e esterna) che mirano a compartimentare l’infezione, cioè a “murarla” all’interno dell’albero.
 

 
Alla sua inserzione nel tronco, il ramo ogni anno si ingrossa di un anello che viene poi ricoperto da un anello del tronco: questa ripetuta sovrapposizione porta a un rigonfiamento (il collare).

Nella figura a sinistra la crescita di ogni anno è rappresentata distanziata per facilitarne la comprensione ma, la realtà è mostrata nel riquadro turchese: la crescita avviene cioè nella stessa posizione, rivestendo il legno dell’anno precedente.
 

 
In questa slide sono ben visibili i rigonfiamenti del collare, visti dall’esterno e dopo scortecciatura (le striature sono il legno del tronco che riveste quello del ramo).

In bianco è indicata la linea corretta di potatura, che non lascia monconi e non incide il collare.

 

 
In questa sezione longitudinale di tronco sono ben visibili i coni dei rami interni al tronco, con i loro perimetri difensivi (in tratteggio).

Con una potatura che rispetta il collare (linea verde), i funghi faticheranno a oltrepassare le barriere difensive e la ferita (foto a destra, dopo una decina d’anni) sarà ben compartimentata e rivestita da nuovi anelli di legno sano.

Con una potatura a raso, che incide il collare (linea rossa nella foto a sinistra), invece, i funghi potranno aggirare le barriere difensive (penetrando lungo le frecce gialle) e invadere il tronco provocando estesi danni.
 

 
Analogamente, se si lasciano monconi, i patogeni si moltiplicano rapidamente nel legno vivo indifeso del moncone raggiungendo un numero talmente elevato da soverchiare le barriere di difesa dei rami e, quindi, penetrare nel tronco provocandone un esteso marciume (il cilindro marrone).

Nei rami rimossi con potature che rispettano il collare, invece, il legno attaccato dai patogeni (in verde) resta ben compartimentato all’interno della zona di reazione difensiva (in rosso).
 

 
Sulle potature ci sarebbero moltissime altre cose da dire, ad esempio che devono essere differenziate nei vari stadi di sviluppo, dalla gioventù alla senescenza e secondo il grado di dominanza apicale, ma concludiamo qui, senza scendere negli aspetti tecnici.

I pochi spunti mostrati, infatti, sono già sufficienti a comprendere che, sebbene nella manutenzione del verde non vi sia nulla di difficile, in mancanza di una profonda conoscenza degli alberi e di un’adeguata professionalità è facilissimo commettere errori che, ripetuti nel tempo, compromettono intere alberature.
 

 
Un’attenzione particolare meritano gli alberi monumentali, come la splendida sughera in piazza d’Armi che, data l’età, richiede solo la rimonda del secco.

Purtroppo anche in questo esemplare sono presenti monconi residui di potature errate: colgo perciò l’occasione di segnalarlo, affinché sia trattata con la massima cura.
 

 
Per concludere, tengo a precisare che è veramente lungi da noi l’intento di muovere critiche agli operatori addetti alla manutenzione. Siamo infatti convinti che loro sarebbero ben felici di ricevere una buona formazione, per lavorare con maggior consapevolezza e la soddisfazione di ottenere migliori risultati.

Come avrete notato, in questa presentazione ho ridotto al minimo i suggerimenti sulle specie da piantare in determinate strade (potete però trovarli su Tagliare i pini o riqualificare le nostre alberature stradali?). È stata una scelta intenzionale, per richiamare l’attenzione su quello che è il vero cuore della proposta di Legambiente: l’assoluta importanza e urgenza di approntare un piano del verde pubblico per pianificare la riqualificazione di parchi, giardini e alberature.

Per la redazione del piano il Comune deve assicurarsi le migliori professionalità (sia interne che esterne a Nausicaa, ad esempio università, professionisti), nella consapevolezza che il denaro speso a tal fine è davvero il miglior investimento.

Fin da subito, tuttavia, occorre dare risposta a due urgenze: 1) emanare un regolamento del verde (in particolare per assicurarsi che nei lavori di scavo non vengano danneggiati gli apparati radicali) e 2) investire nella formazione professionale degli addetti alla manutenzione del verde.
 

 Scarica il PDF della relazione

 



Per saperne di più:

Sul verde pubblico:

Viale Colombo: riprende il taglio dei pini  (4/11/2019)

Alberature sui viali a mare: lettera aperta all’assessore Raggi  (14/10/2019)

Tagliare i pini o riqualificare le nostre alberature stradali?  (12/8/2019)

Tamerici di viale Da Verrazzano: diamo un taglio alle polemiche  (15/7/2019)

Follie estive: le tamerici ‘complici’ dei criminali?  (10/7/2019)

Precisazioni sul taglio dei pini  (12/6/2019)

Viali: palme al posto dei pini? Una scelta sbagliata, nel merito e nel metodo  (11/6/2019)

Piante ornamentali  (2018: work in progress)

Taglio del bosco di Villa Ceci: il Comune deve intervenire  (10/6/2013)

Taglio dei pini a Villa Ceci: come sbagliare anche operando bene  (7/2/2013)

 

Share